GIACOMO... UN PROVOCATORE
Interpella proprio gli aspetti quotidiani
La lettera di Giacomo fa parte delle Lettere cattoliche (indirizzate cioè a cristiani in generale e non a una singola comunità), chiamate anche piccole lettere (per la loro limitata espansione), le quali nel Nuovo Testamento seguono l'epistolario di Paolo e precedono l'Apocalisse.
La sua accettazione nel canone è stata molto discussa e controversa, imponendosi soltanto verso la fine del IV secolo; ciò a causa di vari motivi, legati sia alla questione dell'autore, sia ad alcuni punti teologici piuttosto «giudaizzanti», sia ad un certo conflitto - vero o presunto - tra Giacomo e Paolo sul problema centrale del rapporto tra fede ed opere.
Chi è questo Giacomo?
Su chi fosse «Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo» (Gc. 1,1) molte sono state le congetture nel corso dei secoli, tanto da far nascere una vera e propria «questione di Giacomo». «Nel Nuovo Testamento varie persone portano il nome di Giacomo, ed è molto difficile dire quale di queste potrebbe essere stata l'autore della lettera. È da escludere il discepolo di Gesù, morto martire nell’anno 44». (Bibbia in lingua corrente). Forse l'autore è un giudeo cristiano, cioè un cristiano proveniente dal giudaismo della diaspora, che mette la sua opera sotto i nome di Giacomo per accreditarla. Non è da escludere qualche altra possibilità o, almeno, interventi successivi su questo testo che ci giunge in un greco di altissimo livello.
Scritta da chi?
Probabilmente la lettera di Giacomo si rivolgeva contemporaneamente a vari gruppi di cristiani, dispersi in città diverse, prevalentemente ebrei, da tempo ambientati in paesi di cultura ellenistica. Ma se le persone «precise» ci possono sfuggire, la situazione di queste comunità sembra ben caratterizzata. Forse si trattava di cristiani in via di «spegnimento», piuttosto rilassati sul piano morale, privi di coerenza, tentati di separare la fede delle labbra dalla fede della vita. Giacomo registra questo calo e questo «divorzio» tra fede e vita. Fgli interviene con pressanti esortazioni e con mirabile capacità «sapienziale» e didattica. Le immagini e le similitudini che si trovano in queste poche pagine sono di un vigore insolito.
Un Giacomo banale?
È probabile che qualcuno, leggendo queste pagine, rimanga negativamente sorpreso dalla mancanza di voli celestiali e dall'assenza del sublime. Qui davvero si vola basso! Tornano e ritornano richiami e ripetizioni, esortazioni e consigli che possono «puzzare» di trita e consunta «moralina».
Una lettera di moralismo? L’assenza dei grandi temi dell'annuncio cristiano e la scarsità dei riferimenti espliciti a Gesù non può che meravigliare.
Eppure queste pagine non sono banali. Penso piuttosto che Giacomo sia l'evangelista della «fertile bassura dell'esperienza».
La Bibbia conosce le pagine sublimi e quelle piatte; conosce tutta la gamma dell'esperienza umana, con le sue vette e i suoi abissi. Dio, infatti, non parla sempre dalle altezze e dal sole. Spesso la sua voce ci viene dal «basso» del quotidiano. Può addirittura essere pericoloso ricercare costantemente il sublime nella Bibbia. Probabilmente dobbiamo ancora lasciarci «capovolgere» alcune nostre categorie mentali per accettare la sfida di tutta la Bibbia.
Del resto è anche utile e proficuo avvertire la relatività dei linguaggi biblici che sono sempre tanto «lontani» dal vissuto di Gesù di Nazareth: indicano, ma non raggiungono; accennano, ma non esauriscono.
Solo la coralità biblica, l’insieme dei «linguaggi» biblici, può farci incontrare il Gesù della storia e della fede in una necessaria complementarietà dei vari libri.
La fertile bassura dell'esperienza
Forse Giacomo ci aiuta a scoprire che la fede come sequela di Gesù non è prima di tutto una teoria-teologia, ma una strada, cioè un modo di vivere nella esistenza di ogni giorno. Egli ci costringe a compiere delle verifiche. Si potrebbe dire che è un tantino impietoso quando scende nei dettagli della vita quotidiana. Ci costringe a «fare un esame del nostro operato» insistendo sull’uso della parola, sulla collera, sulle preferenze, sulle discordie e sulle gelosie, sulla povertà e la ricchezza, sulla preghiera, sulla inseparabilità di fede e fatti. Il suo non è un discorso sui massimi sistemi dell’universo, ma un puntare il dito per interpellarci, per rivolgerci un appello a cambiare. Questo entrare nei dettagli della vita di ogni giorno, questa denuncia vigorosa delle nostre meschilinità, ci può irritare. Buon segno! La lettura di Giacomo vuole esattamente provocarci e assalirci da tutte le parti. Possiamo chiuderci a riccio e non accettare la provocazione, ma i punti sui quali batte il «martello» e le situazioni sulle quali egli mette il dito costituiscono un tessuto concreto per ciascuno di noi.
Chi di noi non conosce i guai della collera? Chi di noi non usa diversa considerazione alle persone in rapporto alla posizione culturale e sociale? Chi di noi non deve constatare di essere spesso una mala lingua? Certo, tutto questo lo possiamo scoprire senza che ce lo venga a «rivelare» Giacomo.
Nessuno ne dubita. Ma non per questo le parole di Giacomo cessano di essere vere e il fatto che egli ci ricordi di frenare la lingua può essere ulilissimo. Siccome non ce ne ricordiamo da soli, egli ci aiuta e ci pizzica.
Sapere non basta: occorre ricordare e convertirsi.
Una lettera tutta in negativo?
Certo, Giacomo evidenzia moltissimo i nostri errori, il peccato dei singoli e della comunità. Ma la sua non è affatto una ossessione moralistica: si tratta piuttosto di una confessione di fede. Il Dio di Gesù per Giacomo è capace di trasformare non solo le nostre idee, ma tutto il nostro modo di agire: questo vuole dirci Giacomo con le sue insistenti esortazioni ed ammonizioni. Il suo linguaggio usa tanti «non» e tanti imperativi, ma la lettera vuole sollecitare ad aderire pienamente alla strada di Dio che ci è stata manifestata nella vita e nella parola di Gesù.
Credere incide nella vita di tutti i giorni, ci dice Giacomo.
Una fede che non trasformi i nostri comportamenti e non guidi le nostre scelte riduce l'evangelo ad una teoria.
Siamo ancora capaci di scelte radicali?
«Siamo infedeli come una donna adultera. Ma non sapete che essere amici di questo mondo significa essere nemici di Dio? Dunque chi vuol diventare amico di questo mondo finisce per diventare nemico di Dio. Certamente la Bibbia non parla invano quando dice che Dio è geloso...» (Giacomo 4, 4-5). Questa scelta tra il bene e il male, tra una esistenza secondo la volontà di Dio ed una esistenza impostata sull'egoismo, viene definita come un «autaut» tra Dio e Satana. Sappiamo bene che il diavolo non esiste. Si tratta di una «cifra», un modo di esprimersi per disegnare le forze e lo spessore del male. Ma qui Giacomo, contrapponendo Dio e Satana, ci invita a deciderci per una scelta radicale tra la logica di questo mondo e la strada del Vangelo.
A metà strada non si sta.
Franco Barbero, 1977