venerdì 1 agosto 2025

PER UNA SOBRIETÀ FELICE

 

   Esiste una fame insaziabile. Non sto, ovviamente, parlando degli esseri umani che fino a questo 1990 muoiono di fame e che secondo i calcoli più attendibili, sono ben 35.000 al giorno, 24 al minuto. Forse questi 15 milioni che ogni anno, in media, muoiono di fame meritano qualcosa di più di un pensierino, in un contesto in cui sta affiorando l'illusione che questi problemi siano solo e sempre di altri tempi e di altri luoghi.

   Qui, però, voglio alludere a quella fame che è appetito di tangenti, avidità di possesso, ingordigia dell'accumulo e si manifesta spesso proprio in coloro che, a ben vedere, dovrebbero dare evidenti segni di sazietà... È proprio il caso di dire che l'appetito vien mangiando!

   Le stesse aree dell'appetito si estendono: si vuole sempre più denaro, piacere, sesso, comodità, potere...

   In una serie decennale di documenti i vescovi canadesi arrivano ad alcune conclusioni: siamo alla fine della fase relativamente benigna del capitalismo e stiamo entrando in un periodo di nuova cultura dell'egoismo.

   In essa la preoccupazione di raggiungere il successo personale, mentre rende invisibili le vittime, diffonde il convincimento che non vive davvero se non chi vince, non corre davvero se non chi sorpassa. Va da sè che questi atteggiamenti dei soggetti avvengono in sintonia con profonde modificazioni delle strutture di una società.

 

La cultura della sobrietà

   È certamente necessario «inventare» strumenti adeguati ed efficaci per prevenire i guasti arrecati da tanti individui che usano la loro posizione sociale e politica per scatenare la loro fame di denaro e privilegi, ma forse non è meno urgente mettere in campo una cultura ed una pratica della sobrietà. E qui entra in gioco la vita di ciascuno di noi. Già Romano Guardini ci ricordava che un corretto rapporto con le cose deve conoscere un andare verso di esse e la forte capacità di stare a distanza. Sobrio etimologicamente significa «non ubriaco» cioè chi sa apprezzare e usare il cibo (e tutte le cose) con misura, ricavandone piacere e benessere. Mi sembra che la sobrietà non sia lo stile di vita più proposto e diffuso in questo periodo. Uno stile di vita sobrio, a mio avviso, non può nascere senza che esso si imponga razionalmente come fonte di benessere personale e collettivo e senza che tutti noi crediamo nella educazione e nella disciplina dei nostri desideri e dei nostri bisogni. Concordo pienamente con Agnes Heller: «Dobbiamo escludere la soddisfazione di alcuni bisogni, quelli puramente quantitativi e perciò riproducibili all'infinito... Il bisogno di possesso, il bisogno di potere e il bisogno di ambizione: questi tre bisogni non possono e non debbono mai essere soddisfatti completamente. Infatti, se essi vengono soddisfatti, la grande maggioranza degli uomini non potrà più soddisfare altri bisogni».

   Molti studiosi, dopo Friedric Cramer, parlano di «nuova ascesi», intendendo con essa non uno stile di vita intessuto di digiuni o di regole monastiche castigate e dure, ma una crescita della nostra libertà personale che ci renda capaci di ripensare e reimpostare il nostro rapporto con l'ideologia del consumo. «L'ethos attuale della rinuncia intende proprio questo, cioè che gli uomini si rendano disponibili a ripensare le loro aspettative nei confronti della vita e il loro futuro in spirito di solidarietà con tutta l'umanità» (A. Auer).

   Le parole, forse, non riescono ancora ad esprimere adeguatamente la profonda connessione che esiste tra felicità, benessere e sobrietà.

   Del resto l'ideologia del consumo ad ogni costo si è talmente diffusa da imporsi come modello unico. Né si può dire che abbia fatto un buon servizio alla sobrietà chi l'ha «predicata» come fuga dal mondo, condanna di ogni progresso e rilancio di assurde astinenze.

 L’immaginario dell'asceta triste e macerato rende un cattivo servizio al delinearsi della figura dell'uomo sobrio e felice. Il cristiano sa che su questa strada lo ha preceduto Gesù.

 

Uno strano sindacato

   Sarebbe un grosso equivoco tradurre la sobrietà in un progetto di austerità per coloro che già fanno fatica a «sbarcare il lunario». Ma io mi ostino a credere che presto o tardi ci sarà qualche bel tipo che, appartenendo alle corporazioni più forti della nostra società, lancerà l'idea dell'autoriduzione dello stipendio. Mi ha molto colpito il gesto di Enrico Peiretti, professore di filosofia in un liceo torinese che, dichiarando di non aderire ad un eventuale blocco degli scrutini, motivava il suo rifiuto verso una rivendicazione che rischiava di ridursi ad una «questione soltanto monetaria». «Così facendo – aggiungeva - la nostra categoria sta accodandosi al malcostume trionfante del particolarismo, del «vale chi vince», del «ciascuno per sé...» (il foglio, giugno 1988). Si può discutere sulla valutazione politica di Peiretti, ma emerge un messaggio: i problemi della scuola sono ben aldilà di un aumento allo stipendio dei professori e colleghi. Prima della quantità (di denaro) va posta la qualità della riforma.

   Non so se nascerà una qualche forma organizzata di persone che, facendo proprio uno stile di sobrietà, cominceranno a praticarla a partire dal proprio stipendio. Mi sembra però di capire che la questione morale vada affrontata da più parti, non esclusa la fantasia di chi traduce in solidarietà il proprio privilegio

 

don Franco Barbero

(da “La bestia che seduce”, ed. Comunecazione, 1980)