martedì 18 novembre 2025

I morti ci aiutano a pensare alla vita

da La Bestia che seduce di don Franco Barbero - 1990


Molti cristiani ricordano in questi giorni i loro morti. Gli anni, con il loro flusso inarrestabile, ci familiarizzano con la realtà della morte. Ciascuno di noi tenta di farci i conti come sa e come può.

Per noi cristiani il fatto che Dio ha risuscitato Gesù costituisce il fondamento della nostra speranza. Questo annuncio paradossale e totalmente indimostrabile fa parte del nucleo centrale del Nuovo Testamento. Le comunità primitive ci hanno trasmesso questo messaggio con linguaggi e modalità diverse, ma in modo inequivocabile. Cerco di fidarmi fino in fondo di questa promessa che non inganna. Ma ogni volta che ritorna il giorno dei morti sono sempre più insistentemente rimandato a pensare alla vita. Mi sorprendo con un grappolo di pensieri che tento di esprimere brevemente.

1) Mi piace tanto camminare in compagnia di donne e uomini che cercano di dare un senso alla loro vita presente. Ne trovo tra credenti di ogni religione, tra atei, gnostici e gente di ogni matrice culturale. Ho sempre paura che la mia superficialità o la mia disattenzione non mi permettano di “vedere” queste esistenze e queste presenze che compaiono anche là dove non te lo aspetteresti. Sarebbe grave se la gioiosa coscienza della nostra fede si pervertisse in arroganza e presunzione a tal punto da pensare che, in ultima istanza, solo chi crede in Dio può trovare e dare un senso alla sua vita. Questa <<cultura del monopolio>> dovrebbe tramontare da ogni parte. Mi sembra autentica violenza. Talvolta essa fa capolino nelle esperienze di noi credenti quando scambiamo il sano entusiasmo con il fanatismo.                                                   

Di fronte alla necessità di far scorrere senso nelle arterie del presente in cui viviamo, tutte le culture e tutte le <<esperienze>> storiche misurano l'impossibilità di far fronte da sole e l'urgenza di unire le forze. Paul Ricoeur lo ricorda egregiamente: <<A dire il vero la cultura cristiana e la cultura laica sono come due bestie ferite, due cervi che si sono incastrati con le corna e si sono esauriti della lotta. Così si è aperto un capitolo nuovo nella storia delle relazioni fra le due culture: un passo incrociato senza precedenti, nel quale le due culture sono chiamate ad aiutarsi l'un l'altra nelle loro rispettive debolezze; e possono farlo in quanto devono farlo. Infatti esse hanno un nemico comune, cioè la perdita di senso, la totale privatizzazione degli scopi della vita (quando ne restano ancora); in breve, un individualismo esasperato che produce insieme la più crudele solitudine e il dominio della legge della giungla…>> (Protestantesimo 3/1987, pag. 135).

Su questo terreno mi domando spesso, pur nella coscienza che le responsabilità sono di tutti, se la Chiesa cattolica in Italia non potrebbe rinunciare a certi privilegi concordatari sia per rendere più cristallina la sua testimonianza di fede, sia per facilitare il superamento della sindrome del ponte levatoio e portare così un contributo concreto ad una cultura circolare.       

Sarebbe semplicistico congedarsi in blocco dal nostro passato; anzi risulterebbe letale. Il passato, ne sono convinto, ci fornirà ancora tante pietre per costruire un futuro più umano. Ma nel passato ci sono anche, mi sembra, troppe macerie che noi ci ostiniamo a portarci dietro come reliquie. Mi ritornano infinite volte alla mente le parole di Heinrich Boll: <<Le macerie della nostra storia e della tradizione cristiana non le abbiamo mai rimosse. Qui le macerie si accumulano sulle macerie>>. Può esserci successo che la preoccupazione di vivere la fede come continuità abbia favorito una certa diffidenza verso quelle esperienze che marcano, per dirla con Metz, la necessità dell’interruzione. Forse talune interruzioni con un certo passato possono rappresentare il prezzo di una migliore comunicazione nel nostro presente.

2) D’altro canto, quando penso ai morti e all’eredità di senso e di valori che la loro vita ci ha consegnato, mi sembra di non poter lasciar perire questo messaggio positivo, anche perché lo ritengo valido ancora oggi in alcuni cardini etici. Vengo anch'io da una famiglia, come moltissime, in cui non ci furono eredità materiali da dividere e mucchi di cose da spartire. Ma alcuni valori venivano chiaramente proposti, sia pure con tutti i limiti dell'umana debolezza. Quante <<lezioni etiche>> riceviamo dalla storia della gente, della liberazione, in Italia nel mondo.

Allora i morti (che anche sotto questo aspetto  mi paiono vivi più che mai) mi sembrano interpellarci perché combattiamo contro la perdita di senso, contro l'oblio di quelle grandi lezioni etiche che il passato, remoto e recente, ci può trasmettere.

Solo lavorando insieme, tra uomini e donne di diverse culture e fedi umane e religiose, possiamo fare in modo che i singoli ricordi delle nostre esperienze personali diventino memoria personale e collettiva che condensa e rielabora le più profonde esperienze di libertà e le proposte nel presente. Tutti possiamo portare un <<ricordo>>, cioè un pezzo, per costruire questa memoria che resiste a tante forze disgregatrici e può diventare elemento di coagulo per tanti valori positivi che <<circolano>> nel presente e non riescono ad articolarsi, ad organizzarsi. Senza questo intreccio, costruito con l'apporto di tante culture, rischiamo di essere piene di ricordi, ma paradossalmente privi di memoria. 

La memoria diventa discernimento nel presente.  Non mi accontenterò più dei significati delle singole azioni, ma cercherò senso, cioè <<una direzione capace di unificare una molteplicità in sé dispersa di significati, in modo da costituirli come un progetto e un'interpretazione della realtà>> (U.Perone).