Gesù poeta, cantore della vita
Franco Barbero, 1971
La notte esiste davvero e negarlo sarebbe follia. Gli anni che viviamo sono pieni di tenebra e l’orizzonte non presenta molte schiarite. C'è molta notte anche nei cuori è si registra come una morte che nasce dal di dentro. La situazione di stagnazione politica ed esistenziale in cui ci troviamo è altamente infettiva. Già lo abbiamo detto.
Ma io credo che la nostra fede nel Dio di Gesù Cristo ci faccia dono, proprio all'interno di un simile contesto, di una speranza che non cessa di inondare il nostro cuore.
Dio è ancora all'epera
Anche in un contesto così marcato di oppressione politica ed ecclesiale, il credente confida in colui che non cessa di essere il Dio liberatore, sorgente di liberazione. A volte è veramente difficile scorgere i timidi sentieri della speranza tra le autostrade del potere. Chi riesce a vedere, tra le mappe della storia, dominate dai vari Reagan, Breznev e Wojtyla, i cammini e i passi delle formiche? Eppure la via di Gesù di Nazareth non è stata quella dei grandi. Egli non è venuto per la strada degli eroi o con lo stile degli imperatori, ma nella carne dei poveri ed ha legato la sua vita alla loro liberazione.
Il panorama del potere diventa ossessivo e vincente quando riesce a convincerci che ormai non esistono più altri orizzonti.
Il dono profetico che tutti noi siamo chiamati a tener vivo nei nostri cuori non accetta questa ideologia di morte. La Parola di Dio ci invita a guardare le operose e travagliate speranze che germogliano sotto la cenere. Essa ci aiuta a guardare in profondità, a squarciare la foschia deprimente della disperazione. Anche questo è tempo di liberazione e «il braccio del Signore non si è accorciato» (Num. 11:23). Ricordiamao l'ammonizione del Vangelo di Luca: « Ipocriti! Siete capaci di prevedere il tempo che farà, e allora come mai non sapete capire il significato di ciò che accade in questo tempo?» (Lc. 12:36). Qualche volta, come a Gabaon, persino «il sole si ferma e la luna resta immnobile» (Gios. 10:13-14) per contemplare le opere del Signore, ma noi siamo distratti è non sappiamo scorgere le meraviglie del Dio della liberazione. Possiamo dire che è estremamente facile passare oltre senza notare quanto il Signore sta operando: «Com’è leggera la parola che noi percepiamo!» (Giobbe 26:14). Del resto come si fa a scoprire l’opera di Colui che, stravolgendo ogni logica, «fa piovere sulla steppa ove nessuno abita» (Giobbe 38:26) se non «lasciandoci riaprire l’orecchio ogni mattino» (Isaia 50:5)? La vistosità del male, lo strapotere politico ed ecclesiale dei faraoni di questo mondo possono occultarci la presenza è l'azione del Signore. Solo una fede viva, che ci stimoli a incontrare il Signore dentro la realtà drammatica nella quale ci troviamo, ci permette di ribellarci ai poteri che ci vorrebbero ai loro piedi. Anche in terra straniera vivremo senza deporre la speranza e l’impegno che ne deriva.
La poesia che non muore
Proprio quando fervevano le lotte più impegnative, mi sembrava impossibile far tacere la preghiera. Ricordo lo stupore di alcuni compagni i quali non riuscivano a capacitarsi del fatto che la sera precedente uno dei miei processi per antimilitarismo io non trovassi nulla di più attuale e urgente che parlare della contemplazione. Ebbene ora - non certo per spirito di contraddizione - mi sembra che, mentre imperversa la prosa, dobbiamo parlare di poesia. La realtà è prosaica, piatta, poco incline a voli poetici. Ma la poesia della vita e della fede non si è dileguata. Le parole profetiche di Geremia rivolte ai deportati che gemevano a Babilonia conservano la loro piena attualità: siete in esilio, ma continuate a vivere, a progettare, a sperare! « Edificate case ed abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti» (29:5). Dio vi rivisiterà e reaglizzerà la sua promessa fra settant'anni. E’ la poesia, quella che si fonda sulla fede nel Dio della promessa, che può mantenerci in piedi nei quarant'anni del deserto e nei settant'anni dell'attesa, per usare il linguaggio dell'Esodo e di Guremia.
La realtà che viviamo. se siamo attenti, conserva sempre dei giardini fioriti e dei cieli aperti. Perché uccidere o smorzare la «poesia delle cose» che rinasce con infinite primavere? La Bibbia, con una abbondanza straripante, ci parla di canti, di festa, di poesia. Non intendo qui celebrare la poesia evasiva o apocalittica, quella che ritaglia lenzuoli di cielo fuori della terra. Mi riferisco a quella poesia umana è biblica che fiorisce ed esplode dall'interno della vita quotidiana, dal roveto ardente delle sue contraddizioni. Come non rileggere, senza indebite riduzioni allegoriche, tutta la poesia del Cantico dei Cantici, di Isaia e del Deuteroisaia? Come non riscaldare il cuore al soffio poetico dei Salmi e dei libri storici?
Il nostro è un Dio poeta, amico della felicità, del piacere, della gioia di vivere e di comunicare. Gesù di Nazareth è passato tra di noi insegnandoci ad assumere tutta la poesia della vita, stimolando i poveri perché la poesia del Regno, enunciata nelle beatitudini, diventi critica costante e superamento continuo degli aspetti oppressivi e antipoetici della vita.
Il Gesù poeta non è solo quello che ci presenta il Vangelo «di Matteo nel « Guardate gli uccelli del cielo... guardate i gigli del campo» (6:25-34); è anche quello che cammina nella strada della Palestina e rivela, con la sua vita e con la sua parola, che il Padre costruisce e «fa» il Regno di Dio proprio a partire dalla prosa quotidiana.
Entrare in questa poesia di Dio, in un cammino di speranza improgrammata, è dono che il Signore fa ai poveri.
A me sembra che, chiamati alla libertà (Gal. 5:13). siamo anche chiamati alla poesia e alla responsabilità di una esistenza profetica che, nei luoghi dell'impegno politico e nella chiesa, spezzi continuamente gli schemi e le strutture che ci rendono schiavi del presente. La profezia diventa allora ascolto della Parola «di Dio in questo presente, come forza che spinge ad aprire brecce di speranza, di giustizia.
E’ questa poesia che fiorisce sulla promessa di Dio che ci rende capaci, come Gesù, di prendere la croce e di portarla quando ciò è necessario per essere fedeli alla chiamata del Signore e alle esigenze di Regno.