Per un superamento di una teologia patriarcale
"L'unica storia crea stereotipi. E il
problema degli stereotipi non è che sono falsi, ma che sono
incompleti. Trasformano una storia in un'unica storia
[...]. La conseguenza di un'unica storia è questa: sottrae alle
persone la propria dignità"'.
La cultura patriarcale ha creato la teologia patriarcale e quest'ultima
ha raccontato l'esistenza del rapporto che un'unica parte
dell'umanità, quella degli uomini, ha intessuto nei secoli con
Dio. Probabilmente non è stato il caso a far si che il divino spesso
si sovrapponesse e a volte fondesse con il genere maschile. Da sempre
i monoteismi sono stati movimenti di dominazione maschile e
sottomissione delle donne. Nella contemporaneità, essi hanno cospirato
con il neoliberismo per costruire un sistema globale economico, politico,
spirituale totalmente centrato sul desiderio di dominio maschile e il
controllo dei corpi femminili.
Come accade nel mondo dei mercati, che determinano
l'esistenza della gente offrendo non tanto un prodotto per
soddisfare dei bisogni, quanto uno stile di vita attraverso la
filosofia che il marchio che rappresentano propone, i monoteismi
attraverso la vendita del marchio Divino, hanno controllato
ancora impongono uno stile di vita, nel quale offrono, in
particolare alle donne, ma anche ai soggetti abietti paragonabili a
esse, sottomissione, sacrificio, silenzio.
"L’umanità è fatta di donne e uomini. Usare la parola uomini
anche per le donne è stata una prepotenza patriarcale le donne sono un essere
umano sono l'umanità. Ci deve essere un senso libero della differenza sessuale
la differenza uomo-donna invece è stata trasformata in stereotipi.”.-
sostiene Luisa Muraro. Il mondo è stato diviso, grazie alla
teologia patriarcale, tra coloro che erano come Dio e coloro che
non erano neanche simili a coloro che erano simili a Dio,
grazie al fatto che indossavano un corpo come quello usato dalle
incarnazioni divine o dai suoi diretti profeti. Gli uomini sono
sempre stati i protagonisti principali di ogni normativa religiosa
monoteista, che si è tradotta socialmente, attestata anche da Dio attraverso
le Scritture, e imposta al resto
della popolazione: donne, persone LGBTQA (Lesbia, Gay,
Bisexual, Transgender, Queer/Questioning, Intersex, And Allies) diversamente
abili, ecc.
Letizia Tomassone ci dice che: "È stato il patriarcato
a rendere le donne vulnerabili e dunque oggetto di atti di
salvazione; le ha rese anche peccatrici e colpevoli, e dunque
tenute a umiliarsi e a chiedere perdono. E l'umiliazione, il perdono,
la salvezza, per le donne passano attraverso il silenzio".
I monoteismi rappresentano i luoghi popolati di persone che non
prendono posizione di fronte alla discriminazione di genere perché è proprio
dentro le strutture delle molte fedi viventi che le donne non hanno la
possibilità di accostarsi né ai testi sacri, né alla predicazione. Silenzio che
si espande alle contraddizioni del neoliberismo, allo stato di guerra
permanente, in cui molti popoli vivono, all'oppressione dei soggetti LGBTQA.
Chiese, sinagoghe, moschee vivono nella "lacuna del
presente", come la chiama Hannah Arendt; sono protese, cioè, verso un
passato significativo, quello dell'incarnazione di Dio attraverso Gesù Cristo o
del Dio annunciato dai suoi eccelsi profeti maschi. Passato che non riesce a
risignificarsi nell'oggi; oppure, al contrario, propone una dimensione
escatologica futura del Regno che verrà, così lontana e
imprendibile da essere inutile.
Quella "lacuna del presente" che per Hannah Arendt potrebbe
essere capace di affermare un proprio cammino "in grado di correggere
radicalmente la logica rovinosa dello scontro tra passato e futuro"
offrendo all'umanità quel presente che è la radice del nostro essere, e quindi
quella possibilità di saper parlare al proprio tempo.
Le donne hanno quindi un rapporto difficile con la storia in genere,
perché la storia è stata raccontata solo da una parte dell'umanità, quella che
aveva il potere di farlo, ed è diventata una storia unica. Come se non
bastasse, anche la storia delle teologie le ha relegate nella sfera
dell'irrilevante. La teologa cattolica Elizabeth S. Fiorenza attribuisce
l'invisibilità e il silenzio delle donne non alla parola biblica, ma alle
strutture patriarcali della chiesa, che vengono mantenute tali da una teologia
androcentrica, cioè definita da uomini.
"L'immagine biblica e popolare di un Dio simile a un
grande patriarca celeste, che ricompensa o punisce secondo la propria
misteriosa e apparentemente arbitraria volontà, ha dominato la fantasia di
milioni di persone per migliaia di anni. Il simbolo del Dio Padre, proliferato
nell'immaginazione umana e reso credibile dal patriarcato, a sua volta ha reso
un servizio a questo tipo di società, facendo sembrare giusti i suoi meccanismi
per l'oppressione della donna.
Se Dio nel suo (di lui) cielo è un padre
che governa il suo (di lui) popolo, allora è nella natura delle cose e conforme
al progetto divino che la società sia governata dai maschi"" [...]
"se Dio è maschio, allora il maschio è Dio. Il patriarca divino continua a
castrare le donne finché gli si consente di sopravvivere nell'immaginazione
umana"
Così Mary Daly nel 1973 denunciava le chiese cristiane, il loro
operato, la loro perenne adesione a quel patriarcato che coltivava il suo
potere attraverso le strutture sessiste. Dio è stato quindi addomesticato e
condizionato dalle diverse confessioni, affinché potesse supportare quelle
strutture di oppressione create dall'avidità umana: dall'esclusione delle donne
dai ruoli ecclesiali, al fatto che per esse non fosse previsto uno specchio
trascendente nel quale riflettersi; dalla proibizione dell'aborto, anche in
caso di stupro di massa, all'uso della parola peccato legato
frequentemente al corpo femminile.
Ciò accade in tutti i monoteismi con sfumature diverse.
Ci dice Marisa lannucci, rispetto all'Islam: "Accanto ai
falsi profeti vi sono poi ahadith del Profeta o versetti coranici che, pur
essendo stati ampiamente spiegati dagli esegeti nei secoli passati, vengono
interpretati in modo del tutto arbitrario, trasmettendo un messaggio sessista
che contraddice il senso della Sunnae del Corano e i suoi principi
generali".
Potremmo allora sostenere che da un lato è conclamata la presenza ,
nei monoteismi, di un’ ermeneutica dei testi sacri viziata dal manto della
lettura universale del testo, nonostante sia invece fatta quasi esclusivamente
a cura dei maschi; dall'altro, però, è indubbio che molti degli elementi che
giocano a favore dell'esclusione delle donne dalle sinagoghe, dalle chiese e
dalle moschee risiede nell'organigramma del potere ecclesiastico.
Nibras Breigheche, che è tra coloro che hanno fondato di recente
l'Associazione Islamica Italiana degli imam e delle guide
religiose nel 2011, sostiene da tempo che non vi è alcun impedimento affinché
un alim, cioè una guida religiosa che ha una formazione
specificatamente teologica e giuridica nonché accademica, possa essere una
donna. Il problema è, però, che mentre in passato, nella letteratura islamica,
sono citati casi nei quali i detti del profeta sono stati trasmessi attraverso
le donne, oggi non vi sono alim riconosciute.
Anche il ruolo dell'imam potrebbe essere quello di una donna,
visto che le donne, già da qualche anno, si avvicinano allo studio del Corano.
Nella concretezza, però, in Italia non vi sono imam donne che
guidano le preghiere di gruppi misti, non perché non sappiano i testi a
memoria, piuttosto perché è davvero sconveniente per una donna prostrarsi
davanti a degli uomini.
Anche nell'ebraismo è soltanto la corrente riformata che riconosce
le rabbine. In ambito ortodosso, invece, vi è un e enorme paradosso: mentre gli
uomini studiano la Torah tutto il giorno, le donne lavorano
fuori casa, mantenendo economicamente la famiglia, e il sabato stanno a casa
con le figlie e i figli piccoli, senza poter andare in sinagoga perché in quel
giorno è impossibile trasportare qualsiasi cosa, afferma Miriam Camerini,
neanche un bambino che è equiparato a un oggetto. È questa la prima normativa
ebraica che Camerini, che diventerà la prima rabbina ortodossa, vuole
correggere, liberando le donne nel giorno del sabato ed emancipandole, e
liberando i bambini dallo statuto di oggetto.
C'è sempre un se e un ma, prima di
poter vedere le donne mentre officiano la messa, guidano una preghiera islamica
o cambiano la normativa ebraica.
Siamo allora arrivate a questo punto per un motivo: per il peccato
di genere che è un peccato totalmente maschile; il genere maschile ha
estromesso le donne dal sacro, proibendo loro di diventare pastore o prete
o imam o rabbine. Così come è peccato maschile controllare il
corpo delle donne.
Nel Sinodo abbiamo chiesto alle chiese di vegliare sui peccati
di genere che scaturiscono nella nostra cultura e che infettano le
nostre chiese. In molte famiglie anche cristiane, le donne subiscono violenze e
abusi, e questo non deve essere più possibile. Oggi, come nel passato,
l'intelligenza delle donne segna l'esistenza umana, anche se spesso non è
riconosciuta. E questo è un peccato, un peccato di genere, un peccato maschile,
che ha rinchiuso le donne nella sfera dell'irrilevante, mentre esse sono soggetti
desiderati da Dio, che le ha volute, come ha voluto gli uomini, per co-creare
il mondo. Le donne hanno aperto nuovi orizzonti simbolici non solo alle donne
ma anche per gli uomini, ai quali hanno insegnato che il mondo è fatto almeno
di due generi, e non solo di uno. I monoteismi hanno violato la differenza
femminile. Rimane quindi il problema di fondo che nel sistema patriarcale
androcentrico e misogino le donne hanno subito l'addomesticamento del
"Genio" delle donne che come sempre porta con sé l'impedimento della
ri-membranza delle azioni e delle parole delle madri che ci hanno
preceduto", proprio perché di loro è rimasto apparentemente poco.
Una delle piste interessanti che potrebbero essere considerate per
il superamento del patriarcato nei monoteismi potrebbe essere quella di
eliminare la logica binaria ed eterosessuale, con la quale si è interpretato il
mondo. Se si realizzasse, come ci suggerisce Federico Zappino, "la
decostruzione delle dicotomie che strutturano l'ordine del discorso dominante
eterosessuale, con le loro implicite attribuzioni di valore e disvalore, e
l'invocazione di un modo di pensare non-dualistico, inteso come radicalmente
opposto al dualismo maschio/ femmina che struttura l'eterosessualità"'
forse non si cadrebbe più nella trappola di stabilire una subalternità di uno
dei due generi.
Se fossimo capaci di moltiplicare i generi, ed è questo ciò che ci
dice oggi la realtà LGBTQA, i soggetti abbietti sarebbero così tanti da poter
sgonfiare il potere del patriarcato e riuscire finalmente a renderci conto che
tutta l'umanità è inclusa nello sguardo di Dio perché: “...] all'interno
di Dio noi viviamo, cresciamo, moriamo, e alimentiamo quella forza che ci tiene
insieme, individualmente e collettivamente |.... Credo che "questa forza
in relazione" è sacra perché ci contiene tutte/i insieme al di là delle
nostre capacità di immaginazione e perché noi possiamo darle nuova energia,
incarnandola e riportandola in vita nel mondo. Questo è ciò che possiamo fare
insieme. Credo che questa forza relazionale sia lo stesso Dio che ha originato
la scintilla di ogni vita e che ha infuso la sua presenza, in perenne
movimento, al nostro fratello Gesù, allo stesso modo in cui accompagna
me e te ad ogni nuovo giorno"
Forse ci manca questa consapevolezza per far sì che vi sia un
equilibrio di storie plurali tutte in grado di raccontare di quel Dio che ama
la sua umanità proprio nella sua diversità.
Daniela Di Carlo, Esodo, Il
Maschile nelle religioni e oltre