mercoledì 2 luglio 2025

 

PERCHÉ UN DIO QUEER?

DALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE ALLA SOVVERSIONE SESSUALE

 

di GIANLUIGI GUGLIERMETTO

 

Marcella Althaus-Reid (1952-2009) è stata protagonista di alcuni tra i maggiori movimenti teologici contemporanei, producendo una sintesi originale che non cessa di provocare e di stupire. Originaria dell'Argentina, dal 1994 ha insegnato teologia all'Università di Edimburgo, divenendo docente ordinaria di Teologie Contestuali nel 2006.

Il suo nome rimane legato a due opere fondamentali, “Indecent Theology” del 2000 e “The Queer God” del 2003 (“Il Dio queer”, traduzione italiana a cura di Gianluigi Gugliermetto, ed. Claudiana, 2024 ristampa, pp.320, €24,50), nelle quali Althaus-Reid rivolge il suo acume teologico e la sua straordinaria passione intellettuale contro la "decenza" come cifra dell'oppressione e contro l'eterosessualità come ideologia. Negli ultimi anni della sua vita era diventata per alcuni una sorta di rockstar della teologia d'avanguardia, ma al di là del giudizio sulla sua opera, tutti riconoscono che ispirava allegria anche ai suoi avversari o alle persone appena conosciute. Il tono forte dei suoi scritti non deve far immaginare affatto una personalità astiosa. D'altra parte, sarebbe errato pensare che le sue provocazioni fossero solo di facciata o rispondessero al gusto per lo scandalo. Al contrario, quando diceva che si dovrebbe fare teologia senza indossare le mutande, o quando parlava di Dio come di una prostituta, Marcella obbediva a una necessità interiore, ritenendo che quello che aveva da dire non potesse essere detto in nessuna altra maniera. E che cosa le stava così a cuore da farle scegliere uno stile che facesse sobbalzare sulla sedia chiunque prendesse in mano un suo scritto o si avventurasse ad ascoltare una sua conferenza? Niente di più e niente di meno di Dio. Althaus-Reid sapeva bene che si può lottare per i diritti delle persone sessualmente ed economicamente emarginate senza mettere di mezzo il discorso teologico e, soprattutto, senza concentrarsi impudicamente sull'oggetto di tale discorso. Peraltro è noto che, tra le molte donne (e qualche uomo) che operano per una trasformazione profonda delle istituzioni e delle rappresentazioni di genere che sorreggono la struttura simbolica dell'attuale società globalizzata (Lumis e Condren in RUSSELL e CLARKSON 2010, pp. 200-202) sono ben poche coloro che fanno riferimento al cristianesimo, tranne che in senso negativo. Tuttavia, Marcella collaborava entusiasticamente alle lotte contro l'emarginazione, per i diritti sessuali e per una profonda trasformazione dell'immaginario simbolico attingendo a quella fonte immanente di scompaginazione rivoluzionaria che lei indicava con la parola «Dio». Va detto, dunque, che Il Dio queer è prima di tutto un libro su Dio, o meglio è un libro su tutto ciò che di sessuale (e non sessuale) può essere indicato con il termine queer, per mostrare che Dio vi è direttamente implicato. Per Althaus-Reid, l'ipotesi teistica e cristiana rivista, anzi inverata, in senso queer ha un valore enorme. Essa può contenere e veicolare nell'epoca della globalizzazione le grandi passioni per la giustizia e addirittura l'utopia dell'amore.

Il teocentrismo di Marcella Althaus-Reid è dunque una prima indicazione ermeneutica importante per leggere un testo come quello qui presentato. Ma oltre a Dio, e al discorso su Dio, l'altro argomento su cui insiste il libro è il soggetto teologico, cioè la «teologa indecente», nella quale va visto non soltanto un rispecchiamento autobiografico ma anche una proposta teologica precisa e rivoluzionaria. Chi è, infatti, il soggetto teologico, chi è autorizzato a fare teologia? Come scrive l'Autrice proprio all'inizio di questo libro, la persona che riflette «sulle relazioni, sull'amore e sul piacere, in tensione o in negoziazione con i rigidi confini della teologia eterosessuale» è già di fatto un teologo o una teologa indecente (vedi oltre, p. 53), e certamente non è richiesto per questa identificazione di «credere in Dio» in una maniera tradizionale od ortodossa. Quella che Althaus-Reid rivendica come «indecenza» non è altro che il coraggio di stare ai margini di un sistema sociale, culturale, economico e religioso senza vergognarsi della propria differenza (sessuale), anzi ritenendo che proprio questa «indecenza» sia oggi l'unico vero spiraglio verso Dio, cioè verso una trascendenza foriera di trasformazione.

Accingendomi a tradurre questo libro e a presentarlo in lingua italiana, e prima ancora di scontrarmi con le notevoli sfide linguistiche e concettuali della scrittura di Althaus-Reid, mi sono accorto di alcuni problemi. Se anche il contesto originario della nostra Autrice, quello della teologia della liberazione latinoamericana, è parzialmente noto in Italia, assai meno noto è quello della teologia accademica.