martedì 10 giugno 2008

OPERAI NELLA MESSE

Commento alla lettura biblica - domenica 15 giugno 2008

Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro nè argento, nè moneta di rame nelle vostre cinture, nè bisaccia da viaggio, nè due tuniche, nè sandali, nè bastone, perchè l'operaio ha diritto al suo nutrimento (Matteo 9, 36 - 10,10).


Scrivo queste poche righe mentre sono in treno per arrivare a Milano Linate (da Pinerolo circa 5 ore: questo è viaggiare ?!?) e spiccare il volo verso Olbia per un incontro sull’eucarestia nella vita della comunità e poi verso Cagliari (altre 4 ore di treno) per un dibattito sulla laicità
. Appunterò soltanto qualche nota.

Gesù e le folle


I primi versetti, dal 35 al 38, ci danno un quadro del Gesù attento alla vita della gente che lui conosceva bene: una vita dura, a volte schiacciata dalla fatica, fatta di stenti, in balia dei padroncini locali e spesso priva di riferimenti autorevoli: “pecore senza pastori”.


In sostanza qui abbiamo il ritratto “spirituale” del profeta di Nazareth. Egli sa guardarsi dentro, sa appartarsi per momenti di riposo, di solitudine e di preghiera, ma sa ugualmente guardarsi attorno. Il suo occhio va diritto alla vita del popolo e, rivolto ai discepoli, li invita a pregare Dio perché si ricordi di questa “messe”. Ma l’appello a Dio non dispensa noi dal fare la nostra parte.

Gesù educa i discepoli all’attenzione partecipe, alla responsabilità a fare la loro parte. Si tratta, infatti, di stare al mondo come “ergàtai” = operai, come persone che, secondo il senso originario della parola, intervengono e non si limitano a vedere, osservare e commuoversi. Stare al mondo con un senso di responsabilità: ecco lo stile che Gesù sollecita nei suoi discepoli.

Mentre tutti i capi vogliono, nella società e nella chiesa, che noi ce ne stiamo passivamente davanti al video a “bere” le notizie che loro selezionano per noi o agli spettacoli di grandezza con cui vogliono imbambolarci, noi siamo chiamati a metterci all’opera, a restare operosamente presenti ai problemi, alle lotte, ai percorsi.

Semplici nomi


E chi manderà Gesù, come testimoni e operatori di liberazione, nella messe? Nessun blasonato, nessun vip del tempo, non abitatori di palazzi o frequentatori di circoli aristocratici, non “semidei” in carrozza ...

Matteo ci fornisce un elenco di gente comune, persone come noi.... soggetti non del tutto affidabili, se pensiamo che tra di essi figurano pescatori, un esattore delle imposte e persino Giuda, che poi lo consegnò a quelli che volevano farlo fuori.


Questo mi dà fiducia: per lavorare nella messe, non c’è bisogno se non della disponibilità, della capacità di mettersi in gioco, di coinvolgersi e poi affidarsi a Dio.

Ciascuno/a di noi, per quanto piccolo e limitato,può comparire in quell’elenco e sentirsi chiamato/a a diventare “operaio nella messe”. Siamo chiamati/e per nome. E’ dentro la nostra piccola storia umana che riceviamo l’invito a rendere feconda la nostra vita.

Ma c’è il paradosso


“Poi, chiamati a sè i suoi dodici discepoli, diede loro autorità sopra gli spiriti immondi per scacciarli e per guarire ogni malattia e ogni infermità” (10,1).


Ma è impazzito questo Gesù? Non prende lucciole per lanterne? Come fa ad abilitare questi dodici sprovveduti ad un compito così grande?

Il messaggio non vuole “gonfiare” queste persone semplici perchè si pavoneggino. E’ piuttosto, nel linguaggio provocatorio tanto ricorrente nelle Scritture, una promessa: se vi fidate di Dio, se accettate l’invito a diventare operai nel campo del Signore, le vostre piccole mani costruiranno sentieri e segmenti di liberazione.

Non c’è bisogno di eroi, ma di donne e di uomini disponibili. Solo le aberrazioni e le deviazioni successive hanno creato le figure dei santi che oggi incrementano tanta superstizione e tanto mercato.

La direzione di marcia


La traccia è chiara: occuparsi degli ultimi, non ricevere Bush e truffaldini vari, pronti all’inchino e al doppio baciamano. Gesù, secondo Matteo, è totalmente preoccupato delle pecore perdute di Israele (il nazareno si considera profeta per il suo popolo) che stabilisce delle rigorose priorità.

Queste sono le “priorità” che il vangelo propone a ciascuno/a di noi anche oggi. Queste sono le priorità che il vaticano ha archiviato.


Se vogliamo percorrere il sentiero di Gesù, questi ultimi versetti ci indicano sia la direzione di marcia, sia il metodo, sia la qualità delle attrezzature. L’equipaggiamento è talmente essenziale e leggero che le chiese cristiane in genere hanno pensato che... era meglio non fidarsi troppo di questo romanticismo.

Così sono nati i concordati, i finanziamenti statali alle scuole cattoliche, i privilegi, la corruzione.
Quando manca la fede crescono gli equipaggiamenti. E allora la chiesa diventa un’impresa, una compagnia di assicurazione.

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