giovedì 4 dicembre 2025

ILVANGELODELLA DOMENICA

Il Fatto Quotidiano, 15 giugno '25

 

ANTONIO SPADARO

Il bacio di Giuda

Non ci può mai essere tradimento senza intimità

 

Gesù stava ancora parlando. Il filo del discorso si stava dipanando quando viene tranciato di netto. Arriva Giuda. Irrompe sulla scena. Con lui una folla con spade e bastoni. Le frasi di Gesù sono sovrastate dai movimenti violenti di gente "mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani”. Marco dimentica il nome di quel discepolo che irrompe. Ormai per lui è solamente “il traditore”. Lui aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: “Quello che bacerò, è lui: arrestatelo e conducetelo via sotto buonascorta”. Marco esagera: davvero il traditore avrà consigliato una buona scorta? E disvela il trucco in anticipo per spiegare l'azione che compie. Deve essere chiaro a chi legge il racconto che la colpa di quel miserabile è premeditata.

Appena giunto davanti a lui, il traditore gli si avvicina. C'è un attimo, dunque, in cui Gesù e il traditore si guardano uno davanti all’altro. E nulla accade. La sospensione si scioglie. Quel miserabile dice meccanicamente “Rabbi”. Ha studiato la parte, forse pure il tono: dolciastro, inebetito, finto. E lo bacia. Lo bacia. Lo bacia. Lo bacia. Quel bacio è un’istantanea sulla pelle di Dio. Non c’è tradimento senza intimità. Non si può tradire se non c’è stata una forma di vicinanza, di amore, di fiducia. Le labbra di Giuda sono ancora sulla guancia quando Gesù sente le mani degli altri addosso per arrestarlo. Labbra e mani sono su di lui: sì, il vero tradimento richiede sempre intimità. Il vero tradimento deve essere fisico. Il tradimento ideale e intellettuale è solo un vezzo.

“Quelli” gli mettono le mani addosso e lo arrestano. La folla non ha volto, non può baciare. Mani afferrano Gesù, lo strattonano, lo separano dal suo spazio, dal suo tempo, dai suoi. È un gesto rapido, brutale, che segna una separazione tra due spazi, quello dell’amicizia e quello della brutalità. Che subito però viene colmato: l'odio penetra il cuore dei discepoli e “uno dei presenti”, dice Marco togliendogli il nome e il volto, estrae la spada, percuote il servo del sommo sacerdote e gli stacca l’orecchio. Chi era? Marco non ce lo dice. Perché era armato? Non lo sappiamo. È un gesto impulsivo, violento, disperato. Ma non è la via di Gesù. Che prende la parola. E smonta la scena: “Come se fossi un ladro venite a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato”. Non è una difesa, è un’accusa sussurrata con la dignità del vero. Gesù non si nasconde, non fugge, non resiste con la forza. Si offre. Consegna se stesso: “Si compiano dunque le Scritture!”, dice. Proietta il suo destino in un destino più alto, in un disegno che al momento resta incomprensibile. La sua storia personale cede alla forza di questo destino.

E la risonanza è la fuga di tutti: tutti lo abbandonano e fuggono. Tutti. Nessuno lo difende, nessuno lo consola, nessuno resta. Solo il silenzio. I suoi aggressori sono là, ma è come se fossero spariti di scena. Vediamo Gesù tradito, legato, solo. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo. Nel cuore di questa tragedia si vede un fantasma bianco che fende la notte. È un dettaglio improvviso, surreale, assurdo. E anche lui viene afferrato. Ma lui è giovane, veloce: la mano che lo afferra resta aggrappata al lenzuolo. Marco nota: il ragazzo fugge via, nudo.

Il movimento sussultorio di questo brano muove tra un bacio e una fuga. L’anatomia della notte è completa e tutto ci sfugge. Il lettore resta con un lenzuolo candido in mano e l’orrore di un orecchio mozzato che sporca le mani di sangue.