Sono stato colpito un mese fa, nei giorni dell’invasione del Libano da parte dell’esercito israeliano, dalle parole sconsolate e sagge di una donna. In risposta a chi le ingiungeva di lasciare, con la sua famiglia, il villaggio e la casa disse: “Questo è il mio luogo: qui c’è la mia terra, qui ci sono i miei vicini..., qui posso essere me stessa... qui c’è la mia vita...”.
In questo mese di agosto (che non dimenticherò mai per le persone che ho incontrato nei gruppi e nei colloqui) una persona transessuale, straordinariamente ricca di umanità e di fede, mi ha detto: “Sai, don Franco, che ringrazio Dio perché in questa comunità di base ho trovato un posto in cui posso essere me stesso senza nascondermi... Mi spiace doverlo dire, ma spesso le persone, troppe persone..., quelle che escono dal modello ufficiale, non trovano più un posto. E’ così triste, quando cerchi una comunità, vagare da un luogo all’altro e... non trovare mai un posto... Va a finire che ti senti un po’ ovunque fuori posto”.
Mi ha toccato il cuore. Sabato 7 ottobre qui a Pinerolo un gruppo di transessuali credenti e non ci parlerà di questo non trovare posto.
Non ho pensato che questa comunità di base sia migliore di altre comunità e parrocchie. Mi sono chiesto però, se al convegno della chiesa italiana a Verona l’assemblea dei delegati e delle delegate troverà il coraggio di interrogarsi sulle donne e sugli uomini ai quali l’istituzione cattolica non permette di avere un posto nella chiesa.
Se la chiesa, da struttura escludente com’è oggi, non si converte e non diventa luogo aperto e conviviale, ha ancora qualche minimo riferimento a Gesù di Nazareth?
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