Lezioni di politica
Ricordo del
presidente dell’Uruguay Pepe Mujica: dal carcere ai movimenti popolari,
dall’idea di politica alla lotta al capitalismo.
Se ancora esistessero delle serie scuole di partito o dei percorsi di
formazione politica, lo studio del Presidente dell’Uruguay, Josè Alberto Mujica
Cordano, meglio noto semplicemente come Pepe Mujica che ci ha lasciati lo
scorso 13 maggio, dovrebbe costituire materia curriculare obbligatoria.
Radicale, profondo, profetico, testimone autentico, determinato, anzi ostinato,
Pepe Mujica ha incarnato la politica come dev’essere: coerente e attenta ai
bisogni della gente, concreta e sognatrice, affascinante e capace di generare
pensiero, pronta a chinarsi sul selciato e sui sentieri entro i propri confini
senza tradire la mondialità di cui è parte e di cui deve farsi carico. La
politica è questo.
A partire da una critica al sistema capitalistico che non prende di mira tanto
il consumo compulsivo delle cose quanto quello del tempo: “Io consumo il
necessario ma non accetto lo spreco. Perché, quando compro qualcosa non la
compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per
guadagnarli.
E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari.
Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo
per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio
nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti
consumi cospicui che però ti tolgono il tempo per vivere...
Lo spreco è, invece, funzionale all’accumulazione capitalista che implica che
si compri di continuo magari indebitandosi sino alla morte”.
Così parlava l’ex Presidente dell’Uruguay che aveva trascorso 14 anni di
carcere disumano a causa delle sue idee politiche e per la sua adesione alla
pratica della guerriglia urbana con i Tupamaros. La prima volta era riuscito a
evadere e per questo, quando fu catturato di nuovo, lo rinchiusero in un
carcere militare predisponendo per lui una zona in un sotterraneo ricavato nel
braccio di un pozzo. Quando nel 1985 viene liberato perché amnistiato dopo la
fine della dittatura, dirà: “Sono stato 14 anni in galera. La prima notte in
cui ho dormito su un materasso ho capito che, se non sei felice con poco, non
sarai felice neanche con tanto”. Parole semplici, come sempre quando apriva
bocca, e per questo inquietanti, assolute, totali, vere.
A me era stata data la grazia di incontrarlo nel novembre 2016 nel corso del
Terzo Incontro mondiale dei Movimenti popolari organizzati dalla Santa Sede e
che quell’anno si tenne a Roma. “Non c’è cosa più meravigliosa del miracolo di
essere vivi – disse nel corso del suo intervento –. La vita non è fatta solo
per lavorare ma ha bisogno di tempo libero per l’esercizio della libertà”. A
proposito dei movimenti sociali disse: “Spesso sono criticati, non compresi.
Però è una libera scelta intraprendere un cammino di lotta al servizio e in
solidarietà con gli altri esseri umani. Fa parte del libero arbitrio orientare
le forze della nostra esistenza verso qualcosa che ci motiva”. E ancora: “Tutti
i passi del progresso umano sono stati una conseguenza di movimenti organizzati
di gente che ha lottato per raggiungerli.
Le lotte dei movimenti popolari non sono per se stessi, ma per le generazioni
che verranno”. Mujica si sorprendeva dell’attenzione che la sua persona
suscitava: “Perché diventa un personaggio interessante uno come me, – diceva –
che non è altro che un vecchio militante, che ha commesso molti errori e patito
molte sconfitte, al di là di quello che è sempre stato l’obiettivo principale:
conquistare una vita migliore per i suoi compatrioti? Perché suscita tanta
attenzione il fatto che qualcuno difenda la politica come una passione
superiore e pretenda che i governanti diano ai loro popoli un esempio di vita
sobria e vicina a quella della maggioranza?”.
Si stupiva sinceramente: “Perché sorprende che un Presidente allerti il mondo
contro la folle corsa al consumo sfrenato e contro lo spreco, la crisi di
governo globale, le gravi minacce all’ambiente, la debolezza delle politiche
nell’affrontare la fame e la miseria che ancora patiscono milioni di esseri
umani? In realtà, credo che tutto questo susciti attenzione non tanto per il
merito di chi propone questi temi, quanto per l’assenza di altre idee, di altre
proposte e di altri esempi.
Già da molti anni, ormai, noi che cerchiamo ispirazione per la nostra azione
sociale e politica, che vorremmo nutrirci dell’esperienza di coloro che sono
già passati per i nostri drammi, non troviamo in Europa quel che sempre vi
avevamo trovato in passato. Talvolta rattrista sentir parlare persone destinate
ad altissime responsabilità, che rappresentano Paesi con una profonda
tradizione culturale, e verificare una totale mancanza di idee, di
lungimiranza, di capacità di comprendere pienamente il mondo in cui vivono, a
volte dotate persino di una dubbia caratura morale”.
Questo si dovrebbe insegnare nelle scuole di politica insieme all’analisi
attenta della vita di un politico puro che dopo l’avvento della democrazia
tornò a fare il fioraio e, quando fu eletto, prima senatore, poi Ministro
dell’Allevamento e nel 2015 Presidente della Repubblica, trattenne per sé solo
il corrispettivo dello stipendio medio di un lavoratore nel suo Paese
destinando il resto (90%) a progetti di edilizia popolare.
Quando decise di lasciare la politica delle istituzioni per ragioni di salute,
dichiarò: “Il mio piano per il futuro è continuare a fare il possibile per
aiutare la mia gente, lavorando insieme ai giovani come semplice militante,
perché credo che il miglior dirigente politico sia quello che forma persone di
gran lunga migliori di lui. Poiché la causa dello sviluppo umano non si
esaurisce mai, ci sono sempre problemi da affrontare e tentare di risolvere con
l’impegno collettivo e l’organizzazione. Il compito di ciascuno di noi è
migliorare il mondo in cui siamo nati. Il compito di un dirigente politico è
quello di lasciare cuori e braccia che lo sostituiscano quando se ne va”.
Che Pepe trovi orecchie attente ad ascoltarlo.
Tonio Dell’olio, “Mosaico di pace”, 1/6/25