Questo articolo ci è stato segnalato da Lorenzo Tommaselli.
Il Sinodo ha dimenticato le comunità
Jorge Costadoat
Il documento finale del Sinodo sulla sinodalità ha lasciato a metà strada l’autogenerazione della Chiesa attraverso le comunità ecclesiali di base o piccole comunità annesse alle parrocchie. Questa è una lacuna a cui bisogna porre rimedio. Altrimenti, queste stesse comunità – e non solo i laici singolarmente considerati – continueranno a soffrire loro stesse del clericalismo che soffoca la Chiesa.
Articolo pubblicato il 24 settembre 2025 nel Blog dell’Autore nel sito Religión Digital (www.religiondigital.com)
Visto il documento dal basso, cioè dalla prospettiva delle comunità che compongono una parrocchia, si apprezza il fatto che le conclusioni si concentrano maggiormente sui rapporti tra le autorità superiori, con la possibilità che quelle inferiori, al massimo, possono togliere loro potere. Le comunità possono occupare un posto importante in un consiglio parrocchiale. Questo, tuttavia, non significa che siano riconosciute come tali.
Ciò che si sta realizzando è che le comunità diventino la prima cellula dell’istituzionalità che le rende possibili. «Evangelii gaudium» (28) chiede che la parrocchia sia una «comunità di comunità»; e Puebla valorizza le «comunità che rendono presente e operante il piano salvifico del Signore, vissuto in comunione e partecipazione» (617). Queste convinzioni teologiche avallano il fatto che la vita della Chiesa scaturisce dalla base. La Chiesa non è un’impresa o uno Stato: è fraternità. Questa fraternità si realizza nella misura in cui i suoi membri agiscono come adulti capaci di organizzarsi in comunità; la comunità che hanno creato o alla quale sono arrivati perché sono stati accettati come protagonisti, e non come personaggi secondari.
Le comunità stesse sono la Chiesa. La Tradizione è viva al loro interno. Sono lo spazio in cui il Vangelo si trasmette naturalmente da persona a persona. Dobbiamo comprendere che la loro esistenza spesso è delicata. Le interferenze esterne le minacciano di morte o trasformano i loro membri in persone pusillanimi, cristiani privati dello spirito profetico.
Insisto: le comunità hanno fatto una brutta fine nel Sinodo. I parroci mantengono un enorme potere su di loro. Qualcuno ha sostenuto la loro autonomia al Sinodo? Non sono interessate a essere indipendenti. Non ho sentito di nessuna che abbia lasciato la parrocchia. Ma vogliono - e hanno bisogno - di essere riconosciute per la loro dignità e originalità e apprezzano qualsiasi aiuto che possa essere dato loro perché sono fragili. Traggono beneficio dalla comunione con le parrocchie, anche quando questa non le uniformi con le sue pianificazioni o le costringa a schemi che le prosciugano delle poche energie che hanno.
La tanto discussa «accountability» dovrebbe iniziare all’interno delle comunità stesse. Che diano conto delle loro attività al parroco è anche importante, nessuno può negarlo. Ma il parroco, ad esempio, può avere l’ultima parola nella nomina delle loro guide? Più che supervisionarle, il parroco se ne deve prendere cura, deve sostenerle e incoraggiare le loro iniziative per realizzare la loro missione di evangelizzazione del territorio. Questa è una Chiesa «in uscita», piuttosto che un centro operativo o un raduno di fedeli, di satelliti che girano attorno al sole.
Il processo sinodale, nonostante questa lacuna, è un segno di speranza. È un grande passo avanti affinché la Chiesa arrivi a costituirsi Popolo di Dio, cosa che è stata volontà determinante del Vaticano II. Sarebbe necessario, in coerenza con questo spirito sinodale, introdurre emendamenti canonici che consentano di progredire in questa direzione. Ma il Documento finale del Sinodo non va sufficientemente lontano.
Il clericalismo si esercita contro singoli individui, laici e chierici, ma anche contro intere comunità. Ciò che serve è rigenerare la Chiesa dal basso. Forse un giorno avranno voce in capitolo nell’elezione del loro parroco. O, almeno, si permetta loro di liberarsi di chi li maltratta. Alcuni parroci, infatti, se ne prendono cura paternamente, mentre altri le umiliano con comportamenti o in virtù del mero diritto canonico.
Quando i laici raggiungeranno l’età adulta e le comunità saranno rispettate nella loro originalità, la sinodalità avrà davvero inizio. Finora è un desiderio, che la Chiesa è chiamata a realizzare.
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Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli