da Adista del 22/11/2025
Ordinario Militare: <<Il cristiano non è un pusillanime e non indietreggia>>
di Luca Kocci
«Il cristiano non è un pusillanime, non indietreggia di fronte alle sfide della storia, non evade dalla condizione del proprio tempo indossando maschere artificiose». Chissà cosa intendeva e con chi ce l’aveva mons. Gian Franco Saba, arcivescovo di Sassari e dallo scorso mese di aprile anche vescovo ordinario militare per l’Italia, con i gradi di generale di corpo di armata, nel suo editoriale per il Sir (4/11), l’agenzia di stampa della Conferenza episcopale italiana.
La data della pubblicazione, 4 novembre, e il tono fortemente retorico dell’intero editoriale autorizzano a pensare che si sia trattato di un’esaltazione del ruolo delle Forze armate, benché non diretta ma fortemente allusiva ed equilibrata da generiche citazioni e indicazioni di pace.
«Il 4 novembre, festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate, risuona nel nostro calendario come una melodia intessuta di espressioni musicali capace di suscitare una molteplicità di sentimenti, pensieri e progetti», si legge nell’editoriale del vescovo castrense. «Il primo programma che possiamo maturare alla luce dei fatti storici oggetto di memoria è l’educazione delle nuove generazioni, nonché di ciascuno di noi, a vivere il presente con responsabilità».
Prosegue mons. Saba: «Il ricordo del passato ci conduce “nell’oggi” di chi ci ha preceduti e ha vergato con l’inchiostro del sangue versato il testamento col quale abbiamo ricevuto il ricco patrimonio dell’unità, della pace e del progresso della comunità umana. La Patria è opera di padri e di madri generative, attitudine che anche noi siamo chiamati a sviluppare coltivando una sensibilità capace di rigenerare e diffondere un autentico umanesimo dell’incontro. Abbiamo pertanto il dovere di tener presente lo sforzo, l’amore, il sacrificio, il dono, che hanno fatto per noi».
Quindi l’affermazione, che ha suscitato anche diverse perplessità (v. notizia successiva): «Il cristiano non è un pusillanime, non indietreggia di fronte alle sfide della storia, non evade dalla condizione del proprio tempo indossando maschere artificiose».
È in questo contesto che si colloca il ruolo dell’Ordinariato militare e dei suoi 162 cappellani a cui, lo ricordiamo, sono attribuiti «per assimilazione» i relativi gradi militari e gli stipendi dei soldati, dal generale di corpo d’armata (il vescovo castrense) al tenente (cappellano militare addetto). «L’educazione della persona umana come accompagnamento dell’individuo nella maturazione della sua dimensione spirituale costituisce una delle principali missioni della Chiesa ordinariato militare nell’ambito della Difesa», scrive Saba. «La ricca tradizione letteraria dell’antichità cristiana tramanda la memoria dell’esito trasformativo generato dal Vangelo nel cuore di persone impegnate in azioni belliche e di difesa. Il Vangelo, se accolto anche dentro i limiti di una cultura e di una peculiare condizione temporanea, suscita una forza capace di aprire il cuore dell’uomo a gesti ed azioni di altissimo profilo spirituale». E conclude: «La pedagogia dell’assistenza spirituale nell’ambito della Difesa, svolto dai cappellani militari sia in contesti di pace che in teatri e missioni speciali, è un’opera silenziosa e spesso umile che nello stile della compagnia, della prossimità genera una diplomazia dello spirito apportatrice di pace, di consolazione, di integrazione e di dialogo tra mondi apparentemente tra loro ostili». Ecco allora che «la celebrazione del 4 novembre è uno scrigno prezioso che custodisce il generoso impegno di sacerdoti, religiosi e religiose, che hanno donato la vita per assicurare il nutrimento eucaristico e la condivisione di qualche piccola porzione di rancio necessario alla sopravvivenza».
Ma sono stati giorni intensi quelli vissuti dall’Ordinariato militare, che peraltro quest’anno celebra il proprio centenario (venne eretto il 6 marzo 1925). Il 12 novembre, alla chiesa dell’Ara Coeli di Roma, mons. Saba ha presieduto la messa in ricordo dei «caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace», sostenendo la necessità di «una cultura pragmatica della pace»: intendeva la partecipazione alle missioni militari internazionali che tanta pace hanno costruito nel mondo? (contemporaneamente nelle caserme italiane, denuncia Luca Marco Comellini, del Partito per la tutela dei Diritti dei militari, per ricordare i militari caduti nelle missioni internazionali e nell’adempimento del dovere, i soldati schierati sono stati «obbligati a rispondere “Presente” alla lettura del nome di ciascun caduto»: «mi auguro che Crosetto in futuro vorrà lasciare fuori dalle caserme simili e imbarazzanti modalità di evocazione» in stile ventennio fascista). Il 3 novembre il vescovo castrense ha ricevuto il Premio internazionale “Nassiriya per la Pace”, conferito nello stesso giorno anche a Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia), presidente della Commissione parlamentare antimafia, che nei giorni scorsi la trasmissione televisiva Report ha mostrato con il volto sorridente in alcune vecchie foto, accanto a un busto di Mussolini. E a fine ottobre, alla Domus Pacis di Assisi (sic!), si è svolto l’annuale corso di formazione e aggiornamento per i cappellani militari, durante il quale il vescovo Saba ha chiarito che «la teologia della pace non si fonda sui pacifismi» ma «nasce dall’orizzonte del mistero di grazia che abbiamo ricevuto». E ha ribadito la missione dell’Ordinariato: «Formare, attraverso l’assistenza spirituale, uomini e donne che sappiano mitigare la propria interiorità per essere costruttori e artefici di pace. Credo che questo sia il servizio di una Chiesa che non celebra le armi, ma che celebra il mistero dell’amore, il mistero della carità nel mondo. Per noi questa è una responsabilità, soprattutto anche davanti a chi non comprende ancora molto bene, forse, la vocazione di una Chiesa ordinariato militare». Tuttavia quello che molti non comprendono – da Pax Christi alle Comunità cristiane di base, e anche noi di Adista – non è la «vocazione di una Chiesa ordinariato militare», ma l’assimilazione alla struttura e alla gerarchia delle Forze armate di un organismo ecclesiale, nella convinzione che «l’assistenza spirituale» ai militari possa essere condotta senza indossare le stellette sulla talare.