lunedì 7 agosto 2006

Letture pericolose

Sopravissuti ad un anno di lavoro e finita la febbre dei mondiali di calcio, è sperabile che ci aspetti qualche giorno di riposo.

E ognuno, giustamente, si riposa a modo suo. Ma, tra le risorse più rigeneratrici, per molti di noi si può collocare la lettura. Nelle ferie ci possiamo permettere una notevole intensificazione, addirittura un eccesso che non nuoce.

Nei brevi giorni di vacanza finalmente prendo quei libri che, dovendo stabilire delle priorità, avevo accantonato. Anche quest’anno non mi mancherà un buon assortimento di teologia e di politica. I gusti non si discutono, dicevano saggiamente gli antichi.

Ma, messa da parte questa nota autobiografica, mi permetto di segnalare alcune letture che, come si dice, lasciano il segno e offrono una salutare provocazione. Da patito di Bibbia e di teologia, voglio privilegiare in questa segnalazione alcuni recenti studi sulla figura e sul significato della vita di Gesù di Nazaret che solitamente sono scarsamente conosciuti anche tra i credenti e possono aprire finestre nuove per ogni lettore.

Il biblista cattolico Ortensio da Spinetoli, nel suo “Gesù di Nazaret” (Edizioni La Meridiana, Via Di Vittorio, 7 – 70056 Molfetta), riassume 50 anni di ricerche e di scritti che lo hanno reso molto apprezzato specialmente nell’area conciliare della chiesa cattolica.

Ovviamente chi fosse abituato a partire dalle formulazioni dogmatiche, più che da una attenta e “attrezzata” lettura dei testi biblici, in queste pagine si troverebbe subito messo in questione.

Già il racconto della nascita di Gesù, sulla scorta di altre testimonianze bibliche ed extrabibliche, viene letto come stratagemma apologetico e non come un dato di cronaca: “La preoccupazione dell’autore sacro non è quella di informare sulle modalità della nascita di tali personaggi, che non potevano essere diverse da quelli di tutti gli altri uomini, ma sulla singolare missione loro riservata nel piano di Dio. E per non lasciare dubbi sulla provenienza e sul compito da loro svolto, l’autore attribuisce a Dio la loro “concezione”. Si parla di una nascita miracolosa per far capire che si tratta di una chiamata che supera le loro capacità naturali” (pag. 235).

Pagine straordinariamente dense e liberanti sono disseminate un po’ in ogni capitolo: “Dedurre dalle affermazioni sui rapporti filiali di Gesù con il Padre appigli per una concezione trinitaria della divinità rimane sempre fuori posto” (pag. 241) anche perché “l’appellativo ‘figlio di Dio’ che prenderà sempre più spazio nella predicazione delle origini…ha un significato che non supera quello di ‘Cristo di Dio’... Nell’interrogatorio di Gesù davanti al Sinedrio le autorità chiedono se egli sia ‘il Cristo, il figlio di Dio’. In altre parole vogliono sapere se egli si riteneva veramente il messo di Dio, il suo inviato… Non poteva passare per la mente di nessuno di loro la possibilità che qualcuno potesse ritenersi eguale a Dio…Cristo o ‘figlio di Dio’, per loro, erano due titoli eguali, dicevano con parole diverse la stessa cosa” (pag. 242). Ne consegue che “Gesù figlio di Dio non equivaleva in nessun modo a “Gesù Dio” (pag. 243).

Si tratta di riflessioni ovvie per un biblista che sappia deporre gli occhiali dogmatici con i quali troppo spesso, purtroppo, si legge la Bibbia. In questa prospettiva Gesù non è per nulla sminuito: anzi, si mette in maggior risalto la missione, il compito specialissimo che Dio gli ha assegnato. Ma “i nazaretani e gli abitanti delle contrade galilee non hanno avuto la gioia di vedere il ‘Verbo di Dio’ prendere dimora in mezzo a loro, quanto un concittadino che ha provato a schierarsi dalla parte delle frange più indifese della popolazione” (pag. 251).

Un volumetto che rischia di passare inosservato è quello di Paul Abela (Credo, ma diversamente, Edizioni L’Harmattan Italia, Via Bava 37, 10124 Torino, 2003, pag 110, € 14,00), uno studioso laico cresciuto teologicamente alla scuola di Maurice Zundel. In queste pagine l’Autore, rileggendo il Credo, fa propria la tesi secondo la quale parlare di Dio oggi, con il linguaggio dei primi secoli, è votarsi all’incomprensione e far correre a Dio il rischio di essere percepito come un mito da relegarsi tra le anticaglie. Si tratta di una ventina di brevi capitoli in cui Paul Abela è riuscito, con un linguaggio preciso ed aperto, a rendere conto in modo pregevole del dibattito teologico degli ultimi secoli.

Ugualmente stimolante ed accessibile è il volumetto del biblista Luciano Scaccaglia, molto noto anche per il suo impegno ecclesiale dalla parte dei separati, divorziati, gay e lesbiche (Gesù di Nazareth perfetta icona di Dio, Parma 2004, a cura della comunità parrocchiale di Santa Cristina). Attraverso le pagine del Vangelo di Marco, l’Autore ci invita alla riscoperta di un Gesù storico assai difforme dalla sua “traduzione” dogmatica. Anche queste pagine, assolutamente acquisite nella ricerca contemporanea, sono utilizzabili per un percorso catechistico che privilegi il dato biblico. Qua e là l’Autore inserisce delle brevi digressioni con le quali si suggeriscono strumenti per una corretta lettura dei testi biblici. Lo scopo evidente non è tanto quello di fornire una lettura quanto di rendere ogni lettore un interprete consapevole e competente.

Se poi, dopo la lettura del rigoroso studio del grande esegeta protestante Patterson (Il Gesù storico, Claudiana, Torino 2005), accetteremo il confronto con un “provocatore di classe” come Harold Bloom (Gesù e Yahvè, Rizzoli), allora il coraggio intellettuale avrà compiuto un altro passo. Tutto questo per dirci ancora una volta che, tanto per vivere quanto per credere, abbiamo bisogno di pensare e che pensare non è un lusso, ma una gioia, una possibilità, un impegno, un dovere perché le categorie culturali e i linguaggi con i quali si esprime la fede sono storici, contingenti, mutevoli.

E non da oggi sappiamo che la vita è movimento. Con l’augurio di buona lettura.

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