domenica 31 agosto 2025

L’ AFRICA DI TRUMP

 

Ho visto troppa gente e operatori dell’informazione che non senza un tratto di superficialità professionale o di inadeguatez.za critica, ha sorriso grossolanamente sulla proposta avanzata da Netanyahu di candidare Donald Trump al Nobel per la pace. La proposta è tutt'altro che una boutade. Di capi di Stato chini e impauriti, supini e accondiscendenti verso Trump il mondo è pieno:

i saggi del comitato svedese non potranno sottrarsi a prendere in seria considerazione la proposta. La notizia non ha avuto grande eco ma per ben tre giorni dal 9 all'11 luglio, cinque capi di Stato di altrettanti Paesi africani sono stati ricevuti dal presidente a stelle e strisce e hanno sottoscritto l'appello di Netanyahu.

A molti di noi potrebbero non voler dire niente i nomi di Bassirou Diomaye Faye (Senegal), Brice Oligui Nguema (Gabon), Umaro Sissoco Embaló (GuineaBissau), Joseph Boakai (Liberia) e Mohamed Ould Ghazouani (Mauritania) ma sono i presidenti di Paesi-chiave di molti nodi mondiali il cui capo del filo risiede in quel continente sconfinato quanto sconosciuto che è l'Africa. Russia, Cina e Usa da anni adoperano tutti gli stratagemmi geopolitici, diplomatici, militari, legali e non, per estendere la propria influenza su quei Paesi e per potersi accaparrare le notevoli risorse. Da anni, ad esempio, cercano di influenzare le campagne elettorali sostenendo con le belle o con le cattive maniere candidati di per sé impresentabili ma del tutto disponibili e accondiscendenti a ogni tipo di corruzione per favorire gli interessi economici di questa o di quella multinazionale o di commercianti senza scrupoli di terre rare. E più o meno così è avvenuto anche nel teatrino (il titolo lo rubo al settimanale Internazionale) svolgendosi a favore di telecamere nello Studio ovale. Senza mistero alcuno, l'incontro si iscriveva all'interno del programma commerciale trumpiano denominato "Trade, not aid" (Commercio, non aiuti). Si rafforzano le relazioni bilaterali per il tramite di investimenti e accordi per accedere a risorse strategiche come petrolio, gas, oro, uranio, manganese. Il Gabon ad esempio, è il primo produttore al mondo di manganese, e il suo partner commerciale attuale è la Cina. Se Trump riuscisse ad accaparrarselo, raggiungerebbe un doppio risultato: arricchisce l'economia Usa e crea qualche difficoltà al concorrente. Altro che guerra! E poi c'è il nodo immigrazione. Senegal e Mauritania sono tra le nazionalità di molti immigrati che cercano di entrare nel paradiso Usa attraverso la frontiera messicana. E, ancora, il presidente del Gabon si è detto molto favorevole ad ospitare una base statuni- tense lungo la costa sul Golfo di Guinea tanto strategico per la sicurezza energetica mondiale eppure infestato di pirati.

La Liberia potrebbe diventare la meta di molti immigrati espulsi fuori dai confini Usa e la Guinea Bissau supplica Trump di riaprire l'ambasciata statunitense chiusa dal 1998. Peraltro la trovata della minaccia dell'aumento dei dazi sta funzionando molto bene e, ancora di più nei confronti dei Paesi africani che vedono scadere l'Agoa - African Growt and Opportunity Act, in vigore da 25 anni che consentiva vantaggi commerciali alle merci africane verso gli Usa. Insomma forse non ha poi sbagliato Tafi Mhaka, opinionista di Al Jazeera: "Il vertice è stato imbarazzante. L'Africa non è stata presentata come un continente di Stati sovrani ma come una distesa di risorse, con leader compiacenti che, per evitare dazi e tagli agli aiuti, si sono esibiti per le telecamere"

 

Tonio Dell’Olio, “Rocca” del 15 agosto 2025