Iran
Teheran condanna a morte le donne libere
Roghayeh Rezaei, Iran Wire, Regno Unito
Il caso della prigioniera politica curda Pakhshan Azizi è l’ennesimo di una lunga lista di donne messe a morte perché considerate una minaccia all’esistenza della Repubblica islamica
In un braccio della morte iraniano un’altra donna attende il suo destino. La corte suprema dell’Iran ha confermato la condanna a morte di Pakhshan Azizi, prigioniera politica curda ed ex operatrice umanitaria, accusata di “baghi”, ribellione in lingua farsi.
In 46 anni la Repubblica islamica ha tolto la vita a innumerevoli donne. La macchina della morte opera con un’efficienza raccapricciante, le condanne a morte sono emesse come fossero multe ed eseguite subito. Molte altre donne sono condannate all’ergastolo, seppellite vive nelle celle per il reato di disobbedienza. Il caso di Azizi è solo il più recente di questa cupa storia. Azizi è stata arrestata dalle forze di sicurezza a Teheran il 4 agosto 2023 e trasferita nel carcere di Evin. Casi come il suo sono azioni dirette del potere statale per soffocare il dissenso. Nella Repubblica islamica, le vite delle donne sono pedine nel gioco del controllo sociale.
Pakhshan Azizi (dr)
Farrokhroo Parsa, una delle più illustri figure culturali iraniane, fu uccisa l’8 maggio 1980. Era accusata di “promuovere l’immoralità”. Parsa, insegnante e medica, fu ministra dell’istruzione per un decennio prima della rivoluzione islamica del 1979. Fu arrestata nel gennaio 1980 e dopo cinque brevi udienze fu condannata a morte. È ricordata per i suoi tentativi di promuovere l’uguaglianza di genere nel sistema educativo.
Uno dei primi gruppi presi di mira dalla politica delle esecuzioni capitali fu quello delle donne bahai, uccise a causa della loro fede. Il 18 giugno 1983 avvenne a Shiraz la prima esecuzione di massa di donne nella storia dell’Iran. Nell’estate del 1988 molte iraniane furono messe a morte. Alcune furono costrette a sposare le guardie carcerarie prima dell’esecuzione, sulla base della credenza secondo cui le vergini non dovrebbero essere giustiziate perché andrebbero in paradiso. Monireh Baradaran, del gruppo di familiari che chiedono giustizia per le esecuzioni del 1988, durante il processo in Svezia contro Hamid Nouri, ex viceprocuratore del carcere di Gohardasht, ha scritto: “Centinaia di donne dell’organizzazione dei mujahidin del popolo furono uccise a Teheran e in altre città. Purtroppo, data l’assenza di testimoni e accusatrici, queste esecuzioni sono state occultate e ignorate”. Durante il processo è stata sottolineata la mancanza di una lista completa e attendibile delle donne messe a morte negli anni ottanta.
Accuse vaghe
Shirin Alam Hooli fu una delle cinque prigioniere politiche curde uccise il 9 maggio 2010 nel carcere di Evin. Nata nel 1981 nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, Hooli fu arrestata in seguito all’esplosione di una bomba nel parcheggio di una base dei Guardiani della rivoluzione islamica a Teheran nel 1999. Prima dell’esecuzione, scrisse una lettera in cui descriveva le torture subite: “Mi interrogavano degli uomini e mi legavano a un letto con le manette. Mi percuotevano con manganelli elettrici, cavi, pugni e calci”.
Durante le proteste scoppiate dopo le contestate presidenziali del 2009, Zahra Bahrami, 45 anni con doppia cittadinanza iraniana-olandese, fu arrestata e uccisa nel gennaio del 2011. Era accusata di far parte di un gruppo di opposizione. Era già stata arrestata nei Paesi Bassi per traffico di stupefacenti e si era trasferita nel Regno Unito. Era tornata in Iran per prendersi cura della figlia malata. Fu condannata a morte per reati legati alla droga, un’accusa che secondo la famiglia e l’avvocato era stata costruita per motivi politici.
L’imposizione di pene capitali sulla base di accuse vaghe e arbitrarie continua. I casi più recenti riguardano Pakhshan Azizi e Varisheh Moradi, attivista ambientalista e per i diritti delle donne. Entrambe sono state condannate a morte per il loro impegno a Kobane, in Siria, durante il dominio del gruppo Stato islamico (Is). La corte suprema ha confermato la sentenza di Azizi, mentre il processo di Moradi è ancora in fase di appello. Azizi era andata a Kobane per assistere le sopravvissute alle violenze dell’Is.
Anche se le esecuzioni di donne in Iran sono meno frequenti di quelle degli uomini, gli attivisti per i diritti umani sostengono che spesso subiscono processi più ingiusti. Da Farrokhroo Parsa a Pakhshan Azizi, queste donne hanno cercato di vivere libere dalla violenza politica, culturale, economica e statale. Ma per la Repubblica islamica la loro esistenza è incompatibile con la sua sopravvivenza. ◆ fdl
Tra l’Italia e l’Iran
◆Il 12 gennaio 2025 Mohammad Abedini Najafabadi, un imprenditore iraniano arrestato in Italia il 16 dicembre, è stato rilasciato e rimpatriato. Gli Stati Uniti lo accusano di aver fornito tecnologia militare alla Repubblica islamica, ma il ministro della giustizia italiano Carlo Nordio ha chiesto alla corte d’appello di Milano la revoca dell’arresto perché i suoi presunti crimini non sono punibili dalla legge italiana o mancano le prove. L’8 gennaio era rientrata a Roma la giornalista Cecilia Sala, arrestata in Iran il 19 dicembre e accusata di aver violato le leggi della Repubblica islamica.
Internazionale, 17 gennaio 2025