giovedì 19 giugno 2025

 

Monarchici e mujahedin,

chi spera di farsi regime in Iran

di Francesca Luci


Mentre le difese aeree iraniane venivano progressivamente neutralizzate, raid aerei coordinati e missili lanciati da sottomarini colpivano obiettivi strategici a Natanz, Tabriz, Kermanshah, Shiraz e in numerose altre città. Contemporaneamente, a Teheran, operazioni mirate hanno portato all’eliminazione di comandanti militari e scienziati nucleari di primo piano, tutti uccisi all’interno delle proprie abitazioni. È evidente che Teheran ha interpretato i segnali di un attacco imminente come semplice guerra psicologica legata al percorso negoziale.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato il popolo iraniano a insorgere contro la sua leadership. L’appello, simile a quelli del passato, non avrà un particolare effetto all’interno del paese. Tuttavia, ancora una volta, l’offensiva mette in luce la profonda vulnerabilità del sistema di sicurezza della Repubblica islamica. La precisione delle informazioni a disposizione dell’intelligence israeliana è sempre stata una spina nel fianco della Repubblica islamica, una ferita mai rimarginata.

TEHERAN ha fatto il possibile e anche l’impossibile, ricorrendo a mezzi leciti e illeciti, fino a instaurare uno stato di terrore persino tra i semplici critici del regime. Eppure, non è mai riuscita a impedire la profonda penetrazione dei servizi israeliani e dei loro sicari all’interno dell’apparato statale.

Secondo alcuni storici, la rete dell’intelligence israeliana operativa in Iran durante la monarchia, indipendente da quella della Cia, non sarebbe mai stata completamente smantellata dopo la rivoluzione del 1979. La chiave del successo israeliano risiede probabilmente nel fatto che una molteplicità di servizi d’intelligence – statunitensi, pakistani, sauditi e dei paesi del Golfo – sostiene, direttamente o indirettamente, diverse organizzazioni dell’opposizione iraniana all’estero, così come gruppi separatisti attivi all’interno.

Ogni organizzazione conta sul supporto di una rete di simpatizzanti presenti sul territorio, che fungono da snodi informativi e logistici. Il resto delle informazioni viene ottenuto sfruttando defezioni, fughe dalla repressione e un diffuso sistema di corruzione.

Nel recente attacco, si ritiene che agenti israeliani siano riusciti a introdurre missili e droni esplosivi in Iran attraverso una serie di operazioni segrete, culminate nell’offensiva mortale di venerdì. Per portare a termine operazioni di questa portata, è impensabile che non ci sia stata una vasta copertura e complicità a livello locale.

La portata e la precisione dell’operazione suggeriscono che l’offensiva israeliana sia mirata non solo a colpire obiettivi militari, ma a smantellare il regime iraniano, come parte del piano di sottomissione degli avversari regionali e dell’imposizione della propria visione geopolitica sull’intero Medio Oriente.

Un potere amico ai vertici di Teheran gioverebbe sicuramente ai piani di stabilità e di egemonia regionale a cui mira Tel Aviv. Tuttavia, è difficile individuare, nel panorama delle opposizioni favorevoli a Israele, gruppi con un’influenza tale da poter ricoprire il ruolo di successori della Repubblica Islamica.

I monarchici costituiscono il gruppo più conosciuto in Iran, grazie ai ricordi nostalgici della vecchia generazione che tende a idealizzare i tempi passati come i migliori, dimenticando l’oppressione politica ed economica vigente durante la monarchia. Un movimento molto frammentato, senza una struttura rigida, guidato da Reza Pahlavi, ultimo principe ereditario che sempre ha espresso un forte sostegno a Israele.

QUESTO LEGAME si è rafforzato ulteriormente ad aprile 2023, quando Pahlavi e sua moglie hanno effettuato una visita ufficiale in Israele, accolti calorosamente da Netanyahu. Durante il soggiorno, la coppia ha visitato diverse località e Pahlavi ha pregato al Muro del Pianto, scegliendo di evitare la moschea di Al-Aqsa. Una figura che, nell’Iran attuale, difficilmente potrebbe andare oltre il ruolo che Ahmed Chalabi ha avuto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein.

I Mujahedin del Popolo Iraniano/Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana rappresentano con ogni probabilità il gruppo di opposizione più organizzato e temuto dalla Repubblica islamica, sebbene studi e sondaggi indichino che godano di un sostegno minimo all’interno del paese: origini marxiste-islamiche e un passato controverso, segnato dall’alleanza con Saddam durante la guerra Iran-Iraq, fatto che agli occhi di molti iraniani equivale a un tradimento. Dopo l’invasione americana in Iraq, i membri sono stati trasferiti prima a Camp Liberty e poi in Albania.

Sostenuti da Stati uniti e Arabia saudita, sono stati accusati di attività opache, comportamenti di stampo settario e attività di terrorismo, oltre che di un’aggressiva attività di lobbying in ambienti politici statunitensi ed europei. L’organizzazione non sembra disporre né della forza né del sostegno popolare necessari per rappresentare un punto di riferimento unificante all’interno del paese.

I partiti di opposizione delle minoranze etniche, come i curdi o i beluci, pur avendo una certa influenza a livello locale, sono percepiti come organizzazioni separatiste che il nazionalismo iraniano non riesce a tollerare. È difficile prevedere un’insurrezione popolare in questa fase: nonostante il malcontento diffuso tra la popolazione, è molto probabile che il sentimento nazionalista finisca per prevalere a tutela dell’integrità nazionale.

 

da “Il Manifesto” del 16/6/25