venerdì 12 marzo 2021

UN IMPULSO AL RINNOVAMENTO

 Così concilio cristianesimo e darwinismo

don Carlo Molari

«Oggi non c’è più alcun dubbio sul fatto che sia più fedele all’esperienza cristiana il darwinismo che la negazione dell’evoluzione. Oggi retrogradi sono coloro che ritengono che Darwin sia eretico. Il tempo ha dato ragione a Teilhard de Chardin».

Sorride Carlo Molari mentre, nel suo studio all’interno della casa di famiglia a Cesena, sfoglia con delicatezza le pagine del suo grande amore teologico, gli scritti del gesuita De Chardin scomparso nel 1955 e sui cui lavori è ancora valido il Monito della Dottrina della fede del 30 giugno 1962. 

Oggi 92enne, Molari è uno dei più noti teologi italiani. Aiutante di studio all’ex Sant’Uffizio e poi docente di dogmatica nell’Università Urbaniana, nel 1978 chiese la pensione dopo che la prefazione al Dizionario teologico (Borla 1972) e il libro La fede e il suo linguaggio (Cittadella, Assisi 1972) vennero accusati di sostenere posizioni non conformi alla dottrina.

I censori non accettavano il fatto che di Dio non si possa dire nulla di definitivo in quanto la sua comprensione cresce con l’evolversi dell’uomo e delle sue capacità cognitive. Un pensiero su cui oggi in tanti concordano e messo in pagina da Molari in un poderoso volume edito da Gabrielli: Il cammino spirituale del cristiano.

Quindi su Darwin aveva ragione lei?

«Negare l’evoluzione vuole dire non rendersi conto del cammino reale che i viventi stanno facendo sulla terra».

Dio è la fonte dell’evoluzione?

«L’evoluzione è possibile proprio perché Dio ne è la fonte, il principio. Ma se Dio è al principio significa che la sua perfezione non è ancora interamente espressa. Solo l’evoluzione può spiegare la complessità della realtà e il mistero di Dio».

La storia è allora necessaria per l’uomo ma anche per la teologia, cioè per la riflessione dell’uomo su Dio?

«L’evoluzione richiede la storia. Gli antichi pensavano che in origine vi fosse un Adamo perfetto, ma non può essere. L’uomo deve diventare e diventa nella storia e così la percezione che noi abbiamo di Dio».

Quindi il peccato originale è fantasia?

«Non esattamente. La dottrina tradizionale contiene una verità di fondo e cioè l’incidenza negativa di una generazione su quella successiva. La vita viene comunicata spesso con limiti e carenze. L’insufficienza della dottrina tradizionale consisteva nell’immaginare un inizio già perfetto e compiuto che sarebbe stato perduto, mentre era un traguardo da raggiungere. Tutto nella storia è in evoluzione. E, mi spiace, ma anche il pensiero della Chiesa è così. Nella Chiesa ancora oggi c’è chi pensa che l’ortodossia vada salvaguardata e che ogni sua evoluzione sia male. Ma il male è avere questa visione delle cose».

Torniamo al 1978. Venne giudicato eretico?

«Non proprio eretico, piuttosto non in sintonia con l’insegnamento tradizionale e sicuro».

Come reagì?

«Provai a difendermi. Chiesi a chi mi accusava di tentare nuove strade e di favorire cammini avventurosi nei paesi di missione: allora per evitare questo rischio dobbiamo sempre restare indietro di vent’anni? Mi risposero chiedendomi di lasciare l’insegnamento. Avevo riscattato gli anni delle due lauree e così, pur cinquantenne, decisi di farmi da parte e chiesi, come avevo diritto, la pensione».

Cosa non accettavano del suo pensiero?

«Insistevo sul fatto che i cambiamenti culturali richiedono un continuo adeguamento anche delle forme dottrinali. E che, sulla scia di Teilhard de Chardin, anche il pensiero che abbiamo di Dio non può che evolversi».

Chi è Dio per lei?

«Di lui non sappiamo nulla di assoluto. Possiamo soltanto abbozzare qualcosa, ma sempre adeguando ciò che diciamo alla esperienza che compiamo, al fatto che evolviamo».

Non possiamo dire nulla di definitivo di Dio?

«Se sapessimo qualcosa di definitivo di Dio saremmo alla sua altezza, ma non lo siamo».

Per il cristianesimo però Dio si è incarnato in Gesù.

«Gesù è il nome della realtà umana che “cresceva in sapienza età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Gesù è uomo come tutti noi. Il Verbo è il nome che noi diamo alla dimensione divina che si è manifestata come Parola. Spirito è il nome che noi diamo alla dimensione divina che irrompe dal futuro e ci fa diventare figli nel Figlio. Le formule trinitarie traducono i nostri rapporti con Dio nel tempo».

Ma Gesù non ha svelato Dio?

«Lo ha svelato in modo umano, in modo progressivo e sempre inadeguato. Egli ci ha parlato di Dio secondo il livello umano attraverso cui poteva esprimersi, secondo la cultura del suo tempo».

A cosa serve allora Gesù?

«Egli ha tracciato una strada, noi la continuiamo. Diveniamo figli di Dio nel Figlio che egli è, ma Dio in quanto tale rimane inconoscibile».

Chi credeva di essere Gesù?

«Pensava di essere un inviato di Dio, l’unto, il Cristo. Il salvatore. E questo è stato».

Teilhard De Chardin esaltava l’aspetto cosmico di Cristo, Gesù salvatore di tutti gli esseri viventi esistenti nel cosmo. Condivide?

«Questo aspetto è discutibile. Credo che Cristo sia salvezza dell’umanità, ma oggi non possiamo dire che l’umanità sia il centro del cosmo e quindi che Cristo abbia una funzione cosmica perché l’umanità è un piccolo frammento dell’universo. Non è escluso che vi siano altre forme di vita intelligenti e non credo che per loro Cristo sia la salvezza. Non siamo autorizzati ad affermarlo».

Delle altre religioni cosa pensa?

«Con ognuna dobbiamo dialogare per accogliere il loro dono e dare loro il nostro dono».

Come si immagina l’aldilà?

«Dell’aldilà non possiamo dire niente. Non abbiamo elementi. I primi discepoli si aspettavano la fine del mondo da un momento all’altro, ma questa non è arrivata. Non possiamo sapere».

Ci potrebbe essere il nulla?

«Al tempo di Gesù molti ebrei pensavano così e credevano che soltanto alla fine dei tempi ci sarebbe stata la risurrezione. Il modello greco, invece, sosteneva la presenza dell’anima immortale. Questo modello, che appare nel libro della Sapienza, è prevalso anche nel cristianesimo».

Teme la morte?

«Non direi, temo di più la sofferenza della malattia che potrebbe portare alla morte. L’ideale sarebbe morire in un istante. In ogni caso cerco di essere preparato. Alla mia età spesso penso: e se morissi ora?».

Cosa avverrebbe?

«Non so rispondere. Ciò che accadrà nessuno lo può sapere con sicurezza».

Ma ci sarà qualcosa?

«Io ho fiducia. È anche possibile che per alcuni vi sia una continuità mentre per altri no. In questo senso saremmo responsabili del nostro futuro. Saremo quindi ciò che abbiamo creduto di poter diventare».

Ho letto che per lei è nel silenzio che si può scoprire ciò che si vuole essere.

«Il silenzio è creare un ambiente di ascolto delle realtà che non possiamo ancora vivere. È creare la possibilità di ascolto delle parole che non possiamo pronunciare ma che riguardano il nostro futuro».

Cosa significa allora avere fede in Dio?

«La modalità concreta di avere fede in Dio è avere fede in sé stessi, perché Dio è dentro di noi e ci fa essere. Se crediamo in noi come figli di Dio crediamo in lui come principio e fondamento del nostro divenire».

Perché però il male?

«Non può non esserci perché è la condizione per crescere, per evolvere. La creazione è possibile precisamente perché è divenire, il divenire implica l’imperfezione, passare dall’imperfezione al compimento. Se Dio crea non può evitare il male perché deve iniziare dal nulla, dall’imperfezione. Anche noi quando operiamo dobbiamo correre il rischio dell’imperfezione, la fatica di superare il male».

Nel silenzio possiamo desiderare cosa essere?

«Sì, ma dobbiamo essere disponibili ad accogliere che si realizzi ciò che non potevamo sospettare, che la forza creatrice di Dio ci porti dove non possiamo immaginare».

Intervista a cura di Paolo Rodari pubblicata in “la Repubblica” dell’11.03.2021