lunedì 17 marzo 2025

Il peso del papato: l’urgenza di un dignitoso ritiro dei pontefici


Le recenti immagini di papa Francesco al Policlinico Gemelli, visibilmente invecchiato e con segni di sofferenza, hanno riaperto un vecchio dibattito: i papi devono rimanere attivi fino alla fine dei loro giorni? La storia recente del papato ha mostrato i danni fisici e mentali che l’esercizio del potere può provocare in un uomo anziano, in particolare in figure come Giovanni Paolo II, che ha sopportato l’ultima fase del suo pontificato con un evidente deterioramento che lo ha lasciato praticamente inabile.

In un mondo in cui l’aspettativa di vita si è allungata e la medicina consente di prolungare la vita oltre le piene capacità di ciascuno, la leadership della Chiesa cattolica continua a rimanere intrappolata in una logica che associa la permanenza nella carica alla volontà divina. Questa visione, però, non solo può incidere sulla capacità di governo della Chiesa, ma impone anche un inutile sacrificio agli stessi papi. Le dimissioni di Benedetto XVI nel 2013 hanno segnato una svolta nella storia del papato, ma non sono state sufficienti a consolidare una norma sul ritiro dei vescovi di Roma.

La Chiesa, come ogni altra istituzione, necessita di una guida dinamica e attiva. Un papa anziano, indebolito dal peso degli anni, delega inevitabilmente responsabilità alle persone a lui più vicine, con il rischio che il potere reale finisca nelle mani di altri. Nel caso di Giovanni Paolo II, la fase finale del suo pontificato fu segnata dalla crescente influenza del suo segretario personale e della Curia vaticana, che prendevano decisioni in suo nome, mentre il pontefice si mostrava sempre più fragile. Questa situazione non solo mette in discussione il governo effettivo della Chiesa, ma proietta anche un’immagine di sofferenza inutile.

La tradizione cattolica ha esaltato il valore del sacrificio, vedendo nella sofferenza un modo per avvicinarsi a Dio. Tuttavia, questa visione non può essere applicata indiscriminatamente alla gestione della Chiesa. L’insistenza sul fatto che i papi debbano morire durante il loro mandato, indipendentemente dalla loro salute, è una concezione anacronistica che contraddice lo stesso messaggio sulla dignità umana che la Chiesa sostiene. Permettere a un pontefice di ritirarsi con onore, quando la sua salute lo richiede, è una questione di umanità e di responsabilità istituzionale.

Un altro argomento a favore del ritiro papale è la possibilità di un rinnovamento dottrinale e pastorale. La Chiesa cattolica si trova ad affrontare sfide costanti che richiedono risposte rapide e un adattamento alle realtà del mondo contemporaneo. Un papa anziano e indebolito difficilmente potrà intraprendere con energia le riforme necessarie o rispondere prontamente alle crisi che potrebbero presentarsi. La permanenza indefinita nell’incarico limita la capacità della Chiesa di rinnovarsi e di entrare in contatto con le nuove generazioni.

Inoltre, la rinuncia al papato non si dovrebbe vedere come un’eccezione, ma come una norma naturale all’interno di una struttura gerarchica che, di fatto, prevede già il pensionamento obbligatorio dei vescovi all’età di 75 anni. Non esiste alcuna giustificazione teologica che obblighi un papa a rimanere in carica fino alla morte. Si tratta piuttosto di una costruzione storica, che si è andata consolidando nel tempo, ma che potrebbe cambiare se si decidesse di istituzionalizzare un limite di età o la possibilità di dimissioni volontarie, senza che ciò implichi una crisi di autorità.

Il caso di Francesco è particolarmente significativo perché il suo pontificato è stato segnato dal dibattito sulle dimissioni. In più di un’occasione ha accennato alla possibilità di seguire l’esempio di Benedetto XVI, anche se finora ha preferito restare in carica nonostante i suoi problemi di salute. Tuttavia, il rischio che la Chiesa assista ancora una volta a un papato segnato dalla malattia e dall’incapacità è sempre più evidente. L’immagine di un papa malato, sottoposto a costanti cure mediche e con evidenti limitazioni fisiche, non solo ispira compassione, ma solleva anche legittimi interrogativi sull’opportunità di mantenerlo in carica.

È tempo che la Chiesa riconosca che il papato non può essere un peso che un uomo deve portare fino all’agonia. La dignità della persona deve essere al di sopra di qualsiasi simbolo di autorità e la salute della Chiesa non può dipendere dalla resistenza fisica di un singolo uomo. Istituzionalizzare la possibilità del ritiro papale non è un segno di debolezza, ma un atto di buon senso e di umanità che consentirebbe ai papi di vivere i loro ultimi anni in pace, senza la pressione di un incarico che richiede pienezza di facoltà.

Il futuro del papato dipende dalla capacità della Chiesa di adattarsi alla realtà del tempo presente. Le dimissioni non devono essere viste come una abdicazione di responsabilità, ma come un gesto di responsabilità e di amore verso la Chiesa. L’immagine di un papa anziano e sofferente non è una testimonianza di forza, ma un promemoria del fatto che anche i leader spirituali sono umani e meritano un ritiro dignitoso.

Ma questo problema non riguarda solo i pontefici; riguarda una struttura di potere monolitica e piramidale che concentra l’autorità in una sola figura, lasciando nell’ombra coloro che realmente muovono i fili del Vaticano. Fino a quando la Chiesa manterrà un sistema in cui i meccanismi del potere si perpetuano negli stessi circoli di influenza, la modernizzazione sarà un compito irrisolto. È tempo di mettere in discussione non solo l’età dei papi, ma anche il modo in cui il potere viene esercitato all'interno di un’istituzione che predica l’umiltà ma opera con una rigidità caratteristica dei regimi più segreti.

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Articolo pubblicato il 17.03.2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es).

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli