LA NOSTRA FRAGILE IDENTITÀ
Le patologie della diversità
La “diversità”, come “prodotto” della libertà biblicamente intesa, non è qui concepita come vessillo da sbandierare, come slogan da recitare, come estraneità in cui isolarci o cullarci, come preconcetta avversione ed opposizione a tutto ciòo che appartiene alla cultura dominante. Niente di tutto questo. Tanto meno questa diversità può tradursi in un aristocratico disprezzo o complesso di superiorità. C'è infatti la sottile tentazione, tipica di molti credenti (e non solo credenti), di “sentirsi diversi” che nasconde una deviazione pericolosa dalla piena solidarietà nella fragilità umana e nelle lotte comuni. Chi entra nei deliranti percorsi della “superiorità” non fa che usare la diversità per collocarsi sopra e fuori dalle reali pratiche di liberazione e dalla fatica quotidiana di costruire delle alternative praticabili. La “diversità” costruttiva è piena di umiltà. La libertà ci farà diversi nel senso che ci darà la gioia e la forza di uno stile di vita “altro” rispetto alle proposte che il pensiero dominante ci presenta.
Oggi. se la libertà non ci rende diversi, può correre il rischio di vanificarsi in belle vuote parole.
Fermenti anti-fatalità
Per me la libertà - qui e ora - o trova la sua fecondità personale e collettiva o rischia di diventare un tranello, un lusso per uomini e donne privilegiate.
Oggi, a mio avviso, le diversità feconde si realizzano nelle persone e nei gruppi che gettano nel mondo e nelle chiese dei fermenti anti-fatalità, che nelle loro lotte particolari non si lasciano sedurre e imprigionare dalle particolarità isolandosi dal contesto, che nella lotta politica non buttano via Dio e nell'adorazione di Dio non si allontanano dall'impegno sociale e politico, che osano trasgredire alle leggi ecclesiastiche per una radicale obbedienza al Vangelo. Io sento tanto bisogno di pastori e di teologi che non si pensino come la banca del sapere teologico, ma come fratelli e sorelle a servizio della comunità, fortemente coinvolti con i più deboli. Sento il bisogno di uomini e donne che, nel programmare i loro acquisti, il loro tempo libero, le loro ferie, l'arredo di casa, l'uso del denaro, nell'organizzare la loro vita quotidiana e nel vivere l'amore e le relazioni personali non si lascino plasmare dai modelli vincenti, ma sappiano compiere scelie di autentica libertà.
Sento il bisogno di politici che non trascurino ciò che passa nel cuore degli uomini e delle donne e siano consapevoli che, se non si cambiano i desideri di accumulo, di prevaricazione e di sopraffazione, gli altri cambiamenti sono compromessi.alla radice.
Utopia e realismo
Insieme al teologo Jung Mo Sung penso e prego (come scrissi in una preghiera olire 20 anni fa) perché molti uomini e donne si impegnino contemporaneamente nel cambiamento delle strutture e nel cambiamento dei propri desideri: “In termini teologici questo cambiamento di desiderio è una conversione. Una nuova spiritualità che cambia i desideri, perché il cambiamento del modello del desiderio è una questione profondamente teologica” (in Teologie della liberazione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2001, pag. 67).
Anche sul terreno profondo dei nostri desideri resta più che mai vero che la libertà ci renderà diversi, ci spingerà a “desiderare diversamente” per poter vivere diversamente. Senza desideri diversi non si lotta per un mondo diverso. Ma occorre, anche imparando dai nostri ed altrui errori, non scambiare il regno di Dio con le nostre illusioni, non scambiare il "sogno di Dio” con i passi concreti con i quali ci si deve avvicinare. L'insegnamento più prezioso ci giunge dalla tardiva ma consistente autocritica di alcuni teologi e teologhe della liberazione. È difficile mantenere utopia e realismo, ma questa dissociazione conduce alla frustrazione e alla disperazione. Esiste anche il "mito dei poveri”. il “trionfalismo dell’'Esodo”, il rischio di identificare l'utopia con la possibilità storica o di confondere il volere con il potere, l'ingenua sottovalutazione dei poteri che contrastano i processi di liberazione, la semplicistica ed illusoria attesa che la politica possa “tradurre in atto” tutta la profezia..., la scarsa capacità di unire passione e pazienza (3).
Il realismo vuole che, come scrive Hugo Assmann, noi riconosciamo che “nel mondo d'oggi è in corso un processo di anestetizzazione delle coscienze e un soffocamento delle capacità di solidarietà dell'umanità... Bisogna disfarsi delle illusioni delle tendenze considerate spontanee e naturali degli esseri umani alla solidarietà. La solidarietà non è più una pulsione psichica primaria... Una cosa é chiaramente apparsa, una cosa che i conflitti ideologici precedenti nascondevano fino ad un certo punto: la specie umana non è solidale in modo naturale e spontaneo. Chi scommette sull’idea di esseri umani spontaneamente generosi e sempre disponibili nel manifestare la propria solidarietà, si sbaglia” (Hugo Assmann).
Più radicalmente (ma i due Testamenti biblici lo avevano detto duemila anni fa) il teologo Jung Mo Sung afferma che "la solidarietà spontanea non è mai esistita; é il risultato dell’euforia o di alcune forme di emozione collettiva” (4). Sostanzialmente, alla solidarietà ci si converte. Senza questa “precondizione” non si entra dentro la pratica della solidarietà come stile di vita.
Vivere desideri nuovi, ma senza deliri di onnipotenza, abbracciare il sogno di Dio, ma senza abbandonare mai il realismo, senza mai “volare in cielo” ecco, a mio avviso, alcuni dei “tratti” più impegnativi della spiritualità cristiana. Nel linguaggio della fede dirò al mio cuore che solo la libertà che viene da Dio mi sorregge e mi sospinge dentro questo cammino, pronto a dare la mano a tutti i compagni e le compagne di viaggio, da qualunque parte essi arrivino, da qualunque esperienza provengano (5).
da “L’ultima ruota del carro” Franco Barbero, 1