Questo articolo ci è stato segnalato da Lorenzo Tommaselli.
È tempo di aprire la Chiesa al ministero femminile
José Carlos Enríquez Díaz
Il dibattito sul ministero femminile non può più continuare ad essere un tabù nella Chiesa. In tempi di crisi vocazionale, crescenti disuguaglianze e profondo rinnovamento teologico, escludere metà dell’umanità dal ministero ordinato non solo è ingiusto, ma va contro l’essenza stessa del Vangelo: l’uguaglianza radicale in Cristo. Pertanto, questo testo chiede a papa Leone XIV di ascoltare il grido dello Spirito, che parla anche attraverso le donne con vocazione, e di aprire la strada a una Chiesa più inclusiva e giusta.
Articolo pubblicato il 12 ottobre 2025 nel sito «Ataque al poder»
(www.ataquealpoder.es).
Che Gesù sia nato maschio è un fatto storico; non è un comandamento dottrinale per l'intera vita della Chiesa. Gesù ha rotto con le strutture patriarcali del suo tempo, dialogando con le donne, inviandole come messaggere e affidando loro la sua missione. Donne come Maria Maddalena, l’«apostola degli apostoli», sono state le prime testimoni della sua risurrezione e annunciatrici del Vangelo. Se ha affidato la sua missione a delle donne, perché la Chiesa oggi dovrebbe negare loro l’accesso al ministero? La questione non è il genere, ma la vocazione e il servizio. La mediazione sacramentale inaugurata da Cristo si comprende meglio come un’azione dello Spirito, che trascende la corrispondenza biologica tra Cristo e il ministro.
L’elezione dei Dodici apostoli maschi ha una forte componente simbolica e profetica, legata alle dodici tribù d’Israele. Non si è trattato di una normativa immutabile che escludeva le donne dal ministero. La realtà storica conferma che alcune donne esercitavano funzioni liturgiche e di leadership nella comunità cristiana primitiva. Figure come Febe, Priscilla e Giunia sono menzionate nelle lettere paoline, con ruoli autorevoli. Non possono essere ridotte a un ruolo meramente secondario o privato.
La teologia cattolica contempla lo sviluppo dottrinale, senza che questo supponga perdere la fedeltà al Vangelo. La Chiesa è stata in grado di riformare nel tempo profonde questioni sociali e morali, conservando l’unità nella fede. Il ministero femminile non è impedito da un dogma irrevocabile. Documenti recenti segnano la disciplina attuale, ma nel cuore della tradizione cristiana c’è spazio per ascoltare e interpretare con la guida dello Spirito.
Migliaia di donne in tutto il mondo sentono una sincera chiamata alla vocazione presbiterale. Negare loro questa possibilità impoverisce la Chiesa, ne limita i carismi e nega la ricchezza del popolo di Dio. In molte comunità le donne sostengono il tessuto ecclesiale con la loro dedizione, assumendo responsabilità senza il corrispondente riconoscimento sacramentale. Questo squilibrio è stato ripetutamente sottolineato da teologi e fedeli laici come un debito sospeso di giustizia e trasparenza.
Un esempio contemporaneo rilevante è quello di Sarah Elizabeth Mullally, teologa, infermiera e leader anglicana, che ha fatto storia con la nomina a prima donna arcivescovo di Canterbury, la più alta carica della Chiesa d’Inghilterra e guida spirituale della comunione anglicana mondiale. La sua traettoria unisce rigore accademico e dedizione pastorale, dimostrando che l’ordinazione delle donne in diverse chiese è stata fonte di arricchimento e rafforzamento ecclesiale.
Papa Leone XIV ha mostrato sensibilità verso i poveri, i migranti e le donne emarginate, e ha promosso studi sul diaconato femminile. Ma la riflessione non deve fermarsi: le donne chiedono di essere ascoltate con fatti, non solo con parole, esigono uguaglianza sacramentale e piena partecipazione.
Il Vangelo insegna nella lettera ai Galati che in Cristo «non c’è più né maschio né femmina, tutti siamo uno». Questa dichiarazione biblica stabilisce l’uguaglianza radicale che deve permeare la vita e il ministero della Chiesa. Non c’è giustificazione teologica per negare alle donne la piena partecipazione ai sacramenti e al ministero, perché la dignità fondamentale e la chiamata vocazionale non conoscono distinzioni di genere. La Chiesa non può predicare l’uguaglianza e praticare l’esclusione.
Questo tempo richiede che la Chiesa apra cuore e mente, che non perda più vitalità e voci profetiche con il mantenere limiti privi di un solido fondamento dottrinale. Che siano ascoltate le donne formate teologicamente e pastoralmente, preparate ad assumere il servizio presbiterale. Che si riconosca che la fede è dinamica e che lo Spirito continua a soffiare con novità, come a Pentecoste.
Il futuro del Vangelo risiede in una Chiesa che respira con entrambi i polmoni, quello degli uomini e quello delle donne, aperta all’uguaglianza, alla giustizia e alla corresponsabilità. Il rinnovamento ecclesiale è legato al coraggio di riconoscere che il Regno di Dio è per tutti, senza esclusione. Il ministero femminile non è una minaccia, ma una promessa di vita e di fedeltà al Vangelo.
L’appello urgente rimane: che la Chiesa ascolti e agisca secondo le ragioni bibliche, teologiche e umane che sostengono questa causa, affinché uomini e donne possano servire insieme il mistero dell’amore divino con libertà, dignità e pienezza.
Così, in ambito teologico, numerosi esperti hanno sottolineato che il ministero non è una questione biologica, ma ministeriale e spirituale. Leonardo Boff sostiene che il ministero femminile non sarebbe una mera imitazione di quello maschile, ma una sua espressione nuova e autentica, un arricchimento per tutta la Chiesa. María José Arana denuncia che le argomentazioni contro il ministero femminile sono spesso pseudo-teologiche o culturali, e afferma che negare il ministero alle donne significa negare la ricchezza spirituale che apportano con vocazione genuina.
Juan José Tamayo sottolinea che escludere le donne dal ministero è una discriminazione che contraddice l’atteggiamento inclusivo di Gesù e del cristianesimo primitivo, e che questa esclusione deriva più da costruzioni sociali patriarcali che da un mandato divino irrevocabile. Secondo la teologa femminista Ida Raming, questa esclusione rappresenta un’ingiustizia che la Chiesa non può giustificare in nome del Vangelo e che deve essere urgentemente riconsiderata.
Queste voci invitano a un discernimento coraggioso e trasparente, perché la Chiesa non deve temere lo sviluppo dottrinale quando questo risponde più fedelmente al messaggio di Gesù e alla dignità umana. Non si tratta di rompere con la tradizione, ma piuttosto di approfondirla, ascoltando l’esperienza di migliaia di donne che, attraverso il loro ministero e la loro testimonianza, portano il segno vivo dello Spirito.
Il ministero femminile non è una minaccia alla fede, ma una promessa di rinnovamento e di giustizia. Negare questa apertura significa rinunciare alla pienezza del Corpo di Cristo e alla missione collettiva di amore e servizio che Dio ha affidato a tutta la sua Chiesa.
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Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli