mercoledì 9 aprile 2025

Jacques Gaillot aveva ragione? “Una Chiesa che non serve, non serve a nulla”: riflessione sulla crisi del clero

José Carlos Enríquez Díaz


Negli ultimi anni la Chiesa cattolica ha vissuto una serie di tensioni interne che riflettono una profonda crisi, non solo a livello istituzionale ma anche spirituale. Mentre il numero dei preti diminuisce in modo allarmante e quello dei vescovi aumenta, ci troviamo di fronte a un dilemma esistenziale su cosa significhi essere Chiesa oggi, più di duemila anni dopo la fondazione del cristianesimo. Questa discrepanza tra il numero di preti e vescovi, così come il drastico calo dei seminaristi, solleva una domanda fondamentale: che fine ha fatto la Chiesa che Gesù ha voluto e quella che ci hanno lasciato gli apostoli?

Secondo i Vangeli, era una comunità di seguaci che cercava di vivere nell’autenticità, nella povertà e nell’amore reciproco. Gesù, nella sua vita e nelle sue opere, non ha lasciato istruzioni chiare per una struttura gerarchica come la conosciamo oggi. Piuttosto, il suo obiettivo è stato la missione di servire, di portare il messaggio di amore e speranza ai margini, a coloro che non hanno voce. Tuttavia, nel corso dei secoli, questa visione è stata modificata e spesso distorta. La eccessiva gerarchizzazione, l’opulenza e la burocrazia sono diventate caratteristiche notoriamente lontane da quel modello radicale di servizio e sacrificio.

Il calo del numero di preti e seminaristi, così come l’aumento dei vescovi, riflettono un profondo distacco dall’essenza del cristianesimo primitivo. Nella Chiesa primitiva gli apostoli non cercavano di consolidare il potere, ma di diffondere il messaggio di Cristo. I primi cristiani erano una piccola comunità, ma profondamente impegnata per i principi di uguaglianza, fraternità e dedizione. Nel corso del tempo, tuttavia, la struttura ecclesiastica si è evoluta e ha assunto caratteristiche politiche e sociali che rispondevano più ad interessi umani che agli insegnamenti del Vangelo.

Questo processo di istituzionalizzazione ha dato origine a una Chiesa in cui il ministero è diventato un’occupazione sempre più burocratica, legata alla necessità di mantenere una complessa struttura amministrativa e gerarchica. Il fatto che i preti diminuiscono mentre i vescovi aumentano, è sintomo di un sistema che dà priorità alla gestione rispetto alla missione. I vescovi, in quanto custodi di una struttura di potere che si è allontanata dai reali bisogni del popolo di Dio, sono visti da alcuni come una classe che ha perso il contatto con la povertà e l’umiltà predicate da Gesù.

A questo fenomeno si aggiunge la crescente critica al «progressismo» all’interno della Chiesa, rivolta soprattutto a papa Francesco, la cui figura polarizza l’istituzione. Per molti preti e membri più conservatori, il papa rappresenta una minaccia ai valori tradizionali, una svolta che rischia di far deviare la rotta della Chiesa verso una direzione meno ortodossa. Questa posizione, tuttavia, ignora il fatto che il progressismo non è sinonimo di vuota modernità o di relativismo morale, bensì una risposta alle esigenze di una società in cambiamento. La Chiesa deve saper leggere i segni dei tempi, proprio come ha fatto Gesù, rompendo con le convenzioni sociali del suo tempo.

Le critiche a papa Francesco e al suo approccio più inclusivo a temi quali la morale sessuale, i diritti delle donne e l’apertura ai divorziati risposati non sono altro che la manifestazione della paura di perdere il controllo su una struttura che è diventata rilevante più per il suo potere istituzionale che per la sua capacità di trasformare vite. Questa paura del cambiamento non è una novità e, nel corso della storia della Chiesa, ogni nuovo progresso nella comprensione teologica e sociale è stato contrastato con la stessa virulenza. Ma ciò che sta facendo papa Francesco non è tradire l’essenza del cristianesimo, bensì cercare di ripristinare la radicalità di Gesù e il messaggio dei primi cristiani, che non avevano paura di sfidare le strutture di potere, siano esse politiche o religiose.

Invece di vedere il progressismo come una minaccia, dobbiamo comprenderlo come un ritorno alle radici del Vangelo, un invito a riorientare la Chiesa verso la sua missione originaria. Il ruolo del prete non deve essere quello di un semplice amministratore di sacramenti, ma di un testimone della grazia trasformante di Dio nel mondo. Se la gerarchia della Chiesa si è allontanata da questa vocazione, è tempo che tutti noi membri della Chiesa, a partire dal papa fino ai fedeli, riflettiamo profondamente su cosa significhi essere veri discepoli di Cristo.

Oggi la Chiesa deve decidere se vuole rimanere un’istituzione statica, aggrappata al suo potere, oppure se vuole essere una comunità viva, spogliata di interessi terreni, dedita alla missione del Vangelo. Il calo del numero dei preti non è solo una crisi vocazionale, ma anche una crisi di senso: che senso ha seguire Cristo se la Chiesa non è disposta a vivere nella radicalità, nell’umiltà e nel servizio? La Chiesa voluta da Gesù non era una macchina burocratica, ma una comunità d’amore che si donava agli altri senza riserve.

La Chiesa si trova di fronte a un bivio storico: continuare ad aggrapparsi a una struttura gerarchica e burocratica che la allontana dalla missione di Gesù, oppure trasformarsi in una comunità radicalmente aperta, inclusiva e orientata al servizio. Il calo del numero dei preti e la polarizzazione interna dimostrano un distacco dal messaggio originario del Vangelo. Solo tornando all’umiltà e alla dedizione totale al prossimo, senza paura del cambiamento, la Chiesa potrà recuperare la sua autentica vocazione ed essere luce nel mondo, così come Gesù l’ha immaginata.

E come ha detto giustamente il vescovo di Partenia Jacques Gaillot: “Una chiesa che non serve, non serve a nulla”. Se la Chiesa non è disposta a servire gli altri nella radicalità del Vangelo, se non si impegna per i poveri, gli emarginati e i sofferenti, la sua stessa esistenza sarà priva di senso. La vera essenza della Chiesa non risiede nelle sue strutture o gerarchie, ma nella sua capacità di trasformare il mondo attraverso l’amore e il servizio. Se non riesce a portare a termine questa missione, si condannerà all’irrilevanza.

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Articolo pubblicato il 4 aprile 2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es).

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli