Il crollo del ponte che ha provocato negli USA molte vittime e che ha sconvolto l’intero Paese scatenando il “panico da crollo” mi ha suscitato, tra l’altro, due riflessioni.
La prima molto cruda: penso che in una società in cui il mattone facile e il cemento veloce sono a servizio di immensi guadagni, molte infrastrutture nei prossimi anni ci “regaleranno” crolli, tragedie, disastri.
L’avidità con cui si vuole ricavare denaro utilizzando materiali scadenti, la fretta con cui si vogliono chiudere i lavori, a volte l’imperizia per cui è necessario “passare” un progetto da un’impresa all’altra e tutto il mercato degli appalti lasciano prevedere ben poco di buono negli USA come in Italia.
Se aggiungiamo il tarlo della “opera grandiosa”, l’ostentazione del gigantismo… i pericoli possono aumentare.
Ma, senza nulla togliere al peso della crudele realtà che ogni crollo può determinare, la caduta del ponte è anche simbolo e metafora eloquente del nostro tempo.
Spesso, più che gettare poti siamo artisti nel costruire muri (non solo in Palestina!), ma è proprio il tessuto personale quotidiano che è più fatto di “connessioni-sconnessioni” che di ponti.
La relazione esige tempo, mediazioni, accoglienza. Le “connessioni” si possono sconnettere toccando un tasto. Eppure, senza l’impegno di costruire relazioni, non si progetta nulla di nuovo.
Aggiungo qui una preghiera che composi molti anni fa: “Grazie, o Dio dei ponti”.
La prima molto cruda: penso che in una società in cui il mattone facile e il cemento veloce sono a servizio di immensi guadagni, molte infrastrutture nei prossimi anni ci “regaleranno” crolli, tragedie, disastri.
L’avidità con cui si vuole ricavare denaro utilizzando materiali scadenti, la fretta con cui si vogliono chiudere i lavori, a volte l’imperizia per cui è necessario “passare” un progetto da un’impresa all’altra e tutto il mercato degli appalti lasciano prevedere ben poco di buono negli USA come in Italia.
Se aggiungiamo il tarlo della “opera grandiosa”, l’ostentazione del gigantismo… i pericoli possono aumentare.
Ma, senza nulla togliere al peso della crudele realtà che ogni crollo può determinare, la caduta del ponte è anche simbolo e metafora eloquente del nostro tempo.
Spesso, più che gettare poti siamo artisti nel costruire muri (non solo in Palestina!), ma è proprio il tessuto personale quotidiano che è più fatto di “connessioni-sconnessioni” che di ponti.
La relazione esige tempo, mediazioni, accoglienza. Le “connessioni” si possono sconnettere toccando un tasto. Eppure, senza l’impegno di costruire relazioni, non si progetta nulla di nuovo.
Aggiungo qui una preghiera che composi molti anni fa: “Grazie, o Dio dei ponti”.
O Dio di Gesù,
grazie per il ponte
che getti verso di noi.
Non siamo persi
come una goccia nell’oceano,
come una foglia secca
abbandonata dal vento.
Tu ci proponi il cammino
del Tuoi “comandamenti”,
il sentiero arduo della felicità.
Sei Tu che ci vieni incontro,
Ti interessi alla nostra vita
e ci aiuti ad aprire una strada.
Addirittura
osi chiederci di amarTi
con tutto il cuore,
con tutta l’anima,
con tutte le forze.
O Dio più caldo del sole,
più verde dei nostri prati,
più sorgivo delle nostre sorgenti:
voglio ringraziarTi
perchè osi chiederci
non un pezzettino del nostro cuore,
non un frammento della nostra anima,
non una parte delle nostre forze,
ma “tutto”.
Vorrei davvero amarTi
e amare le Tue creature così.
Ma, o Dio,
non aspettarTi da me
un cuore grande,
delle forze possenti,
un’anima audace.
Io sono quello che sono:
poco, sempre poco e piccolo,
ma vorrei imparare ad amarTi,
ad accogliere la Tua Parola
davvero con tutto me stesso,
con tutto il mio cuore,
quel piccolo cuore
che Tu mi hai donato.
Agli idoli, che cercano
di farsi un posticino
nel mio cuore, dirò:
“Già occupato!
La casa della mia vita
non ha più posto per voi”.
Signore, Dio di Gesù,
custodisci il mio cuore
e mantienimi in cammino.
(da: Olio per la lampada, pagg. 190-191)grazie per il ponte
che getti verso di noi.
Non siamo persi
come una goccia nell’oceano,
come una foglia secca
abbandonata dal vento.
Tu ci proponi il cammino
del Tuoi “comandamenti”,
il sentiero arduo della felicità.
Sei Tu che ci vieni incontro,
Ti interessi alla nostra vita
e ci aiuti ad aprire una strada.
Addirittura
osi chiederci di amarTi
con tutto il cuore,
con tutta l’anima,
con tutte le forze.
O Dio più caldo del sole,
più verde dei nostri prati,
più sorgivo delle nostre sorgenti:
voglio ringraziarTi
perchè osi chiederci
non un pezzettino del nostro cuore,
non un frammento della nostra anima,
non una parte delle nostre forze,
ma “tutto”.
Vorrei davvero amarTi
e amare le Tue creature così.
Ma, o Dio,
non aspettarTi da me
un cuore grande,
delle forze possenti,
un’anima audace.
Io sono quello che sono:
poco, sempre poco e piccolo,
ma vorrei imparare ad amarTi,
ad accogliere la Tua Parola
davvero con tutto me stesso,
con tutto il mio cuore,
quel piccolo cuore
che Tu mi hai donato.
Agli idoli, che cercano
di farsi un posticino
nel mio cuore, dirò:
“Già occupato!
La casa della mia vita
non ha più posto per voi”.
Signore, Dio di Gesù,
custodisci il mio cuore
e mantienimi in cammino.
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