LA BIBBIA SI ATTUALIZZA?
MISTICA E POLITICA
Questa riflessione ruota attorno a una questione di fondo: è corretto parlare di attualizzazione della Bibbia? Si può attualizzare la Bibbia?
Una osservazione 'diacronica' della nostra esperienza di lettura della Bibbia (diacronìa è il carattere dei fatti osservati dal punto di vista della loro evoluzione nel tempo) può facilmente evidenziare che il metodo della lettura stessa è sottoposto ad una continua evoluzione: una vera e propria costruzione a tappe. Attorno ad un nucleo centrale (lettura di fede, lettura comunitaria, storico-critica e politica) si verificano continue oscillazioni (dimensioni ora più sottolineate, ora quasi dimenticate e poi riprese) e continue acquisizioni. Si tratta non tanto di una affermazione generale, ma di una constatazione che ritengo rilevabile dall'analisi del cammino della maggior parte delle comunità.
1) Persistenti «disturbi di comunicazione»
Nonostante il buon lavoro svolto in questi anni a livello di
riappropriazione di strumenti per la lettura della Bibbia, andrei cauto nel
dare per acquisito il metodo storico-critico all'interno dei nostri gruppi e
delle comunità di base.
Troppo spesso lo spessore delle mediazioni culturali, della distanza storica e
della irriducibile diversità di culture del mondo biblico e del nostro viene
sottovalutato nel nostro lavoro ermeneutico, nella nostra lettura comunitaria.
In questo passaggio da fede a fede non è sempre così facile fare i conti
con la fede biblica e i suoi interpretamenti culturali, senza cadere in facili
deduzioni, più o meno immediate e dirette. La continuità nella stessa fede
si coniuga con la discontinuità nelle culture. Occorre dunque confrontarci
con la fede di Abramo, Mosè, dei profeti, di Maria, di Gesù… lasciando però
cadere la loro cultura. E' il continuo processo di deculturizzazione e di
inculturazione.
Sembra dunque non essere eccessiva la sottolineatura precedente nel senso che,
anche nella pratica del metodo storico-critico, sovente ci si è fermati ad una
lucida intuizione, ma anche alle soglie di una reale riappropriazione.
2) E' corretto parlare di «attualizzazione»?
Non sembra una domanda cavillosa, inutile o bizantina? Si tratta piuttosto
di una questione che va oltre i discorsi di metodo. Certo, l'istanza che sta
sotto il concetto di attualizzazione è positiva e rilevante: si tratta di una
Parola viva che opera oggi, nel mondo e nella nostra vita; essa è capace di
interpellarci sempre e non ha perso senso e vigore nel nostro tempo. Non
potrebbe sostenere la nostra fede, se non fosse una Parola valida per oggi.
Più che di attualizzazione della Parola di Dio io parlerei di «convivenza»
della Parola di Dio nella nostra vita: il nostro convivere con la Parola e
il convivere della Parola con noi. Più che di attualizzare la Parola si tratta,
a mio avviso, di ascoltare oggi questa Parola per assumere, davanti a
Dio e nella forza dello Spirito di Gesù, le decisioni che dobbiamo
responsabilmente assumere.
A mio avviso si tratta di 'castigare' e di frenare le nostre frette
attualizzanti; anzi, è forse utile domandarci se la stessa parola
«attualizzazione» sia idonea a rendere il concetto che vogliamo intendere con
questo collegamento sorgivo alle fonti profetiche ed apostoliche della nostra
fede.
Espongo qui alcuni rischi dell'attualizzazione:
A) Il primo è quello già accennato. Può infatti succedere che si saltino
completamente o si percorrano a gran trotto delle mediazioni culturali
invalicabili con deduzioni travisanti che suonano come vere e proprie manomissioni
del testo. Il pericolo allora diventa quello di giustapporre semplicemente o di
trasferire incautamente dei dati culturali a tutto scapito del confronto con il
dato di fede. I due piani possono facilmente venire confusi ed allora
non avviene alcun vero confronto di fede oppure esso è oggettivamente sfasato.
B) Chi e più preso dall'istanza 'attualizzante' rischia di cadere in un «presentismo»
miope e soffocante. Quando si esalta l'attualità si rischia di diventare
prigionieri del presente e di perdere sia la distanza critica da esso sia un
respiro più ampio, «cattolico», cioè capace di guardare al di là del
contingente per situarlo in un orizzonte storico. Il rischio del presentismo e
appunto quello di far perdere la memoria, di farla cadere, oppure di
ridurla ad una pura sequela di fatti, semplicemente come vagoni ferroviari
messi uno di seguito all'altro, uno accanto all'altro... senza organizzare il
convoglio.
Il rischio è anche quello di ridursi a registrare gli umori, il flusso e riflusso
delle varie stagioni culturali, dei problemi del momento, siano essi sociali,
politici oppure esistenziali; di ridursi ad una mera copia, una reduplicazione
o ripetizione delle maree esistenziali nel tentativo di dare risposte cristiane
valide per noi.
Chi è più inserito in una 'pratica di memoria' sarà meno tentato di
lasciarsi circoscrivere e avviluppare, fasciare dal presente e catturare
dall'attualità, nella sua forza 'assorbente' in modo totalizzante.
Qualche volta l'ascolto della Parola di Dio deve accettare l'inattualità,
rimettere in luce le «verità dimenticate», far
risuonare delle voci non immediatamente o non per nulla avvertite come utili.
Per contro va anche detto che chi è più attento alla memoria può correre il
rischio di non cogliere le emergenze dell'oggi, di interpretare tutto in chiave
di semplice continuità eliminando la rottura... Il presente non è solo
l'imprescindibile orizzonte di comprensione entro il quale noi osserviamo, ma è
ancor più una fonte originaria di nuove esperienze, di nuove idee, di nuove
chiamate e di nuove decisioni e tale sua pregnanza non può essere trascurata.
Forse si tratta di non separare artificialmente passato e presente, ma di
lavorare ad un futuro nuovo con una radicazione creativa nel passato; in
sostanza di non disgiungere l'istanza
dell'oggi da quella della «memoria». La memoria sta alla fede cristiana come
le radici all'albero. Essa conferisce nuove capacita 'visive' agli occhi
della nostra fede, proprio in vista del discernere oggi la volontà di Dio.
C) Altro rischio della attualizzazione è costituito, a mio avviso, dal
tentativo frequente che noi siamo indotti a compiere di «scaricare» su Dio
le decisioni che dobbiamo assumere noi, su nostra totale responsabilità. La
Bibbia non è un testo «suggeritore» delle nostre decisioni, ma è piuttosto la
testimonianza di come uomini e donne, nella loro vita di fede, hanno maturato le
loro decisioni al cospetto di Dio. Il messaggio biblico non viene dunque
incontro a noi con un prontuario di risposte. Il Dio di Gesù Cristo non ci
permette di deresponsabilizzarci, ma spinge al massimo la nostra
responsabilità.
3) Una lettura di fede che comunichi con la vita
d'ogni giorno
Dicendo che non dobbiamo aspettarci dalla lettura della Bibbia delle immediate
attualizzazioni, non si vuole certamente incentivare un approccio cerebrale,
'devitalizzato', cioè privato di collegamento con la vita. Tutt'altro! Si vuole
solo vigilare sulla qualità di questo rapporto Bibbia-Vita quotidiana. Quello
che io suggerisco è dunque un modo più «convivente e contemplativo» che
miri a costruire in noi un modo di «stare con la Parola di Dio» più che la
preoccupazione di estrarre delle risposte. Come direbbe Giovanni,
l'importante è che la parola resti, dimori in noi. Questa
«contemplazione» stimola e conduce ai vertici della maturità cristiana e ci
abitua a vivere al cospetto di Dio come persone responsabili. La lettura della
Bibbia diventa allora la mia-nostra aggregazione alla lunga e grande carovana
dei cercatori di Dio e della sua volontà. Le loro decisioni di fede non sono da
ricopiare, ma mi stanno davanti come provocazioni a dare ed arrischiare oggi la mia-nostra risposta, sapendo che Dio è sempre
inesauribile nelle sue presenze e nelle sue chiamate.
Ma come promuovere una più estesa «convivenza» della Parola di Dio con la
nostra vita, se poi si mette in dubbio la legittimità della attualizzazione?
La cosa può sembrare una contraddizione, ma non è cosi. Per chi cerca
profondamente di mettersi in sintonia con la lunga carovana dei ricercatori di
Dio, per chi entra nell'animus profondo di Gesù di Nazareth, l'uomo
completamente aperto e disponibile ai segni di Dio, nasce non più l'esigenza di
dedurre dalla Parola una precisa ispirazione operativa, ma una maniera di colloquiare
con la Scrittura che è molto simile al rapporto che esiste con una sorgente
di vita.
Si tratta di un rapporto che fruisce di una grande libertà e di un profondo
istinto di fede. Infatti non si tratta di una parola utile ad ogni uso ed
abuso, ma inesauribile nelle sue possibilità: «Le sacre Scritture possono
istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Gesù Cristo.
Tutta la scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere,
correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben
preparato per ogni opera buona» (2 Tm. 3, 14-16). Essa è parola che istruisce
(Rom. 15,4) non meno che parola di esortazione (I Cor. 14, 3), di conforto, di
speranza, di conferma nella fede.
Il cristiano che legge non potrà mai dimenticare che «la Parola è vicina».
«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te né troppo
lontano da te. Non è nel cielo perché tu dica: chi salirà per noi in cielo, per
prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare perché
tu dica: chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo
possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, e nella tua bocca,
e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Deut. 30, 11-14). Perciò
bisogna farne il centro delle proprie brame (Salmo 119 vv. 1-2-3), ma è anche
vero che «il diavolo porta via la Parola dal cuore» (Lc. 8, 12).
Essa è «Parola di salvezza» (Atti 13, 26), ma anche «Parola della croce» (I
Cor. 1, 18), «Parola di riconciliazione» (II Cor. 5, 19); «Parola di verità»
(II Cor. 6, 7), «Parola della vita» (Fil. 2, 15) da tenere alta, «Parola della
giustizia» (Ebr. 5,13), «Parola profetica» (II Pt. 1, 19). Essa è Parola che
mette in piedi anche i morti e dà speranza (Ezechiele 37). Si tratta di una
Parola che cerca ancora e sempre di farsi carne (Gv. 1, 1-18).
Alcuni testi conciliari ricordano la fecondità propria e diffusa della Parola
di Dio quando si familiarizza con essa: «Nella Parola di Dio è insita tanta
efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli
della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne
della vita spirituale» (DV 21). «L'alimento delle Scritture illumina la mente,
corrobora le volontà, accende i cuori degli uomini all'amore di Dio» (DV 23).
Nella nostra vita di fede il contatto continuo e
l'assiduità all'ascolto della Parola di Dio ci danno quel sostegno, quel vigore
di cui abbiamo bisogno. Noi infatti abbiamo veramente bisogno di sostegno, di
vigore, di cibo, di sorgente che rigeneri le nostre forze, di menti illuminate,
di volontà corroborate, di cuori accesi. Questo linguaggio poetico della
Bibbia, della Patristica e del Concilio ci suona vero per la nostra vita di
ogni giorno in cui sovente ci manca la luce per discernere e la forza per
agire. La lettura della Parola diventa la sorgente che fornisce di acque il
povero torrentello della nostra fede. Non è la sorgente che dispensa il
torrente dall'aprirsi la strada, ma è la sorgente che gli garantisce l'acqua!
In questo continuo attivare le fonti, in questo continuo riandare alle
sorgenti, c'è posto per il singolo come per la comunità. Ma è proprio nel
cammino comunitario che, nell'incontro delle esperienze la parola svela i suoi
mille significati e tutta la sua presenza alle varie situazioni della vita.
Franco Barbero, 1972