Lula-Moro, ora è 2 giudici a 2. Mentre il Brasile sprofonda nella crisi
Claudia Fanti
Il Manifesto
11.03.2021
Se
«l’ora della verità si sta avvicinando» per l’ex giudice ed ex ministro
Sérgio Moro, come ha assicurato la presidente del Partito dei
lavoratori Gleisi Hoffmann, bisognerà comunque aspettare ancora un po’.
Il giudizio sulla sua parzialità da parte della seconda sezione del
Supremo Tribunale federale, ripreso martedì a poco più di due anni dalla
sua interruzione – quando il risultato era di 2 a 0 a favore dell’ex
giudice di Curitiba –, è stato nuovamente sospeso e non si sa fino a
quando, ma con il punteggio tornato in parità.
A
votare per primo contro Moro è stato Gilmar Mendes che, dopo aver
riaperto la sessione proprio per sventare il tentativo del collega Edson
Fachin di salvarlo, ha pronunciato un lungo e durissimo intervento
contro il «progetto populista di potere» dell’operazione Lava Jato e del
suo uomo simbolo, al fine di allontanare Lula dalla scena politica.
E
ha concluso votando per l’annullamento di tutti gli atti emessi da
Moro, con conseguente azzeramento dei processi contro l’ex presidente, e
per l’obbligo del pagamento delle spese processuali da parte dell’ex
giudice. Allo stesso modo si è pronunciato Ricardo Lewandowski, dopo
aver evidenziato come l’ex presidente sia stato «sottoposto a un
simulacro di azione penale» e ricordato la «perplessità della comunità
giuridica internazionale» riguardo al suo caso.
Sul
2 a 2, a decidere la partita avrebbe dovuto essere Kássio Nunes
Marques, entrato in carica a novembre su indicazione di Bolsonaro, ma il
giudice ha chiesto una nuova interruzione della sessione per avere più
tempo per studiare il processo.
Come
notato ironicamente dal giornalista Alex Solnik, se avesse votato a
favore di Moro, avrebbe scontentato Bolsonaro, diventato ormai suo
acerrimo nemico, ma ugualmente lo avrebbe scontentato se avesse votato
contro, contribuendo a spianare la strada alla candidatura presidenziale
di un avversario forte come Lula. Nel dubbio, ha preso tempo.
A
far ben sperare è stata comunque la ministra Cármen Lúcia che, dopo
essersi schierata nel 2018 insieme a Fachin a favore di Moro, ha
annunciato un «nuovo voto» dopo il pronunciamento di Nunes Marques,
lasciando così intendere un ripensamento da parte sua. A meno che il
giudizio, come temono alcuni, non vada alle calende greche, per l’ex
paladino della lotta alla corruzione sembra preannunciarsi la disfatta
definitiva.
Seduto sulla riva del fiume
in attesa di veder passare il cadavere del nemico, Lula ha assistito
allo spettacolo da casa, a São Bernardo do Campo, insieme a due dei suoi
avvocati, «tranquillo e di buon umore» malgrado la nuova interruzione
del giudizio.
«Il Stf ha mostrato che
mai alcun crimine è stato commesso da me», ha dichiarato poi in
conferenza stampa, sottolineando come «la sofferenza che i più poveri
stanno vivendo nel paese» sia «molto più grande di tutte le ingiustizie»
da lui subite e rivolgendo dure critiche alla gestione della pandemia
da parte di Bolsonaro, il giorno dopo in cui il Brasile ha segnato il
triste record di 1.954 morti in un solo giorno.
«Non
seguite nessuna stupida raccomandazione del presidente e del ministro
della salute», ha raccomandato Lula, affermando che tante di quelle
morti avrebbero potuto essere evitate se il governo avesse «creato un
comitato di crisi, coinvolgendo il ministero della salute e gli
scienziati, e orientato ogni settimana la società brasiliana sul da
farsi». «Non abbiamo un governo in questo paese», ha denunciato
accusando Bolsonaro di non prendersi cura né di economia o di lavoro, né
di salute e ambiente.
Contro l’ex
presidente, però, l’oligarchia sta già ricominciando a puntare le sue
armi evocando, tramite i suoi giornali, un presunto «rischio Lula» per i
mercati e continuando a vincolarlo al «più grande schema di corruzione
mai svelato nel paese». La strada verso la presidenza è ancora molto
lunga.