QUANDO I FRATELLI SE NE VANNO – 2
Qui puoi sfogliare questo segmento del libro
https://www.sfogliami.it/fl/316180/yf71tfqjjbepdje5tzqnfmse8sn6rn
_________________
La comunità e la morte
Il primo impatto con il dolore.
La morte di Linda e Renato ci ha colti impreparati, dando uno scossone alla comunità e costringendoci a riflettere sul problema della morte. Diciamo ‘costringendoci’ perché si tratta di un problema che generalmente si tende a rimuovere e che viene affrontato solo quando si è colpiti nei propri affetti.
L’esperienza vissuta ha messo in crisi le nostre certezze, le sicurezze che ognuno di noi aveva: di fronte alla morte ci si sente spogli, si avverte come uno scossone che priva l’albero dei rami secchi, dei frutti fittizi, fa una potatura eliminando il secco e tenendo la parte sana.
L’atteggiamento comune a tutti è stato di sgomento, disorientamento, angoscia e rabbia; è stata una grande passione: sei scosso, ne soffri, sei quasi violentato. F’ la stessa sensazione che traspare dall’episodio evangelico della morte di Gesù: “Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la regione, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre Gesù gridò molto forte “Elì, Elì, lemà sabactani”, che significa “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Alcuni presenti non capirono bene queste parole e dissero: “Chiama il profeta Elia!”. Subito uno di loro corse a prendere una spugna, la bagnò nell’aceto, la fissò in cima ad una canna e la diede a Gesù per farlo bere.
Ma gli altri dissero: “Aspetta, vediamo se viene il profeta Elia a salvarlo!”.
Ma Gesù gridò ancora forte, e poi morì” (Matteo 27, 45-50).
Non è qualcosa che ha assalito solo le nostre riflessioni e le nostre emozioni, ma siamo stati presi in un vortice. F’ stato un accavallarsi di sensazioni e sentimenti di fronte alla scomparsa di due fratelli che fino al giorno prima avevano condiviso con noi gioie e lotte, passioni e sconfitte. Un uomo e una donna che avevano scelto di vivere non solo per sé, ma anche per gli altri, cercando di seguire l’insegnamento di Gesù nella quotidianità.
Non vogliamo con questo cadere nel rischio di ‘santificare’ le persone, come spesso fa la chiesa cattolica.
Renato e Linda restano due di noi, uomini e donne nel bene e nel male, perché sono stati peccatori come noi; come tutti erano portatori di ‘grazia’, avevano in sé dei doni e un messaggio da trasmettere che anche noi, pur percorrendo un cammino comune, non siamo riusciti a cogliere fino in fondo.
La nostra reazione immediata è stata quella di stare vicini gli uni agli altri e ai parenti di Renato e Linda, di ricordare episodi di vita comune, parole, immagini, perché ci sembrava in questo modo di sentirli presenti in mezzo a noi.
Questo primo modo di reagire si è manifestato con silenzi di diverso significato, con preghiere taciute o espresse, senza un prima e un dopo, in un intreccio di emozioni e sentimenti. Si è trattato di una reazione sostenuta dall’affetto che ci legava e da manifestazioni di solidarietà, perché erano soprattutto degli amici con rapporti più o meno profondi con ciascuno di noi.
La comunità è stata importante, perché nessuno di noi avrebbe trovato, da solo, consolazione; c’era il bisogno di guardarsi negli occhi, di tenersi per mano, di piangere insieme, quasi sperando di ritrovare negli altri fratelli e in un luogo fisico (la sede delle nostre riunioni) un ultimo legame con Renato e Linda.
In questo cammino siamo proprio stati persone, con la nostra identità, le nostre storie; oggi, ricordando, vediamo la bellezza di un percorso diversificato anche di fronte alla morte e alla risurrezione.
Una fede disorientata di fronte alla morte.
In questo primo impatto la fede non ha agito su di noi in modo conscio, ma si è espressa attraverso una solidarietà semplice e spontanea.
Molti di noi hanno riscontrato l’aspettativa del miracolo ed in questo senso avveniva la richiesta di aiuto divino.
Di fronte alla impossibilità di cambiare gli avvenimenti abbiamo sperimentato il silenzio di Dio, interpretato da alcuni come sua impotenza, da altri come non intervento nella vita degli uomini. “Veramente tu sei un Dio nascosto” (Isaia 45,15). Abbiamo verificato che la fede non ci libera dall’assurdoe non ci rende invulnerabili od eroici di fronte al dolore.
Anche in questa situazione la fede non è stata un’esperienza intellettuale, ma fortemente condizionatandalla vita quotidiana. L’incontro con la sofferenza e la morte, in un primo momento, è stato vissuto in modo totalmente umano, non diversamente da qualsiasi altra persona, anche non credente.
La riflessione di fede
Dopo aver provato il disorientamento della nostra fede, ci siamo trovati da soli, ognuno con il proprio modo personale di credere in Dio, a domandarci quali risposte fosse in grado di dare la fede nell’esperienza del dolore e della morte.
Attenuatasi l’emotività che aveva contraddistinto i primi momenti, abbiamo dunque tentato di ripercorrere il nostro vissuto, ricercando una risposta a questo interrogativo e iniziando, non senza difficoltà, a comunicarci l’un l’altro il nostro impatto con il dolore, per verificare se ci fosse tra di noi una corrispondenza. Sono emerse, durante il confronto comunitario, due riflessioni che vi proponiamo.
Rifiuto della morte o momento di conversione per chi rimane?
“La morte non è qualcosa di assurdo, di incomprensibile, fa parte del processo naturale delle cose che stanno intorno a noi; vi è in ogni essere vivente un inizio e una fine. Ciò che non ha senso è la sofferenza che la morte produce in noi: non è la morte in sé che sconvolge, ma il vuoto, il disorientamento che produce nella nostra vita. Il dolore nasce dall’abitudine ad avere accanto una persona e dal non sapersi rassegnare all’improvvisa perdita di questa”.
“Nel rifiuto della morte, se non altro, ci si rassegna di più per la perdita di una persona anziana, cioè di
una persona che ha compiuto un ciclo vitale; invece la morte di un giovane mette in crisi le sicurezze e l’ottimismo: è inaccettabile che una vita si spezzi prima di aver compiuto il suo ciclo. La vita è un processo evolutivo nel corso del quale si operano delle scelte e si progetta il futuro; è assurdo che tutto ciò sia interrotto dalla morte”.
“Sì può proprio morire dall’oggi al domani; ho perso molto tempo in questi ventotto anni, mi dispiacerebbe molto morire adesso, perché non ho ancora fatto le cose in cui credo, ho perso tempo.... la morte ti misura per quello che hai fatto, ti rendi conto che non è vero che hai sempre tempo davanti”:
“Rispetto alla mia fede, in quei giorni non ci ho mai pensato, anche se ho partecipato all’eucarestia; forse era un rito, l’ho fatto senza credere o pensare alla risurrezione. Oggi penso che la fede c’entri, perché è un fatto che mi tiene legata a Renato, con cui ho condiviso questa esperienza. Lo frequentavo in comunità e quando ci vengo penso sempre che ciò che facciamo lo avremmo fatto insieme a lui. C’entra perché la fede ha rappresentato un filo di solidarietà tra di noi, ci stavamo vicino perché pensavamo la vita in un certo modo, avevamo come denominatore comune l’esperienza di fede”.
L’assurdità di queste due morti, di due giovani nel pieno della loro progettualità, è emersa in tutti gli interventi comunitari ma, si voglia accettare o no, è un dato con il quale non si può evitare il confronto. La morte può rappresentare un momento di conversione: il senso forse ultimo di qualsiasi morte è un tentativo di convertirsi da parte di chi continua a vivere. Questa esperienza deve spingerci a sradicare dalla nostra mente tutti gli schemi relativi alle persone, a conoscerle in modo più profondo, a superare i preconcetti.
Tale riflessione ci è stata dettata dal rapporto che abbiamo vissuto con Renato nel periodo della malattia:
si è rivelato diverso da come appariva prima, usciva dai nostri schemi mentali. Così si esprime un fratello della comunità: “Portare Renato dentro di me è tentare di approfondire ogni nostro aspetto, di ritrovare un modo di essere persone. Se la morte non serve a convertirci, è inutile, è terra che ritorna terra”.
La risurrezione che spetta a noi
A partire dall’esperienza della morte dobbiamo trovare uno spirito nuovo di fronte alla vita, acquisire una nuova speranza costruita su dei valori di vita. Cristo risorto dovrebbe trasformare la morte in qualche cosa che non finisce lì, ma va oltre; questa è una speranza che nasce dal fatto che Dio non ha abbandonato suo figlio nella morte.
“La domenica di buon mattino, le donne andarono al sepolcero di Gesù, portando gli aromi che avevano preparato per a sepoltura. Videro che la pietra che chiudeva il sepolcro era stata rimossa. Entrarono nel sepolcro, ma non trovarono il corpo del Signore Gesù. Le donne stavano ancora Îì senza sapere che cosa fare, quando apparvero loro due uomini, con vestiti splendenti. Impaurite, tennero la faccia abbassata verso terra. Ma quegli uomini dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Egli non si trova qui, ma è risuscitato! Ricordatevi che ve lo disse quando era ancora in Galilea. Allora diceva: “E’ necessario che il figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai nemici di Dio e questi lo crocifiggeranno. Ma il terzo giorno egli risusciterà” (Luca 24, 1-7)
Gesù infatti ci ha detto che avremmo dovuto sperare oltre la morte, che Dio non ci avrebbe abbandonato.
Questo episodio evangelico sta a dimostrare che la comprensione del messaggio di vita e di risurrezione non è così immediata, a portata di mano; ci si arriva pregando, riflettendo, radunandosi, discutendo e ascoltando. Solo così la Parola di Dio può diventare albero, speranza, pietra fondante in mezzo a noi.
E la Parola che tentiamo di far diventare pietra fondante passa attraverso “l’evento per eccellenza: l’esodo
di Cristo dalla tomba, la Pasqua, che è quel passaggio dalla morte alla vita che fonda una fede, ma anche una speranza.....” (F. Gentiloni: Esodo dalla storia - Il manifesto - 2/1/86).
La risurrezione di Gesù Cristo dai morti e l’evento del Regno dei cieli che Egli ci propone sono realtà che esulano dalla scienza storica.
Non viviamo la risurrezione come un fatto storico, ma come un mistero della fede; senza risurrezione non avrebbe senso la fede, come ci dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1 Corinzi 15, 12-14)
Ma se non riusciamo a spiegare l’evento della risurrezione, a razionalizzarne il significato, il passaggio dalla morte alla vita, ad una vita nuova, ci coinvolge appieno nel nostro oggiì, nell’essere attivi nella vita presente, senza estraniarcene o isolarci.
Occorre fare come i discepoli: la risurrezione cambiò la loro vita: bisogna che cambi anche la nostra.
Dobbiamo radicare le nostre speranze nella prassi di Gesù: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Incarnandoci in questa prassi, potremo realizzare nella nostra breve vita l’impegno di dedizione e di attenzione ai più deboli che ci permette di attuare un “pezzo” di Regno di Dio qui ed ora.
La risurrezione che spetta a noi non può rimanere in bilico sulla morte e risurrezione; la nostra fede deve essere tutta sbilanciata da una parte. La memoria di Linda e Renato non può fermarsi al suffragio, al funerale, come quasi sempre accade quando qualcuno muore, ma è un ricordo triste che deve vivere nella speranza della fede.
È essenziale che questo modo di porsi si traduca nel rapporto che noi instauriamo con gli altri. Occorre essere immersi nella storia attraverso i movimenti di liberazione, l’impegno nel sociale e contro l’emarginazione, il movimento per la pace, il sindacato. I mutamenti sociali passano attraverso l’impegno che noi possiamo dare per cambiare una società ancora troppo divisa in classi dove le povertà vecchie e nuove sono in aumento e di conseguenza non ci è permesso chiuderci in casa. La risurrezione che spetta a noi è una “resistenza”: continuare a vivere la nostra fede, testimoniandola agli altri significa, anche, resistere alle tentazioni di questa società, alle sue deviazioni.
La comunità è fondamentale per riuscire nel nostro cammino; essa ci ha rinsaldati nella fede e nell’amicizia nei momenti di sconforto e ci ha uniti nelle diversità quando il dibattito era forte e partecipato. Esiste una parte di Regno di Dio da edificare come comunità che consiste nel perseverare ponendo mano all’aratro senza voltarsi indietro, come ha detto Gesù di Nazareth.
Ma come è possibile concretizzare questo impegno?
Innanzitutto vivendolo pienamente; affermare che dalla vittoria sulla morte deriva un impegno per la nostra fede, significa andare al di là della morte di Linda e di Renato. Realizzare una parte del Regno di Dio oggi è una conseguenza-dovere che noi ci siamo assunti insieme a loro nel momento in cui abbiamo scelto di stare dalla parte degli ultimi, perché in ogni uomo che soffre c’è un pezzo di risurrezione da realizzare.
(continua)