Due stati due popoli, uno stato due popoli?
Vera Pegna
Il Manifesto 7/6
Attualmente
circolano due proposte di soluzione alla cosiddetta questione
israelo-palestinese.
La prima, quella dei due popoli due Stati sostenuta
dall’intera diplomazia internazionale, attribuisce ai palestinesi non
uno Stato sovrano bensì un territorio di circa il 20% della Palestina,
collegato a Gaza con un tunnel e inframmezzato dagli insediamenti di
700.000 coloni israeliani comunicanti tra loro con dei cavalcavia di
proprietà israeliana; per giunta, questo non-Stato sarebbe totalmente
dipendente da Israele per la fornitura di energia elettrica, telefonia
mobile, aeroporto e altri servizi essenziali; né avrebbe come capitale
Gerusalemme est, bensì un sobborgo di questa chiamato Abu Dis.
Avete
capito, palestinesi? È prendere o lasciare.
Della
seconda proposta, quella di un unico Stato per i due popoli, la
diplomazia internazionale non parla, né tantomeno ne parlano i media. È
radicalmente diversa dalla prima, in quanto parte dalla constatazione
della realtà sul terreno, ovvero dal fatto che nel territorio della
Palestina storica esiste un solo Stato, Israele – senza confini
stabiliti – con a fianco e senza soluzione di continuità la
Cisgiordania, cui si aggiunge Gaza; l’intero territorio è governato da
un’unica autorità, il governo israeliano che, a suo piacimento, ne
annette pezzi, erge muri e impone regimi politici diversi alle
popolazioni ivi residenti: pieni diritti di cittadinanza agli ebrei,
diritti minori ai palestinesi d’Israele (chiamati arabi d’Israele,
cristiani, drusi, beduini sì da confondere la loro comune identità
nazionale), apartheid per i palestinesi della Cisgiordania e
ghettizzazione di Gaza.
La differenza
fra le due proposte salta agli occhi: quella dei due popoli due Stati
garantisce a Israele, in cambio della sua funzione di difesa degli
interessi occidentali nel Medio Oriente, il compimento del progetto
sionista di uno stato ebraico in Palestina, con il minore numero
possibile di palestinesi (si fa di tutto per farli uscire di scena ma
loro non mollano); con ogni evidenza è una proposta che parte, non
dall’intento di trovare una soluzione duratura di convivenza pacifica
fra i due popoli, bensì da una visione verticistica e eurocentrica della
difesa degli equilibri geopolitici della regione.
La
seconda proposta, quella di uno Stato due popoli, è tabù in quanto
volta unicamente a una prospettiva pacificatrice; ma anche in quanto si
pone in controtendenza rispetto alla visione geostrategica delle grandi
potenze e dei loro alleati: quella di un’Israele forte ed egemone in un
Medio oriente di ex stati sovrani, anomici e in disgregazione
(Afghanistan, Irak, Siria, Yemen, Libia).
Non
sopravaluto il crescente, anche se ancora limitato, gradimento che tale
proposta suscita nei popoli interessati. Ai palestinesi è sempre più
chiaro che è preferibile battersi per i propri diritti all’interno di un
unico Stato invece che accettare la resa incondizionata a Israele
insita nella soluzione due popoli due stati. Fra gli israeliani la
situazione è più complessa. Oltre il venti percento della popolazione è
composta da palestinesi, oltre il cinquanta percento è di provenienza
araba e sefardita (fra cui i miei avi) e solo il venti percento è di
origine europea; però è quest’ultimo gruppo che costituisce
l’establishment e, con l’arroganza tipica dei colonialisti europei verso
i popoli oppressi, ha sempre disprezzato tutto ciò che è arabo e
sostenuto l’equazione fra palestinese e terrorista; come pure i media
israeliani, la cui libertà è valutata all’ottantaseiesimo posto dal
World Press Freedom Index.
Tuttavia, se è vero che l’idea di convivere
con i palestinesi non è gradita alla grande maggioranza della
popolazione, è anche vero che si moltiplicano le imprese comuni e i
matrimoni misti e che nascono gruppi di cittadini che militano a favore
dello stato comune ai due popoli.
Non
sottovaluto le obiezioni, gli ostacoli, i ricatti e magari anche il
peggio di cui sono capaci i potenti alla sola idea di perdere le loro
posizioni di forza, ma nulla inficia la possibilità di prendere atto
della realtà e dichiarare l’esistenza di uno Stato comune a entrambi i
popoli; non domani, s’intende, ma in prospettiva, perché appunto di
prospettiva si tratta, cioè di un processo politico lento, volto a
svelenire il clima di odio diffuso e porre le basi di una convivenza
pacifica. Non un sogno, ma un futuro possibile: a patto che lo si
voglia.