giovedì 27 novembre 2025

da Il Fatto Quotidiano del 23/11/2025

La (cattiva) stampa allergica ai fatti

di Antonio Padellaro


FORSE È STATO UN PO’ PREMATURO definire “giornalismo spazzatura” (“Repubblica”) lo scoop de “La Verità” sulla voce dal sen fuggita di Francesco Saverio Garofani. Poiché, oltre al fatto in sé piuttosto sfizioso (le confidenze in una tavolata dell’autorevole consigliere, dicono, molto ascoltato da Sergio Mattarella), soltanto un pregiudizio, per così dire ideologico, potrebbe impedire di constatare il gran casino che i titoli e gli articoli degli “zelanti gazzettieri” (sempre “Repubblica”) hanno provocato. A cominciare dallo scontro istituzionale, en plein air, tra l’inquilino del Quirinale e la premier Giorgia Meloni. Non proprio una cosetta, anche perché di certi dissapori (per esempio sull’ucraina, con il Colle sempre più schierato per l’armiamoci e partite e con i dubbi “trumpiani”, invece, di Palazzo Chigi) ora si ha una significativa evidenza.

Sarà pure un “complotto alla vaccinara” (ancora “Repubblica”) ordito dalla perfida destra di governo. Ma trattasi pur sempre di vaccinare piuttosto saporite visto che per giorni hanno nutrito le paginate, ancorché col ditino alzato, dei quotidiani e le copertine dei talk. Il che ci porta a una domanda per così dire laterale che riguarda l’attivarsi dei corazzieri con pennacchio e stilografica (oggi con il tablet) ogniqualvolta si osi sfiorare la sacralità quirinalesca, e ciò sin dai tempi di Giorgio Napolitano. Nell’arte di sopire e troncare, troncare e sopire, la cosiddetta grande informazione nostrana è stata educata, si può dire, con una certa continuità. Dal ventennio fascista al ventennio democristiano, al ventennio berlusconiano, la censura imposta e l’autocensura accettata dai supremi decisori hanno rappresentato per le testate (fortunatamente non tutte) un provvidenziale alibi onde evitare grane o per mettersi a favore di vento.

Oggi, però, con una politica che suscita più risate che paura, si stenta a comprendere per quale ragione carta stampata e talk preferiscano imboscare “certe” notizie piuttosto che darle. Il tentato occultamento delle, perlomeno, incaute dichiarazioni di Garofani, andrebbe studiato nelle scuole di giornalismo. Come modello, appunto, di non giornalismo. Un pasticcio da cui i protagonisti escono tutti maluccio. Certamente, gli ambienti quirinaleschi, costretti a prendere sul serio ciò che all’inizio credevano di aver ridicolizzato. Ovviamente, il garrulo consigliere Garofani. E, soprattutto, una certa informazione che si considera, non si sa bene a che titolo, garante delle supreme istituzioni e per la quale la pace dell’ordine spesso è più importante della verità dei fatti. Che a volte si comporta come quel frate superiore manzoniano per il quale l’essenziale è che siano salvi tutti i decori, tutti i prestigi e tutte le mezze verità.