da Il Manifesto del 11/12/2025
Il pianeta brucia e l’Europa che fa? Deregolamenta
di Lorenzo Tecleme
Il Pianeta si riscalda, ma a Bruxelles non se ne accorgono. Il Climate Change Service del programma europeo Copernicus ha diffuso i dati relativi al 2024. E non sorprendono. La temperatura media globale di novembre è stata di 1,54°C superiore rispetto alla media corrispondente dell’era preindustriale, prima cioè che l’umanità iniziasse a modificare il clima. Il limite dei +1,5°C è stato costantemente superato negli ultimi tre anni. Era la soglia sotto la quale avremmo dovuto «preferibilmente» rimanere secondo l’Accordo di Parigi, la più importante intesa sul contrasto al riscaldamento globale, ma la comunità scientifica lo dà ormai quasi per perso.
NELL’INSIEME, il 2025 sarà probabilmente il secondo anno più caldo da quando esistono le misurazioni: quasi alla pari col 2023 e poco sotto il 2024. Non bisogna farsi ingannare da questo lieve calo: alcuni fenomeni meteorologici fanno sì che le temperature medie siano un po’ più alte o un po’ più basse secondo cicli di pochi anni, ma il trend di lungo periodo rimane di crescita.
Il braccio politico dell’Unione europea, comunque, non sembra interessato agli allarmi del suo braccio scientifico. Lunedì, il giorno prima dell’uscita dei dati di Copernicus, la Commissione ha trovato un accordo con Parlamento e Consiglio europeo relativo a un nuovo pacchetto omnibus. È uno dei diversi progetti di legge in corso di discussione che dovrebbero semplificare le norme europee al fine di rilanciare la competitività del Continente.
Le prime vittime di questa nuova ondata di deregolamentazione sono proprio le norme ecologiche.
Il pacchetto in questione riguarda infatti due direttive sulla rendicontazione ambientale delle imprese approvate dalla precedente Commissione – guidata sempre da Ursula Von Der Leyen, ma con una maggioranza meno conservatrice. Secondo queste direttive, le aziende europee avrebbero dovuto pubblicare i dati relativi alle loro emissioni climalteranti, il loro consumo idrico e il rispetto dei diritti umani nella loro catena di forniture. Con l’omnibus accordato, oltre l’80% delle imprese sarà esentato da questo obbligo. La corsa alla deregulation è stata criticata dalla Sinistra e dai Verdi, e inizia a preoccupare anche una parte dei Socialisti e Democratici. «Von Der Leyen sta facendo sua l’agenda di Trump – ha detto la spagnola Iratxe García, portavoce del gruppo socialista – e i pacchetti omnibus stanno spuntando come funghi».
Il Parlamento europeo potrebbe ancora bloccare il progetto in un voto previsto per il 16 dicembre, ma è molto difficile lo faccia. Se anche i Socialisti si mettessero di traverso, i Popolari di Von Der Leyen possono ormai stabilmente contare sui voti delle ultradestre quando si tratta di annacquare o rimandare misure ecologiche. Tanto che la presidente della Commissione ha già pronto un secondo round di deregulation ambientale.
DI NUOVO l’obiettivo è ridurre gli obblighi di rendicontazione sugli impatti di diverse industrie – in questo caso soprattutto relativi a gestione dei rifiuti ed emissioni climalteranti. Per Wwf Europe si smantellano così «decenni di protezione della natura».
Le componenti più ecologiste della politica europea, sconfitte sulla revisione delle misure a breve termine, si rifugiano negli obiettivi lontani dal tempo. Un altro trilogo – ovvero l’incontro di Commissione, Consiglio e Parlamento comunitario – si è accordato su un nuovo target di riduzione dei gas climalteranti del continente. Entro il 2040 l’Unione nel suo insieme dovrà ridurre le sue emissioni del 90% rispetto ai livelli massimi mai raggiunti, quelli del 1990. Meno 90% in quindici anni è un obiettivo forse non allineato all’Accordo di Parigi, ma comunque ambizioso, specie in questo contesto di ritirata delle politiche ecologiche.
SULL’IMPORTANZA REALE di questo risultato pesano però due grossi “ma”. Il primo è l’introduzione del principio di flessibilità, che permetterà di coprire con l’acquisto di crediti di carbonio una parte della riduzione prevista – una pratica molto criticata da esperti ed ecologisti. Il secondo è proprio la distanza temporale del target: per i leader europei è più facile accordarsi su decisioni la cui attuazione ricadrà ben oltre la fine del loro mandato. L’Ue prende impegni importanti fino a che ci sono decenni di tempo per rispettarli. Ma quando si tratta di diminuire le emissioni qui e ora, l’ambizione sparisce.