lunedì 7 aprile 2025

 

1

Ernesto Cardenal

GRIDO

salmi degli oppressi

titolo ariginale

SALMOS

traduzione di GIUSEPPINA POMPEI

 

Introduzione

Ernesto Cardenal è oggi considerato uno dei principali poeti lirici latino-americani. L'esile volumetto dei suoi Salmi, pubblicato per la prima volta dall'università di Antioquia in Colombia, apparso poi anche in Argentina e in Spagna, in meno di un anno è diventato un best-seller della nuova generazione nell’intera America Latina. In questi versi ritrovano se stessi uomini che - come dice Stefan Baciu, il traduttore di Cardenal in tedesco - appartengono « a una generazione minata dalle contraddizioni e dalle passioni ». Quali contraddizioni? Quali passioni?

Sono le contraddizioni di una struttura economica feudale, sono le passioni della politica che si ritrovano in questi Salmi. Cardenal evita di indicare la classe dominante come tale: ma la smaschera, indicandola con un semplice « loro », mentre parla dei « loro » capi e delle « loro feste », delle « loro trasmissioni radio » e dei « loro slogan », delle «loro azioni » e « polizze d’assicurazione ». A che cosa corrisponde questo « loro »? L'America Latina è lacerata da lotte sociali, le cui dimensioni ci sono difficilmente comprensibili, perché la rivoluzione borghese ha dato un corso del tutto diverso allo sviluppo europeo. A motivo della collaborazione fra il latifondo e il capitalismo moderno, gli appartenenti alle classi feudali più elevate - i proprietari di piantagioni e di miniere - in America Latina hanno ridotto i piccoli contadini e gli indios a una miseria che porta inevitabilmente alle trasformazioni politiche. La gente abbandona i villaggi, sperando di trovare possibilità di sopravvivenza negli slums sempre crescenti nei sobborghi delle città. Si alternano le une alle altre dittature militari e cambiamenti di regime, di breve durata, che non meritano neppure il nome di rivoluzione. In Nicaragua, patria di Cardenal, nel 1937 in uno degli innumerevoli colpi di stato, è andato al potere il generale Somoza. Il suo dominio è stato assicurato dal terrore politico; per decenni tutto il mondo caraibico è stato dominato dal famigerato « triangolo di sangue » dei dittatori del Nicaragua, dell’Honduras e della Repubblica Dominicana. In questo ambiente economico e politico è eresciuto Ernesto Cardenal. La sua famiglia era una delle più antiche famiglie aristocratiche del Nicaragua: Ernesto nacque nel 1925 nella città di Granada, capoluogo di provincia, studiò lettere nel Messico e negli Stati Uniti e scrisse alla fine degli anni ’40, per la Columbia University, una dissertazione sulla lirica moderna del suo paese.

 

Ha termine così la parte facile della sua vita. Già le sue prime poesie contenevano del materiale esplosivo; nel 1952 un anonimo volantino con un epigramma politico girava di mano in mano per tutto il Nicaragua: il movimento clandestino lo trasmetteva dalle sue stazioni radio, e quei versi finirono sulla bocca di tutti. Cardenal fu arrestato per strada, scomparve per dei mesi, fu gettato in campi di concentramento e in carcere e torturato dai famigerati GN, la Guardia Nacional, polizia ed esercito del Nicaragua.

Nell’aprile del 1954 la poliîzia scopriva una congiura nella quale erano coinvolti quasi tutti i giovani intellettuali del paese: questa volta Cardenal riusciva a salvarsi, ma il suo amico Baez era ucciso.

 

In aprile furono uccisi, e io ero con loro nella rivolta di aprile e imparavo a maneggiare un fucile automatico...

E Adolfo Baez Bone era mio amico.

Lo inseguirono con aeroplani e camion,

con i proiettori e con le bombe lacrimogene,

con la radio, con i cani, con i poliziotti...

 

Quando due anni più tardi, nel settembre del 1956, il dittatore Somoza fu ucciso da un giovane rivoluzionario nella sala del Casinò durante una festa da ballo, cominciò una persecuzione sanguinosa: centinaia di giovani intellettuali vennero imprigionati, torturati, uccisi. Il potere passò ai due figli del dittatore, uno dei quali si faceva chiamare « senatore » - e la sua posizione giuridica si rispecchia nelle poesie di Cardenal - mentre l’altro era il « generale », comandava la polizia segreta e sorvegliava personalmente le camere di tortura.

Cardenal visse a lungo nascosto. Poi nella sua vita si ebbe una grande trasformazione: lasciò le barricate per il chiostro. Lasciò la politica ed entrò nel monastero dei trappisti nel Kentucky, in USA, quale novizio presso il monaco e poeta Thomas Merton, uno dei più profondi conoscitori della nuova poesia latino-americana. La salute di Cardenal, d’altronde, sì era rovinata nelle carceri di Somoza: non riusciva a sopportare il clima rigido del Kentucky, non scriveva quasi più, si occupava di scultura, e si dava sempre più a una meditazione profonda. In una lettera Cardenal parla in questi termini del suo cambiamento: « La politica mi interessa sempre, ma la vedo con occhi diversi da prima: mi accorgo, a esempio, che le radici di Somoza sono così profonde, che talvolta si mostrano anche in me, nella mia opera quotidiana. I dittatori si trovano dentro di noi, anche la bomba H è dentro di noi ».

Cardenal passò poi alcuni anni in un monastero benedettino nel Messico, avvolto in un silenzio sempre più profondo. Ma anche questo monastero era pert lui « troppo bello, troppo di lusso », e andò in Colombia, in un monastero « alla fine del mondo », vicino alla foresta vergine, in un paese dominato dalla miseria più nera, più lontano possibile da ogni forma di civiltà. Frattanto sono passati dieci anni dal giorno in cui Cardenal si era fatto monaco e aveva lasciato il mondo: nel 1966 fa ritorno in Nicaragua, nel villaggio di Solentiname, nell’arcipeiago del Gran Lago. Qui Cardenal con pochi compagni cerca qualche cosa di nuovo; vuol fondare un eremo trappista per aiutare i contadini del Nicaragua. Un modesto ambulatorio medico e una scuola elementare sono gli inizi di questa nuova forma di « missione cristiana ». Cardenal, che ha vissuto e lavorato a Granada, a Città del Messico e a New York, vuole sviluppare qui una democrazia cristiana e sociale fra i contadini. Contro il crescente esodo verso la città, contro il fatto che « nell'America Latina è ogni giorno più difficile essere campesino (contadino) », Cardenal - rivoluzionario, poeta e monaco - va proprio nel luogo da cui oggi la gente si allontana. In questo esperimento ancora aperto, si trova un po' di utopia, si cerca una via nuova fra capitalismo e comunismo; una via per un gruppo di gente che si appoggia all’esperienza personale di Cardenal, a mezza strada fra rivoluzione, poesia e spiritualità cristiana.

 

Nei Salmi di Ernesto Cardenal gli elementi biblici si uniscono senza rottura agli elementi moderni. Il mondo presente non vi si perde di vista neppure un istante. I mezzi con i quali gli uomini sono minacciati da altri uomini sono forse cambiati, ma l'angoscia e la protesta, la sofferenza per l’ingiustizia e la gioia per la liberazione sono rimaste le stesse. Cardenal non ha « tradotto » i salmi, come se si trattasse di qualche cosa di passato che dovesse essere trasposto nel presente per poter divenire comprensibile e gustabile. Il movimento della sua poesia è piuttasto quello contrario: Cardenal cerca di esprimere il presente, servendosi del linguaggio e del mondo immaginifico della Bibbia. Così una struttura sociale che disumanizza quasi completamente la vita umana, viene intesa come esilio da Gerusalemme, come lontananza  dalla patria.

Babilonia è, quindi, il nome della nostta civiltà, Gerusalemme il nome delle sue possibilità non ancora manifeste. Una poesia come questa, diviene la memoria sempre viva di Gerusalemme. È alla ricerca del tempo avvenire.

A una inchiesta sul tema « Arte e libertà », Cardenal rispose così: « L’artista è stato sempre completamente integrato nella società: ma non nella società del suo tempo, in quella del futuro. L’artista, il poeta, il dotto e il santo sono membri della società del futuro, di quella società che già esiste sul pianeta come un seme, un seme forse disperso in piccoli gruppi e nei singoli, qua e là, indipendentemente dalle ripartizioni della geografia politica. Come poeta quale sono - e nella misura in cui lo sono - e come prete che cerco di essere, e come pacifista, anarchico cristiano e gandhista, in politica mi sento ben integrato in questa socierà che cerca di avvicinare l’avvenire e di rendere più rapido possibile il processo in avanti, contro tutte le forze reazionarie ».

Cardenal parla di Dio - meglio, fa i conti con Dio - in una forma che può sembrare troppo ovvia, talvolta ingenua. L’assenza di Dio, a esempio, non è mai vista come una fatalità metafisica del tempo moderno, ma è sempre sperimentata come concreta mancanza di aiuto da parte dell'uomo. Come nei Salmi antichi, anche qui si bilanciano dubbio e fede, ma non in senso intellettuale - come nel problema dell’esistenza di Dio - beinsì in un senso esistenziale, nell’arco che va dalla disperazione a quella speranza cui l’orante si abbandona. La domanda sempre ricorrente è quindi questa: ma "quando, infine, Dio interverrà?

Così l'ateismo che appare nei Salmi, non è tanto una contrapposizione teorico-filosofica, quanto una realtà pratrica. Anche l’ateo ha le sue divinità - stelle del cinema o capi politici - a cui attacca il cuore e per cui farebbe tutto: quello che gli manca - e per cui talvolta siì decide alla fede in Dio - è la speranza che tiene conto dei diseredati. In questi Salmi e nei confronti di questa realtà sono atei soltanto coloro che senza speranza si sono abbandonati in potere delle forze cieche. Essere ateo, significa rassegnarsi: Dio e la rivoluzione sono il grande tema di queste poesie.

Ma perché mai Ernesto Cardenal, che prima aveva tradotto Catullo e Marziale, aveva composto poesie di amore ed epigrammi rivoluzionari, ha voluto riprendere il linguaggio dei Salmi? Quale aspetto vi ha l'io del credente, che vi si esprime? Perché si vuole identificare con l’orante antico-testamentario? Che cosa significa - nel contesto di queste poesie - credere in Dio? Se si cerca di descrivere la teologia che sottostà a queste poesie e le condiziona, si mettono in evidenza tre caratteristiche, che d’altronde si presentano anche in altri luoghi del mondo, dove è messa in gioco la fede:

 

TERRESTRITÀ - SOLIDARIETÀ – UNIVERSALITÀ

 

Nei Salmi di Cardenal, la religione non può mai apparite come oppio del popolo. Nulla distrae e aliena verso un al di là, un al di sopra, un dopo. Non viene mai a galla un tipo di conforto che potrebbe rendere infedeli ai conforti di questa terra. Di questa ‘terrestrità’, intesa sia in senso giudaico che in senso cristiano, fa parte la solidarietà con tutti i diseredati, il grido di dolore con tutti i sofferenti. Non è presunzione di sopravvissuti il modo di parlare di Cardenal: parla degli uccisi di Auschwitz con un ‘noi’, osa comprendere anche se stesso nel ‘popolo di Dio di Auschwitz’, parla della ‘nostra’ pelle e del ‘nostro’ grasso. A chi considera da lontano la storia del mondo e la poesia, questa può sembrare una confidenza eccessivamente grossolana con i morti, un livellamento della loro sofferenza unica e irripetibile. Ma la categoria della solidarietà, che qui entra in gioco, non si può fondare storicamente, non si può indicare empiricamente, non si può fermare a una razza o a un popolo. È una categoria mistica, nel senso stretto del termine: è nella fede che si concepisce la solidarietà della sofferenza. Della sofferenza la ragione sa che si tratta di un ‘guasto’ degli altri: non sa dire molto di più. La poesia di Cardenal è terrestre, solidale, universale. Lo si vede più chiaramente che mai nel Salmo che prega Cristo sulla croce: anche qui ci troviamo sotto gli occhi la preghiera di un uomo di questo mondo, interamente, di un uomo che non si contenta di una innocua fetta di questo mondo. Questa nuova e cristiana terrestrità è totale, si apre a tutti i sofferenti: il soggetto, l’io, che si mette in luce negli appelli di questi Salmi è semplicemente l’uomo, senza scelte è senza riduzioni, senza dimenticanze e senza rimozioni. Rivolgersi a Dio, significa mettersi dalla parte di tutti gli oppressi.

L’universalità di questa fede trae origine non soltanto dalle sofferenze della storia: trova addizionale conferma anche nella lode di tutte le creature e per questa lode assume perfino i risultati delle ricerche spaziali e della biologia molecolare, come ha fatto a esempio, Teilhard de Chardin in La messa sul mondo.

Si trovano accostati gli uni accanto agli altri i Salmi dai campi di concentramento e quelli che, non contenti di lodare stelle e atomi, cantano anche gli spazi interstellari è il vuoto fra gli atomi. Poter soffrire e poter lodare si uniscono insieme. Questa terrestrità sperimenta più felicità - e ancor più infelicità - di quanta non ne sia posta in gioco dalla vita pianificata dell’odierno consumatore. Rivolgendosi a Dio, l'uomo raggiunge la massima possibile intensità di vita. Soffre e loda. Una connessione compiuta dall’arte o dalla fede? Sia l’arte che la fede compiono la stessa cosa: riducono nelle dimensioni dell’uomo anche quello che c'è di più estremo, lo comprendono nel suo mondo, quel mondo che l'uomo insieme soffre e rappacifica nella lode: niente e nessuno - né di conscio né di inconscio - resta escluso. Non sarebbe pensabile una accettazione maggiore e più completa della nostra realtà.

DOROTHEE SÖLLE

__________________

L'introduzione è stata tradotta dall’edizione tedesca, pubblicata da JUGENDDIENST-VERLAG-WUP-PERTAL, a cura di STEFAN BACIU.



Beato l’uomo

Salmo 1

 

Beato l’uomo

che non segue le parole d'ordine del partito

non assiste ai suoi comizi

non siede a mensa con i gangster

o con i generali nel Consiglio di guerra

Beato l’uomo

che non spia il proprio fratello

non denuncia il compagno di collegio

Beato l'uomo

che non legge gli annunci commerciali

non ascolta le loro radio

non crede ai loro slogan

 

Sarà come un albero piantato presso una sorgente

 

______________

 

Tu mi dai sicurezza

Salmo 4

 

Ascoltami perché t'invoco

Dio della mia innocenza

Tu mi libererai dal campo di concentramento

 

Fino a quando voi leader sarete insensati?

Quando finirete di parlare con slogan

e di fare pura propaganda?

 

Sono molti quelli che dicono:

chi ci libererà dalle loro armi atomiche?

Fa’ splendere Signore la tua faccia serena

sopra le bombe

 

Tu hai dato al mio cuore una gioia

più grande di quella del vino

di cui s’inebriano nelle loro feste

 

Appena mi corico mi addormento

e non ho né incubi né insonnie

non vedo come loro gli spettri delle mie vittime

non ho bisogno del Nembutal

perché tu Signore mi dai sicurezza