VIVERE LA MORTE UMANAMENTE E
CRISTIANAMENTE
5. Il diritto di disporre della propria morte?
Un’altra considerazione è quella che concerne il nostro rapporto attivo-passivo con la morte: la possibilità cioè di disporre della propria morte.
Diciamo subito che quella disponibilità sulla propria morte e sul proprio corpo che l’individuo rivendica come diritto totale, non è concepibile in un’ottica biblica e cristiana. La nostra esistenza e la nostra corporalità, secondo quest’ottica, non ci appartengono: appartengono a Dio, a Cristo che è signore della nostra vita. Noi non ne possiamo disporre ad arbitrio, quasi fosse un oggetto. Un simile atteggiamento, riflesso del nostro abituale rapporto con il mondo in un'epoca di esaltazione tecnologica, non è rispettoso della visione di fede sulla vita e quindi anche sulla morte. L'altro atteggiamento, opposto a questo ma anch'esso inaccettabile, è quello di considerare come espressione della signoria di Dio sulla nostra vita lo svolgimento naturale delle cose sino al punto da accettare tutto in una posizione puramente passiva.
Voglio dire che lascerei aperto, almeno per alcuni casi, il problema della liceità dell’eutanasia (che, non dimentichiamolo, significa ‘buona morte’). Capitemi bene: non si tratta di un’autodisposizione arbitraria. È invece il poter dire: Ora e qui, in questa situazione estrema dove il contesto della mia esistenza è così sprovvisto di valori da non avere più nessuna ragione di essere al di dentro di un'’esperienza terrena, Dio mi concede di riconsegnargli la mia vita, decidendo su di essa. Al di là della posizione che mi vede padrone assoluto o solo schiavo, faccio mio l’atteggiamento di chi si sente figlio e, come tale, ho quella libertà luminosa che discerne, nella situazione concreta, la singolarissima volontà di Dio su di me. Tutto ciò - lo sottolineo - non così a cuor leggero o per capriccio, ma solo in certe situazioni…..
6. Accanto a chi muore
L'ultima idea, che conclude queste riflessioni, è quella relativa all’arte del morire. Non è che io abbia però pratica al riguardo, e quindi molto da dire. Mi limito a indicare due strumenti, due libri che ho avuto tra mano e che mi sembrano buoni. Il primo è della dottoressa Kiibler-Ross, dal titolo: La morte e il morire, tradotto in italiano e edito da Cittadella di Assisi. Il secondo è quello di Mauder, dal titolo: L'arte di morire tradotto e pubblicato dall’editrice Queriniana di Brescia. Sono due testi che da una parte mostrano l'importanza dell’accompagnamento alla morte, e che dall’altra dicono anche come farlo. Nascono dalla ricca esperienza che i loro autori hanno fatto in questo settore. Per quanto mi riguarda, mi limito a dire che l’ultima parte della vita di un uomo è ancora parte del suo esistere: ha quindi i suoi bisogni, le sue attese, cui si deve offrire presenza e promozione. Il tener compagnia è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana: dando pane a chi ha bisogno di pane e buone parole a coloro che hanno bisogno di buone parole. Se questa è la modalità fondamentale dell'esistenza nello Spirito, essa abbraccia anche la nostra presenza a coloro che si stanno approssimando alla morte. Purtroppo è un gesto che abbiamo disimparato, per tutta una serie di ragioni, in parte già elencate verso la fine della prima parte. Dobbiamo riapprendere a tenere per mano chi è vicino alla morte e a recitare simbolicamente - o magari anche realmente - il Cantico delle creature di san Francesco; in modo che fino all’ultimo momento non ci siano quelle dimissioni dal mondo che si esprimaono nell‘indifferenza o nella mancanza di interesse per la vita. Al contrario, ci sia tutta la gioia e tutta la freschezza di vivere fino all'ultimo momento, e di salutare assieme al sole e ai volti amici anche sorella morte. Non c'è contraddizione tra il vivere fino in fondo la vita e il salutare la morte quando essa arriva. Non c’è contraddizione, perché la morte diventa compimento, l’ultima nota in cui la vita si esala.
ARMANDO RIZZI L’UOMO DI FRONTE ALLA MORTE Pazzini Editore