venerdì 4 luglio 2025

 

Pride, fine vita e aborto:

gli Orbán d’Italia minano i diritti civili

STEFANO IANNACCONE
(da “Domani” del 29 giugno 2025)

La destra di Meloni è rimasta in silenzio davanti all’onda arcobaleno. Il modello ungherese fa breccia e sul fine vita non arrivano aperture. La cannabis light già colpita
Il gelo, nei confronti dei Pride prima quello di Roma e poi l’altro di Budapest, è la fotografia del pensiero governo italiano nei confronti dei diritti Lgbtiqa+. Giorgia Meloni, solitamente loquace, ha seguito in silenzio la decisione dell’omologo ungherese, Viktor Orbán, di vietare il Pride. Un’imposizione che non è passata inosservata, a più livelli, poi travolta dall’onda arcobaleno nella capitale dell’Ungheria. La destra italiana vive la mobilitazione arcobaleno con un certo fastidio. Basti pensare alle uscite di Roberto Vannacci, vicesegretario della Lega.

Al netto delle dichiarazioni, ci sono i fatti: nel 2023 l’esecutivo ha fatto emanare, attraverso il Viminale, la circolare per vietare ai sindaci la registrazione nei documenti comunali dei figli di coppie omogenitoriali. E ancora: c’è l’assalto in corso della destra di Meloni al fine vita con una legge, ancora in forma di bozza, che sembra andare in direzione opposta a un ampliamento dei diritti civili.
Il progetto di restaurazione sui diritti è partito con riforme già varate, in testa quelle sulla gestazione per altri e sulla cannabis light, colpita e affondata dal decreto Sicurezza. Sullo sfondo l’antica tentazione di limitare l’aborto con interventi mirati, senza toccare la legge.

Meno diritti: certo, la strategia è quella di affidare ai parlamentari i temi eticamente sensibili per non mettere il cappello governativo su iniziative molto delicate per l’opinione pubblica. Ma la regia politica resta chiara. «Meloni toglie un diritto alla volta e costruisce mattone per mattone un carcere invisibile dove gli italiani hanno sempre meno libertà», dice a Domani il deputato di +Europa, Riccardo Magi.

La storica giornata di Budapest segna comunque uno spartiacque. Il premier ungherese, che ha inizialmente subito in silenzio la marea arrivata nella capitale del suo paese, ha definito la manifestazione «una vergogna, uno spettacolo ripugnante», scagliandosi contro la Commissione europea, rea di aver difeso il diritto a manifestare e contrastare le discriminazioni.
«L’Europa è la patria dello stato di diritto, della libertà e della democrazia», ha fatto però notare la deputata di Alleanza verdi-sinistra, Elisabetta Piccolotti, lanciando una sfida: «Se a Orbán non piace raggiunga qualcuna tra le sue democrature preferite».
Gli echi di Budapest si sono sentiti anche a Roma. I buoni uffici di Meloni con Orbán sono storia nota. Frequentano famiglie politiche diverse in Ue, ma hanno affinità note, oltre alla reciproca simpatia.

Dentro Fratelli d’Italia è stato mandato in avanscoperta il ministro del Pnrr, Tommaso Foti, in un’intervista alla Stampa, si è limitato a dire: «La libertà di manifestare va sempre garantita». Agli atti resta un immobilismo nel contrasto all’omotransfobia. Al Senato c’è il disegno di legge presentato da Ivan Scalfarotto, di Italia viva, che di certo non ha trovato una corsia privilegiata nei calendari parlamentari. Anzi.

Il tema dei diritti tira in ballo il dibattito sul fine vita. Dopo le sollecitazioni della Corte costituzionale, con due diverse sentenze, il parlamento ha iniziato a mettere mano alla questione. Solo che la destra va verso un restringimento delle possibilità di scelta.

«Dal concepimento alla morte naturale»: la destra usa la legge sul fine vita per colpire l’aborto. Al momento si tratta solo di una bozza, ma viene innanzitutto tagliato fuori il sistema sanitario nazionale dalle prestazioni ed è allo studio un comitato ad hoc che è il pivot di un meccanismo farraginoso: sembra una risposta pro-forma alla richiesta della Consulta sulla legiferazione sul fine vita che una volontà di dare risposte ai cittadini sul suicidio medicalmente assistito.
«Piuttosto che un comitato etico scelto da Palazzo Chigi e l’obbligo delle cure palliative, meglio nessuna legge», osserva Magi.
La pietra angolare della battaglia della destra è stata quella sull’interruzione volontaria della gravidanza. Lo scorso anno, al termine del G7 in Italia, era sparito il riferimento al diritto all’aborto sicuro e legale.
La motivazione ufficiale non è mai stata resa nota, restano i sospetti su una manina dei meloniani di palazzo Chigi. Una delle sicurezze è che in Italia esiste il problema degli obiettori che complicano l’accesso all’aborto, mentre la destra sostiene i gruppi cosiddetti pro-vita.

Fine vita e procreazione assistita: il diritto come rimedio al fallimento della politica. E se sull’aborto, ci si muove in maniera sotterranea, sulla gestazione per altri la sfida è stata condotta a viso aperto. La destra ha approvato la legge che introduce il reato universale per la maternità surrogata, che la destra etichetta come «utero in affitto».
Nessun confronto sul merito, nonostante sul tema ci fossero posizioni diverse anche nel centrosinistra. L’importante era marcare il territorio, nel segno della restaurazione.