da Presenza del 30/11/2025
Leva militare e militarizzazione: l’Europa di fronte a nuove sfide
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, con il crollo del Muro di Berlino e lo sgretolamento del Patto di Varsavia, NATO, USA ed Europa capirono che si stavano aprendo enormi spazi per la loro egemonia economica e militare. Nell’arco di pochi anni la NATO iniziò ad espandersi nell’Est e nel Nord Europa, iniziava allora quella che venne stupidamente definitiva “una nuova era di pace”, visto che un decennio dopo l’Occidente capitalista scatenò conflitti con milioni di morti. In quel contesto storico la leva era un ferro vecchio del secolo precedente, serviva un esercito di professionisti, meno numeroso ma operativo per interventi in varie parti del Globo. E fu così che tanti Paesi decisero di archiviare la leva obbligatoria, congelandola in attesa degli eventi.
Il conflitto tra Russia ed Ucraina ci riporta indietro nel tempo ed è indubbio che soffino venti di guerra visto che la Bundeswehr (forze armate tedesche) ha redatto un corposo documento reso pubblico nei giorni scorsi ipotizzando nei minimi particolari lo scontro con la Russia.
Il Wall Street Journal ha parlato di questo documento e c’è un passaggio, riportato anche da Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato nell’edizione del 29 novembre, in cui si parla della necessità di spostare fino a 800 mila soldati NATO verso il confine Russia.
Solo questo spostamento comporta una rete ferrovia, stradale, dei porti e degli aeroporti funzionanti, una rete logistica e infrastrutturale da ammodernare per scopi di guerra. Al posto della manutenzione dei territori abbiamo un piano di logistica con investimenti straordinari, ecco un esempio pratico di come si sta facendo strada (letteralmente) quella che definiamo economia di guerra.
Logiche e strategie da Guerra fredda, un intervento indispensabile perché innumerevoli vie di comunicazioni non sono adeguate al trasporto di armi e la rete ferroviaria da tempo necessita di investimenti e ammodernamenti.
Se qualcuno ironizzava sulle dichiarazioni di Crosetto riguardo al pericolo di attacchi ibridi presto dovrà ricredersi visto che sta per arrivare in Parlamento un disegno di legge per soldati volontari.
Non si parla ancora di leva obbligatoria, ma per trovare un numero congruo di soldati le strade sono molteplici e al fine di invogliare i giovani a scegliere la via militare i governanti interverranno sulle condizioni lavorative e previdenziali. Ad esempio, i militari potrebbero beneficiare di scivoli e aiuti per una uscita anticipata dal mondo del lavoro, facendo pesare più di ogni altra categoria i contributi versati: per ipotesi, 30 anni di servizio militare potrebbero essere equiparati a 43 anni di contributi, per arrivare alla pensione con un elevato assegno, pur avendo dieci e oltre anni di contributi versati in meno. E sempre nei mesi scorsi si era parlato di welfare e piano casa per i militari, di buste paga maggiorate, tutte ipotesi ancora al vaglio del Governo.
La questione va quindi affrontata nella sua complessità, perché una lettura di questi fatti non potrà essere parziale: non basta parlare di enorme flusso di denaro dal civile al militare o genericamente di economia di guerra, dietro all’aumento degli effettivi si celano innumerevoli scelte.
In Germania hanno già reintrodotto la leva, volontaria, pronta a trasformarsi in obbligatoria, se non ci saranno i numeri previsti. In Francia hanno già pensato al servizio nazionale volontario a partire dal 2026, con dieci mesi di naia, il progetto prevede di arrivare entro 10 anni a 50 mila unità in aggiunta ai militari di professione veri e propri.
Negli ultimi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha denunciato la presenza dei militari nelle scuole, il reclutamento ideologico, l’esaltazione della vita in divisa, le scuole militari, i campi estivi organizzati dalle associazioni legate ai vari corpi armati, le Fondazioni culturali e scientifiche emanazioni di aziende militari, un sistematico lavoro di catalogazione che si è guadagnato il sarcasmo di chi non aveva contezza della realtà.
La presenza di tanti militari aveva uno scopo ben preciso, perché lor signori hanno una marcia in più rispetto ai creduloni da social: essi leggono, studiano, hanno documenti strategici e si muovono in largo anticipo per preparare il terreno sul quale muoversi. Storicamente la presenza di militari nelle scuole ha sempre determinato la costruzione di un clima da guerra, di una cultura militarista, un po’ di letture sarebbero alla portata di tutti.
Quanto accade in Francia funge da modello anche per il nostro Paese. Se in Germania parlano esplicitamente di obbligatorietà della leva, in questi due Paesi ci si ferma, al momento, alla volontarietà. Tra poche settimane leggeremo quanto prevede il testo di legge, intanto la presenza di militari nelle scuole per il reclutamento futuro dei giovani avrà un ulteriore impulso.
E se fino ad ora abbiamo parlato solo di Francia, Italia e Germania, sarà il caso di sapere che in molti Paesi del Nord Europa sono ancora in piedi, dalla guerra fredda, dei sistemi di coscrizione parzialmente obbligatori, in diverse nazioni ci sono i volontari ma in caso di necessità le loro leggi nazionali prevedono la leva obbligatoria.
In Polonia, il Paese che ad est è arrivato per primo al 5% del PIL per la spesa militare, esiste oltre un mese di addestramento base volontario a cui seguono periodi più lunghi di specializzazione. E per giustificare l’ennesimo processo di militarizzazione, per spianare la strada all’avvento generalizzato dell’economia di guerra, si torna a parlare dell’urgente necessità per la UE di dotarsi di un esercito comune e ancor prima di un sistema militare che tenga insieme le imprese belliche del vecchio continente evitando che siano inglobate nel sistema statunitense.
Gli scenari sono molteplici, il nostro impegno sarà quello di farli conoscere a chi sarà carne da macello per le prossime guerre, impresa ardua, specie in tempi come i nostri.
Federico Giusti
Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università sin dall’inizio del nostro impegno ci siamo dati un obiettivo: rompere la normalizzazione del rapporto tra scuole e mondo militare, fare in modo cioè di cambiare di segno alla narrazione che vedeva le scuole vantarsi di progetti svolti con le forze dell’ordine o con i militari.
Oggi, con grande soddisfazione, registriamo che tre di questi appuntamenti sono stati annullati a seguito delle pressioni della società civile.
Un primo caso si è avuto qualche giorno fa a La Spezia dove un generale della Folgore avrebbe dovuto tenere una conferenza di geopolitica agli studenti e alle studentesse delle scuole superiori dal titolo “La storia non è finita…”. Il timore delle contestazioni annunciate e l’intervento puntuale presso le scuole e i/le docenti affinché non accompagnassero le loro classi hanno ottenuto l’annullamento dell’evento, “per problemi organizzativi”, come hanno voluto dire.
Il secondo caso arriva invece da Udine dove in data 2 dicembre 2025 alcuni docenti della Scuola Secondaria di primo Grado “G. Ellero” avrebbero dovuto partecipare alla “simulazione di interazione tra contesto scolastico e coloro che operano in difesa dei civili in teatro estero per condurre operazioni nel settore della cooperazione civile-militare a supporto dei contingenti della NATO”.
D’altra parte, questa è una precisa raccomandazione del Parlamento europeo del 26 marzo 2025, laddove si indica la necessità di formare i/le docenti sulle questioni della sicurezza, e dunque si prevedeva un’esercitazione con tanto di mezzi militari nel cortile della scuola. Sulla vicenda di Udine AVS ha annunciato un’interrogazione parlamentare e l’iniziativa è stata annullata.
Il terzo caso riguarda, invece, l’università, in questo caso l’Università di Bologna. Qui è accaduto che il generale Masiello abbia chiesto all’Alma Mater di avviare un corso di filosofia per un gruppo di 10-15 militari al fine di “sviluppare un pensiero laterale”, ma i docenti dell’Università di Bologna, molto avanti nel processo di consapevolezza e di smilitarizzazione dei luoghi della formazione, anche grazie alla lotta condotta dagli studenti e dalle studentesse, hanno risposto picche e il corso non si fa!
Cosa ci dicono queste tre vicende? Ci parlano sicuramente di tre vittorie, per niente scontate e che infatti finora non si erano verificate. Ma ci dicono anche che la diffusione della “cultura della difesa” ha bisogno di muoversi con lentezza e senza fare rumore; il danno che le contestazioni pubbliche possono fare è enorme, i guerrafondai lo sanno benissimo e preferiscono ritirarsi quando capiscono il detrimento che ne potrebbero ricevere.
Se la cultura della difesa per diffondersi ha bisogno di costruire un consenso lento e silenzioso, cari signori della guerra, noi continueremo a fare rumore e a gioire di ogni vostra ritirata strategica!
Serena Tusini