Miracoli, reliquie e altri racconti del cristianesimo medievale nel XXI secolo
José Carlos Enríquez Díaz
Il cardinale Stanislaw Dziwisz, un tempo segretario ombra e personale di Giovanni Paolo II, ha rivelato con malcelata devozione che papa Francesco ha iniziato a migliorare dopo aver ricevuto una reliquia contenente il sangue del suo predecessore. Come se si trattasse di una pillola magica, la sola vicinanza della sostanza sacra avrebbe fatto un miracolo per la salute di Bergoglio, che è ancora in fase di convalescenza a Casa Santa Marta. Miracoli di fede, ci diranno alcuni. Superstizioni medievali, diranno altri. Un nuovo episodio di marketing ecclesiastico, diciamo noi che non ci beviamo queste sciocchezze.
È curioso come il cattolicesimo ufficiale continui ad appigliarsi a pratiche che già duemila anni fa provocavano incredulità nei pensatori romani. Il fascino per i resti dei santi, le ossa, il sangue coagulato o i tessuti permeati di santità non sono altro che la versione cristiana degli amuleti pagani tanto criticati dai primi apologeti della Chiesa. I teologi progressisti dibattono da tempo sull’ossessiva fissazione della Chiesa per le reliquie, che non solo distorce il messaggio originale del cristianesimo, ma perpetua anche una visione magica della fede che si scontra con qualsiasi tentativo di modernizzazione.
Non c’è da stupirsi che sia proprio Dziwisz a promuovere tali spropositi teologici. Non dimentichiamo che questo stesso cardinale è stato indagato in passato per aver coperto abusi sessuali all’interno della Chiesa, cosa che proietta un’ombra ancora più densa sul suo ruolo di custode della memoria di Giovanni Paolo II. Dopotutto, è stato lui a custodire con zelo la memoria di Giovanni Paolo II ed a promuovere con cura la sua rapidissima canonizzazione. Non è stato importante che Karol Wojtyla avesse dato la comunione ad Augusto Pinochet, un dittatore con una storia di torture e sparizioni che farebbero arrossire qualsiasi difensore dei diritti umani. La Chiesa ha dimostrato più volte che politica e santità possono coesistere senza scrupoli quando le circostanze lo richiedono. E se questo richiede di ricorrere a miracoli di dubbia credibilità ed a reliquie di dubbia autenticità, allora ben venga.
Nell’era dell’informazione e dello scetticismo illuminato, si potrebbe sperare che la fede trovi altri modi per reggersi, ben lungi dal macabro feticismo del cristianesimo medievale. Eppure continuiamo ad assistere all’esposizione di sudari sacri, di dita incorrotte e di ampolle di sangue che si sciolgono nei momenti opportuni. E la cosa peggiore è che ci sono ancora credenti che si aggrappano a questi spettacoli come a una prova inconfutabile della divinità.
Già il cristianesimo primitivo è stato schernito per questo tipo di pratiche. I pagani erano scandalizzati dal fatto che i seguaci di Gesù venerassero con tanto fervore i resti dei loro martiri. Già Cicerone, ben prima della nascita di Cristo, e Plinio il Giovane scrivevano del loro sconcerto di fronte all’eccessivo culto dei defunti e dei loro oggetti personali, anche nell'ambito della loro stessa religione. E ora, duemila anni dopo, il Vaticano continua ad accettare le stesse tradizioni con la stessa serietà con cui nel XIV secolo ai contadini veniva chiesto di credere nella santità di un molare di san Giovanni Battista.
Il grosso problema di questi discorsi è che perpetuano una visione infantile della religione, in cui i miracoli diventano sostituti della riflessione teologica e scuse per evitare di affrontare problemi reali. Non è che un papa guarisca o meno grazie a una reliquia, ma lo stesso racconto infantile rafforza l’idea che l’intervento divino è riservato a pochi eletti, mentre il resto dei mortali deve abituarsi alla rassegnazione.
Ma forse l’aspetto più ironico di tutto questo è il fatto che un papa gesuita, appartenente a un ordine caratterizzato dal suo intellettualismo e dallo scetticismo verso le devozioni popolari, sia stato la vittima inconsapevole di questo aneddoto miracoloso. Bergoglio avrebbe potuto migliorare grazie alle cure dei suoi medici, al riposo o al semplice caso. Ma no, è meglio attribuire la sua guarigione a qualche goccia di sangue coagulato conservata in un reliquiario d’oro. La fede sposta le montagne, ma è anche capace di muovere la ragione verso abissi insospettati.
Forse, in sostanza, questo episodio ci ricorda che la Chiesa resta intrappolata tra la modernità richiesta da una società secolarizzata e la nostalgia del suo passato soprannaturale. Un passato in cui i papi benedicevano i tiranni e in cui la santità poteva essere venduta in piccole bottiglie di vetro. Un passato che, per alcuni, resta più confortevole del presente incerto di una religione in declino.
E così, tra reliquie e superstizioni, la Chiesa continua a giocare a fare la proprietaria della verità. Nel frattempo, nel mondo reale, la ragione, la giustizia e la memoria storica continuano ad attendere il miracolo che conta davvero: la scomparsa dell’ipocrisia.
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Articolo pubblicato il 3 aprile 2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es).
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli