PERCHÉ UN DIO QUEER?
DALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE ALLA SOVVERSIONE SESSUALE
di GIANLUIGI GUGLIERMETTO
Marcella Althaus-Reid (1952-2009) è stata protagonista
di alcuni tra i maggiori movimenti teologici contemporanei, producendo una
sintesi originale che non cessa di provocare e di stupire. Originaria
dell'Argentina, dal 1994 ha insegnato teologia all'Università di Edimburgo,
divenendo docente ordinaria di Teologie Contestuali nel 2006.
Il suo nome rimane legato a due opere
fondamentali, “Indecent Theology” del 2000 e “The Queer God” del 2003
(“Il Dio queer”, traduzione italiana a cura di Gianluigi Gugliermetto, ed.
Claudiana, 2024 ristampa, pp.320, €24,50), nelle quali Althaus-Reid rivolge il
suo acume teologico e la sua straordinaria passione intellettuale contro la
"decenza" come cifra dell'oppressione e contro l'eterosessualità come
ideologia. Negli ultimi anni della sua vita era diventata per alcuni una sorta
di rockstar della teologia d'avanguardia, ma al di là del giudizio sulla sua
opera, tutti riconoscono che ispirava allegria anche ai suoi avversari o alle
persone appena conosciute. Il tono forte dei suoi scritti non deve far
immaginare affatto una personalità astiosa. D'altra parte, sarebbe errato
pensare che le sue provocazioni fossero solo di facciata o rispondessero al
gusto per lo scandalo. Al contrario, quando diceva che si dovrebbe fare
teologia senza indossare le mutande, o quando parlava di Dio come di una
prostituta, Marcella obbediva a una necessità interiore, ritenendo che quello
che aveva da dire non potesse essere detto in nessuna altra maniera. E che cosa
le stava così a cuore da farle scegliere uno stile che facesse sobbalzare sulla
sedia chiunque prendesse in mano un suo scritto o si avventurasse ad ascoltare
una sua conferenza? Niente di più e niente di meno di Dio. Althaus-Reid sapeva
bene che si può lottare per i diritti delle persone sessualmente ed
economicamente emarginate senza mettere di mezzo il discorso teologico e,
soprattutto, senza concentrarsi impudicamente sull'oggetto di tale discorso.
Peraltro è noto che, tra le molte donne (e qualche uomo) che operano per una
trasformazione profonda delle istituzioni e delle rappresentazioni di genere
che sorreggono la struttura simbolica dell'attuale società globalizzata (Lumis
e Condren in RUSSELL e CLARKSON 2010, pp. 200-202) sono ben poche coloro che
fanno riferimento al cristianesimo, tranne che in senso negativo. Tuttavia,
Marcella collaborava entusiasticamente alle lotte contro l'emarginazione, per i
diritti sessuali e per una profonda trasformazione dell'immaginario simbolico
attingendo a quella fonte immanente di scompaginazione rivoluzionaria che lei
indicava con la parola «Dio». Va detto, dunque, che Il Dio queer è
prima di tutto un libro su Dio, o meglio è un libro su tutto ciò che di
sessuale (e non sessuale) può essere indicato con il termine queer, per
mostrare che Dio vi è direttamente implicato. Per Althaus-Reid, l'ipotesi
teistica e cristiana rivista, anzi inverata, in senso queer ha un
valore enorme. Essa può contenere e veicolare nell'epoca della globalizzazione
le grandi passioni per la giustizia e addirittura l'utopia dell'amore.
Il teocentrismo di Marcella Althaus-Reid è dunque
una prima indicazione ermeneutica importante per leggere un testo come quello
qui presentato. Ma oltre a Dio, e al discorso su Dio, l'altro argomento su cui
insiste il libro è il soggetto teologico, cioè la «teologa indecente», nella
quale va visto non soltanto un rispecchiamento autobiografico ma anche una
proposta teologica precisa e rivoluzionaria. Chi è, infatti, il soggetto
teologico, chi è autorizzato a fare teologia? Come scrive l'Autrice proprio all'inizio
di questo libro, la persona che riflette «sulle relazioni, sull'amore e sul
piacere, in tensione o in negoziazione con i rigidi confini della teologia
eterosessuale» è già di fatto un teologo o una teologa indecente (vedi oltre,
p. 53), e certamente non è richiesto per questa identificazione di «credere in
Dio» in una maniera tradizionale od ortodossa. Quella che Althaus-Reid
rivendica come «indecenza» non è altro che il coraggio di stare ai margini di
un sistema sociale, culturale, economico e religioso senza vergognarsi della
propria differenza (sessuale), anzi ritenendo che proprio questa «indecenza»
sia oggi l'unico vero spiraglio verso Dio, cioè verso una trascendenza foriera
di trasformazione.
Accingendomi a tradurre questo libro e a
presentarlo in lingua italiana, e prima ancora di scontrarmi con le notevoli
sfide linguistiche e concettuali della scrittura di Althaus-Reid, mi sono
accorto di alcuni problemi. Se anche il contesto originario della nostra
Autrice, quello della teologia della liberazione latinoamericana, è
parzialmente noto in Italia, assai meno noto è quello della teologia
accademica.