COME UN LIFTING DEL CUORE
Una persona che amo si è fatta un tatuaggio. È una persona adulta, non
aveva mai usato il suo corpo come un taccuino. È un tempo strano, questo,
incerto e difficile. Io la capisco. Certe parole sono amuleti, bussole. Abbiamo
perso la bussola, tutti. Certe volte si sente il bisogno di segnarsene una
sulla pelle, non avendone altrove.
Una da guardare ogni momento. Anche da adulti, persino da vecchi.
Una per crederci, almeno a quella. La persona che amo si è tatuata sul
braccio una frase di Julio Cortázar. L'inizio di un libro, quelli del ramo
dicono incipit: penserete che chic, che snob. Ma no. Una frase vale un'altra. A
volte te la suggeriscono lì per lì. A volte l'hai sentita dire e ti è piaciuta.
A volte l'hai letta da bambina. Può succedere.
La mia generazione, da bambini,
non aveva molto altro che leggere o buttarsi a correre in discesa con la bici.
Può succedere, che abbia letto. Che stranezza. Che ricordi come una meraviglia
le parole (e i gesti, certo) che l'hanno accesa di eccitazione e sudore e
spavento la prima volta, in cameretta. Anzi, è sicuro. La persona che amo si è
tatuata una frase che dice "troverà la Maga?". È il primo passo di un
labirinto, un racconto esemplare e irripetuto. La seconda frase è:
"Camminavamo senza cercarci ma sapendo che camminavamo per trovarci".
La capisco. Un poco persino la invidio, perché non ho ancora trovato lo slancio
e il momento e la sinecura rispetto al giudizio per tatuarmi qualcosa ma non è
detto che non succeda domani, fra un anno, a settanta, non so. Potrebbe essere.
"Mi sono resa conto che per vederti era necessario chiudere gli occhi", dice quel libro. Lo declino al femminile
esteso, millenaria compensazione.
Se non sapete del femminile esteso, lessico di questi tempi:
usare il lei per il tutto, per intendere anche il lui. Va bene, no? È un
codice, basta conoscerlo, capirsi. I vicini.
Siamo
tutti così vicini anche quando siamo lontani. Dove vanno le persone che si sono amate quando non si amano più? Non dico dove vanno tecnicamente, materialmente. Certo. Nella vita pratica,
nei giorni: ciascuna
da qualche altra parte, altrove. Ma: il loro spazio comune,
il loro
tempo, dove finisce? Dove si archivia,
quello che è stato e che ciascuno dei due, o forse
solo uno dei due intende cancellare come se
perso la è chi sente
non fosse
mai esistito. Avete presente le amputazioni? Ecco, così. Un'operazione
chirurgica, sul tavolo dell'anatomopatologo. Questo bene, questo
amore è morto.
Dottore. Può cortesemente amputare questi due anni, dieci, dodici
come se non ci fossero mai stati? Un
colpo di bisturi, qualche punto di sutura. Come un lifting del
cuore, dell'anima. Può toglierli,
cortesemente? Quanto costa? Costa. Dissimulazione,
finzione, postura.
Costa emorragia interna, che torna nei sogni: Maga, ci sei?
Dove sei, tu che mi sai, tu che conosci i
luoghi in cui sono stato felice, i
luoghi in cui mi sono perso. Esiste un pensiero razionale, che pretendiamo dominante, poi esiste l'altro. L'arte nasce solo dalle ferite, la bellezza dal dolore. Maga. Raccontami il
mio dolore che era anche
desiderio, che
era bellezza incognita, terra fertile. Maga, resta con me non
lasciarmi nel deserto del dover
essere, dell'essere opportuna. Io
la capisco,
quella persona che amo.
Concita De Gregorio, “La Repubblica”, 5 luglio 2025