Monarchici e mujahedin,
chi spera di farsi regime in Iran
di Francesca Luci
Mentre le difese aeree iraniane venivano progressivamente neutralizzate, raid
aerei coordinati e missili lanciati da sottomarini colpivano obiettivi
strategici a Natanz, Tabriz, Kermanshah, Shiraz e in numerose altre città.
Contemporaneamente, a Teheran, operazioni mirate hanno portato all’eliminazione
di comandanti militari e scienziati nucleari di primo piano, tutti uccisi
all’interno delle proprie abitazioni. È evidente che Teheran ha interpretato i
segnali di un attacco imminente come semplice guerra psicologica legata al
percorso negoziale.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato il popolo iraniano
a insorgere contro la sua leadership. L’appello, simile a quelli del passato,
non avrà un particolare effetto all’interno del paese. Tuttavia, ancora una
volta, l’offensiva mette in luce la profonda vulnerabilità del sistema di
sicurezza della Repubblica islamica. La precisione delle informazioni a
disposizione dell’intelligence israeliana è sempre stata una spina nel fianco
della Repubblica islamica, una ferita mai rimarginata.
TEHERAN ha fatto il possibile e anche l’impossibile, ricorrendo a mezzi leciti
e illeciti, fino a instaurare uno stato di terrore persino tra i semplici
critici del regime. Eppure, non è mai riuscita a impedire la profonda
penetrazione dei servizi israeliani e dei loro sicari all’interno dell’apparato
statale.
Secondo alcuni storici, la rete dell’intelligence israeliana operativa in Iran
durante la monarchia, indipendente da quella della Cia, non sarebbe mai stata
completamente smantellata dopo la rivoluzione del 1979. La chiave del successo
israeliano risiede probabilmente nel fatto che una molteplicità di servizi
d’intelligence – statunitensi, pakistani, sauditi e dei paesi del Golfo –
sostiene, direttamente o indirettamente, diverse organizzazioni
dell’opposizione iraniana all’estero, così come gruppi separatisti attivi
all’interno.
Ogni organizzazione conta sul supporto di una rete di simpatizzanti presenti
sul territorio, che fungono da snodi informativi e logistici. Il resto delle
informazioni viene ottenuto sfruttando defezioni, fughe dalla repressione e un
diffuso sistema di corruzione.
Nel recente attacco, si ritiene che agenti israeliani siano riusciti a
introdurre missili e droni esplosivi in Iran attraverso una serie di operazioni
segrete, culminate nell’offensiva mortale di venerdì. Per portare a termine
operazioni di questa portata, è impensabile che non ci sia stata una vasta
copertura e complicità a livello locale.
La portata e la precisione dell’operazione suggeriscono che l’offensiva
israeliana sia mirata non solo a colpire obiettivi militari, ma a smantellare
il regime iraniano, come parte del piano di sottomissione degli avversari
regionali e dell’imposizione della propria visione geopolitica sull’intero
Medio Oriente.
Un potere amico ai vertici di Teheran gioverebbe sicuramente ai piani di
stabilità e di egemonia regionale a cui mira Tel Aviv. Tuttavia, è difficile
individuare, nel panorama delle opposizioni favorevoli a Israele, gruppi con
un’influenza tale da poter ricoprire il ruolo di successori della Repubblica
Islamica.
I monarchici costituiscono il gruppo più conosciuto in Iran, grazie ai ricordi
nostalgici della vecchia generazione che tende a idealizzare i tempi passati
come i migliori, dimenticando l’oppressione politica ed economica vigente
durante la monarchia. Un movimento molto frammentato, senza una struttura
rigida, guidato da Reza Pahlavi, ultimo principe ereditario che sempre ha
espresso un forte sostegno a Israele.
QUESTO LEGAME si è rafforzato ulteriormente ad aprile 2023, quando Pahlavi e
sua moglie hanno effettuato una visita ufficiale in Israele, accolti
calorosamente da Netanyahu. Durante il soggiorno, la coppia ha visitato diverse
località e Pahlavi ha pregato al Muro del Pianto, scegliendo di evitare la
moschea di Al-Aqsa. Una figura che, nell’Iran attuale, difficilmente potrebbe
andare oltre il ruolo che Ahmed Chalabi ha avuto in Iraq dopo la caduta di
Saddam Hussein.
I Mujahedin del Popolo Iraniano/Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana
rappresentano con ogni probabilità il gruppo di opposizione più organizzato e
temuto dalla Repubblica islamica, sebbene studi e sondaggi indichino che godano
di un sostegno minimo all’interno del paese: origini marxiste-islamiche e un
passato controverso, segnato dall’alleanza con Saddam durante la guerra Iran-Iraq,
fatto che agli occhi di molti iraniani equivale a un tradimento. Dopo
l’invasione americana in Iraq, i membri sono stati trasferiti prima a Camp
Liberty e poi in Albania.
Sostenuti da Stati uniti e Arabia saudita, sono stati accusati di attività
opache, comportamenti di stampo settario e attività di terrorismo, oltre che di
un’aggressiva attività di lobbying in ambienti politici statunitensi ed
europei. L’organizzazione non sembra disporre né della forza né del sostegno
popolare necessari per rappresentare un punto di riferimento unificante
all’interno del paese.
I partiti di opposizione delle minoranze etniche, come i curdi o i beluci, pur
avendo una certa influenza a livello locale, sono percepiti come organizzazioni
separatiste che il nazionalismo iraniano non riesce a tollerare. È difficile
prevedere un’insurrezione popolare in questa fase: nonostante il malcontento
diffuso tra la popolazione, è molto probabile che il sentimento nazionalista
finisca per prevalere a tutela dell’integrità nazionale.
da “Il Manifesto” del 16/6/25