martedì 15 aprile 2025

Una gerarchia ancora ubriaca di sé

 

Questo Giubileo, che inizia con una ubriacatura di gloria, con enorme sfoggio di potenza, sotto il segno dell’omaggio dei grandi di questo mondo, non promette nulla di buono. La gerarchia cattolica si pone, ancora una volta, in un atteggiamento di “centralità”, di superiorità, di difesa dei propri presunti monopoli. Questo è l'accerchiamento più pericoloso: quello che noi cristiani possiamo costruirci da soli quando vogliamo ad ogni costo difendere il nostro vecchio palazzo, il nostro vetusto castello e non sappiamo vedere il “paesaggio più spazioso” che Dio ha costruito per le Sue creature.

Anche la chiesa-gerarchia corre il rischio di non vedere oltre se stessa come chi, da ricco possidente, ha lo sguardo impedito dal suo “oro e argento”. Lo esprime efficacemente questo racconto ebraico: ‘Rabbino, non riesco a capire: si va accanto a un povero, ed egli è cordiale e aiuta, dove può. Si va invece accanto al ricco, ed egli nemmeno ti guarda. Che cosa fa dunque il denaro?’. ‘Avvicinati alla finestra!, che cosa vedi?’. ‘Vedo una donna con un bimbo ed un carro che va al mercato’. ‘Bene. Ora vai davanti allo specchio. Cosa vedi?’. ‘Rabbino! Cosa mai dovrei vedere? Me stesso'. ‘Vedi dunque: la finestra e anche lo specchio sono di vetro. Ma basta mettere appena un po' d'argento sotto quel vetro e si finisce per vedere solo se stessi”.

Non è vero che “fuori dall’onnipotenza del mercato” esistono solo l'illusione e il deserto.

Dopo di me il diluvio, fuori della chiesa non c'è salvezza, fuori dal mercato capitalistico non c'è vita sono tutti dogmi da infrangere in nome di una solidarietà che non faccia più perno sulla centralità del Nord del mondo.

La fede ci dice che Dio ci aiuta a demistificare il mito, l'ideologia, l'idolo del progresso per una pratica ideale e reale di umanità. Dio non ci regala il “disegno” di una nuova società, ma ci mette in cuore le energie per renderci disponibili alla lotta antiidolatrica e per immergerci in nuovi sentieri di liberazione.

La condizione è che noi cominciamo ad uscire “spiritualmente” dall'ideologia di Babilonia, dal cerchio chiuso dell'ossessione di noi e apriamo le finestre a nuovi “territori umani”. Intanto, anche dopo le disavventure del socialismo reale, riprendiamoci la libertà di sognare e l'intelligenza per costruire una vita quotidiana oltre questa "società” del progresso... Non un sogno evasivo, ma sognare per trovare nuove pratiche

Franco Barbero, 1971