In Medio oriente un nucleare «civile»
diventato bomba c’è già: quello di Tel Aviv
di Piergiorgio
Pescali
Il programma nucleare israeliano rappresenta uno dei capitoli più controversi
della storia del Medio Oriente moderno. Caratterizzato da una politica di
“ambiguità strategica” che perdura da decenni, il progetto ha radici nella
percezione di vulnerabilità esistenziale che ha accompagnato la nascita di
Israele negli anni ’50 sotto la guida di David Ben-Gurion, che considerava le
armi nucleari essenziali per la sopravvivenza del paese.
Nel 1957 Israele siglò un accordo segreto con la Francia per la costruzione di
un reattore nucleare nel deserto del Negev, presso Dimona. Ufficialmente, il
progetto era presentato come iniziativa civile per produzione energetica e
ricerca scientifica e venne costruito tra il 1958 e il 1963. Tuttavia, la
struttura presentava caratteristiche che andavano oltre le necessità civili: un
reattore moderato ad acqua pesante da 26 megawatt e impianti di riprocessamento
del plutonio suggerivano chiaramente finalità militari.
Quando gli Stati Uniti scoprirono l’impianto attraverso fotografie aeree nel
1960, il presidente Kennedy convinse Israele a consentire visite tra il 1961 e
il 1969, ma queste ispezioni furono inadeguate poiché gli israeliani nascosero
le attività più sensibili.
Il velo di segretezza venne squarciato nel 1986 grazie a Mordechai Vanunu,
tecnico nucleare che aveva lavorato a Dimona per quasi un decennio. Motivato da
convinzioni pacifiste, decise di rendere pubblici i segreti di cui era venuto a
conoscenza. Nel settembre 1986, il Sunday Times pubblicò un’inchiesta basata
sulle informazioni di Vanunu, corredata da fotografie scattate
clandestinamente. Le rivelazioni mostravano che Israele, oltre a possedere un arsenale
molto più sofisticato del previsto, aveva prodotto plutonio sufficiente per
100-200 testate nucleari. Le conseguenze per Vanunu furono severe. Attirato con
l’inganno a Roma da una spia del Mossad, venne rapito e trasportato
segretamente in Israele. Processato a porte chiuse, fu condannato a 18 anni di
prigione, 11 in isolamento e anche dopo il rilascio nel 2004, rimane soggetto a
severe restrizioni.
LA REDAZIONE CONSIGLIA:
L’Europa allineata a Israele, ma i vicini dell’Iran temono l’escalation regionale
La risposta israeliana consolidò l’ambiguità strategica, basata sulla formula:
“Israele non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente”.
Questa formulazione permette di beneficiare della deterrenza nucleare senza
confermare ufficialmente il possesso di tali armi. L’ambiguità serve a
molteplici scopi: mantiene flessibilità diplomatica, evita di provocare una
corsa agli armamenti esplicita nella regione, riduce le pressioni
internazionali per il disarmo.
Una questione controversa riguarda il ruolo dell’Aiea nel monitoraggio del
programma israeliano. Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di Non
Proliferazione Nucleare e non è soggetto alle ispezioni sistematiche
dell’agenzia che, quindi, non ha mai condotto ispezioni complete presso Dimona
o altri siti israeliani, creando un precedente problematico nel sistema di non
proliferazione. L’Assemblea Generale dell’Aiea ha approvato diverse risoluzioni
invitando Israele a sottoporre i suoi impianti alle ispezioni, ma le richieste
sono rimaste inascoltate.
La questione continua a essere fonte di tensioni nelle conferenze
internazionali riflettendo i limiti istituzionali dell’agenzia che non può
obbligare stati non firmatari del Tnp ad accettare ispezioni, rispettando
sovranità nazionale e principio del consenso. Tuttavia, l’agenzia ha espresso
preoccupazione per le implicazioni regionali del programma non sottoposto a
controlli.
Rafael Mariano Grossi ha sottolineato che l’applicazione universale delle
salvaguardie rappresenta un obiettivo fondamentale, invitando tutti gli stati
mediorientali ad aderire al Tnp. L’agenzia si trova però in posizione delicata,
dovendo bilanciare legalità internazionale con pressioni politiche.
Oggi il programma nucleare israeliano rimane avvolto nella segretezza, ma la
sua esistenza è universalmente riconosciuta. Le stime suggeriscono che Israele
possieda tra le 80 e le 400 testate nucleari, rendendolo la sesta potenza
nucleare mondiale. La questione continua a influenzare le dinamiche
geopolitiche mediorientali, alimentando ambizioni nucleari di altri Paesi e
complicando gli sforzi diplomatici per il controllo degli armamenti. La vicenda
di Vanunu ricorda come anche nei programmi più riservati, la verità possa
emergere attraverso il coraggio di individui disposti a sacrificare tutto per i
propri principi.
da “Il Manifesto” del 16/6/25