PERCHÉ VA CANCELLATA LA PAROLA CLANDESTINO
Caro direttore, nel "Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere" sottoscritto dall'Italia e dal Governo di riconciliazione libico compare più volte - come sinonimo di migrante non regolare - il termine "clandestino". Qui intendiamo sorvolare sui molti punti di quell'intesa che ci lasciano perplessi, per concentrarci sul suo linguaggio. Se, come ci auguriamo, il ricorso al termine "clandestino" è il frutto di una distrazione, è una distrazione grave. Sono passati due anni da quando, su richiesta della Commissione per la tutela dei Diritti umani del Senato, il termine "clandestino" è stato cancellato da molti atti ufficiali italiani e dal sito del ministero dell'Interno dove, fino al 2014, continuava a comparire.
Il termine "clandestino" è, in primo luogo, giuridicamente infondato quando viene utilizzato per indicare - anche prima che abbiano potuto presentare domanda d'asilo e che la domanda sia stata valutata dalle commissioni territoriali - i migranti che tentano di raggiungere, o raggiungono, il territorio dell'Unione Europea. Si tratta, inoltre, di un termine che contiene un giudizio negativo aprioristico - suggerendo l'idea che il migrante agisca al buio, come un malfattore - ed è contraddetto dalla realtà dei fatti. Gli immigrati, anche quelli non regolari, non si nascondono al sole. Al contrario, spesso lavorano sotto il sole, dall'alba al tramonto, nei campi e nei cantieri.
L'Associazione Carta di Roma - dal 2011 impegnata nel far rispettare il codice deontologico che i giornalisti italiani si sono dati per i servizi su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti - illustra costantemente questo concetto elementare nelle sue attività di formazione. Con un certo successo, considerato che l'uso improprio della parola va diminuendo. E sempre più spesso l'utilizzo non è frutto di distrazione o disinformazione, ma della volontà di affermare un'idea aprioristicamente negativa, e xenofoba, dell'immigrazione.
Il ricorso reiterato del termine suggerisce un'immagine dell'immigrato come nemico. Un'insidia per la società, l'incolumità dei cittadini e la sicurezza dei loro beni. Di conseguenza, nel testo dell'intesa tra il governo italiano e il governo libico si accredita - al di là delle intenzioni di quanti l'hanno redatto e sottoscritto - l'idea che gli immigrati non siano persone titolari di diritti, bensì una minaccia sociale da combattere. La parola "clandestino" è uno dei lemmi dell'hate speech, il discorso d'odio. L'articolo 7 del Memorandum prevede che il testo possa essere "modificato a richiesta di una delle parti". Si tratta di una procedura semplice, che può e deve essere attivata. Quella parola va cancellata subito. Questa lettera è stata inviata al presidente del Consiglio, al presidente della Camera e al presidente del Senato.
Ermanno Olmi, Luigi Manconi, Nicola Lagioia, Alessandro Bergonzoni, Giovanni Maria Bellu e Beppe Giulietti.
(la Repubblica, 8 febbraio)
Caro direttore, nel "Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere" sottoscritto dall'Italia e dal Governo di riconciliazione libico compare più volte - come sinonimo di migrante non regolare - il termine "clandestino". Qui intendiamo sorvolare sui molti punti di quell'intesa che ci lasciano perplessi, per concentrarci sul suo linguaggio. Se, come ci auguriamo, il ricorso al termine "clandestino" è il frutto di una distrazione, è una distrazione grave. Sono passati due anni da quando, su richiesta della Commissione per la tutela dei Diritti umani del Senato, il termine "clandestino" è stato cancellato da molti atti ufficiali italiani e dal sito del ministero dell'Interno dove, fino al 2014, continuava a comparire.
Il termine "clandestino" è, in primo luogo, giuridicamente infondato quando viene utilizzato per indicare - anche prima che abbiano potuto presentare domanda d'asilo e che la domanda sia stata valutata dalle commissioni territoriali - i migranti che tentano di raggiungere, o raggiungono, il territorio dell'Unione Europea. Si tratta, inoltre, di un termine che contiene un giudizio negativo aprioristico - suggerendo l'idea che il migrante agisca al buio, come un malfattore - ed è contraddetto dalla realtà dei fatti. Gli immigrati, anche quelli non regolari, non si nascondono al sole. Al contrario, spesso lavorano sotto il sole, dall'alba al tramonto, nei campi e nei cantieri.
L'Associazione Carta di Roma - dal 2011 impegnata nel far rispettare il codice deontologico che i giornalisti italiani si sono dati per i servizi su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti - illustra costantemente questo concetto elementare nelle sue attività di formazione. Con un certo successo, considerato che l'uso improprio della parola va diminuendo. E sempre più spesso l'utilizzo non è frutto di distrazione o disinformazione, ma della volontà di affermare un'idea aprioristicamente negativa, e xenofoba, dell'immigrazione.
Il ricorso reiterato del termine suggerisce un'immagine dell'immigrato come nemico. Un'insidia per la società, l'incolumità dei cittadini e la sicurezza dei loro beni. Di conseguenza, nel testo dell'intesa tra il governo italiano e il governo libico si accredita - al di là delle intenzioni di quanti l'hanno redatto e sottoscritto - l'idea che gli immigrati non siano persone titolari di diritti, bensì una minaccia sociale da combattere. La parola "clandestino" è uno dei lemmi dell'hate speech, il discorso d'odio. L'articolo 7 del Memorandum prevede che il testo possa essere "modificato a richiesta di una delle parti". Si tratta di una procedura semplice, che può e deve essere attivata. Quella parola va cancellata subito. Questa lettera è stata inviata al presidente del Consiglio, al presidente della Camera e al presidente del Senato.
Ermanno Olmi, Luigi Manconi, Nicola Lagioia, Alessandro Bergonzoni, Giovanni Maria Bellu e Beppe Giulietti.
(la Repubblica, 8 febbraio)