giovedì 19 giugno 2025

 

In Medio oriente un nucleare «civile» diventato bomba c’è già: quello di Tel Aviv


di Piergiorgio Pescali


Il programma nucleare israeliano rappresenta uno dei capitoli più controversi della storia del Medio Oriente moderno. Caratterizzato da una politica di “ambiguità strategica” che perdura da decenni, il progetto ha radici nella percezione di vulnerabilità esistenziale che ha accompagnato la nascita di Israele negli anni ’50 sotto la guida di David Ben-Gurion, che considerava le armi nucleari essenziali per la sopravvivenza del paese.

Nel 1957 Israele siglò un accordo segreto con la Francia per la costruzione di un reattore nucleare nel deserto del Negev, presso Dimona. Ufficialmente, il progetto era presentato come iniziativa civile per produzione energetica e ricerca scientifica e venne costruito tra il 1958 e il 1963. Tuttavia, la struttura presentava caratteristiche che andavano oltre le necessità civili: un reattore moderato ad acqua pesante da 26 megawatt e impianti di riprocessamento del plutonio suggerivano chiaramente finalità militari.

Quando gli Stati Uniti scoprirono l’impianto attraverso fotografie aeree nel 1960, il presidente Kennedy convinse Israele a consentire visite tra il 1961 e il 1969, ma queste ispezioni furono inadeguate poiché gli israeliani nascosero le attività più sensibili.

Il velo di segretezza venne squarciato nel 1986 grazie a Mordechai Vanunu, tecnico nucleare che aveva lavorato a Dimona per quasi un decennio. Motivato da convinzioni pacifiste, decise di rendere pubblici i segreti di cui era venuto a conoscenza. Nel settembre 1986, il Sunday Times pubblicò un’inchiesta basata sulle informazioni di Vanunu, corredata da fotografie scattate clandestinamente. Le rivelazioni mostravano che Israele, oltre a possedere un arsenale molto più sofisticato del previsto, aveva prodotto plutonio sufficiente per 100-200 testate nucleari. Le conseguenze per Vanunu furono severe. Attirato con l’inganno a Roma da una spia del Mossad, venne rapito e trasportato segretamente in Israele. Processato a porte chiuse, fu condannato a 18 anni di prigione, 11 in isolamento e anche dopo il rilascio nel 2004, rimane soggetto a severe restrizioni.

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La risposta israeliana consolidò l’ambiguità strategica, basata sulla formula: “Israele non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente”. Questa formulazione permette di beneficiare della deterrenza nucleare senza confermare ufficialmente il possesso di tali armi. L’ambiguità serve a molteplici scopi: mantiene flessibilità diplomatica, evita di provocare una corsa agli armamenti esplicita nella regione, riduce le pressioni internazionali per il disarmo.

Una questione controversa riguarda il ruolo dell’Aiea nel monitoraggio del programma israeliano. Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e non è soggetto alle ispezioni sistematiche dell’agenzia che, quindi, non ha mai condotto ispezioni complete presso Dimona o altri siti israeliani, creando un precedente problematico nel sistema di non proliferazione. L’Assemblea Generale dell’Aiea ha approvato diverse risoluzioni invitando Israele a sottoporre i suoi impianti alle ispezioni, ma le richieste sono rimaste inascoltate.

La questione continua a essere fonte di tensioni nelle conferenze internazionali riflettendo i limiti istituzionali dell’agenzia che non può obbligare stati non firmatari del Tnp ad accettare ispezioni, rispettando sovranità nazionale e principio del consenso. Tuttavia, l’agenzia ha espresso preoccupazione per le implicazioni regionali del programma non sottoposto a controlli.
Rafael Mariano Grossi ha sottolineato che l’applicazione universale delle salvaguardie rappresenta un obiettivo fondamentale, invitando tutti gli stati mediorientali ad aderire al Tnp. L’agenzia si trova però in posizione delicata, dovendo bilanciare legalità internazionale con pressioni politiche.

Oggi il programma nucleare israeliano rimane avvolto nella segretezza, ma la sua esistenza è universalmente riconosciuta. Le stime suggeriscono che Israele possieda tra le 80 e le 400 testate nucleari, rendendolo la sesta potenza nucleare mondiale. La questione continua a influenzare le dinamiche geopolitiche mediorientali, alimentando ambizioni nucleari di altri Paesi e complicando gli sforzi diplomatici per il controllo degli armamenti. La vicenda di Vanunu ricorda come anche nei programmi più riservati, la verità possa emergere attraverso il coraggio di individui disposti a sacrificare tutto per i propri principi.

 

da “Il Manifesto” del 16/6/25