Commento alla lettura biblica - domenica 8 giugno 2008
Allontanandosi di là, Gesù vide seduto al banco della dogana un uomo chiamato Matteo e gli dice: "Seguimi". E quello, alzatosi, lo seguì. E avvenne che, mentre Gesù era a mensa, molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con Gesù e i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perchè il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori". Ma egli, che aveva sentito, disse: "Non sono i validi che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate, dunque, a imparare che cosa significa: misericordia voglio e non sacrificio. Non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Matteo, 9, 9-13) .
Il vangelo di Matteo e i brani paralleli di Marco e di Luca ci offrono un racconto che ha dell'inverosimile. Come avrebbe potuto Matteo o Levi lì su due piedi chiudere l'esattoria e decidersi per la sequela di Gesù?
Qui letterariamente il racconto vuole giungere alla conclusione e lo fa un po' troppo velocemente usando il consueto schema di vocazione che è un quadro stilizzato: "Alzatosi, lo seguì". Ma, dietro questa narrazione ridotta all'osso, c'è un messaggio vero: Matteo, a causa dell'incontro con Gesù, ha cambiato vita.
Egli apparteneva a quegli intermediari dell'amministrazione romana, chiamati pubblicani, che erano incaricati della riscossione di tasse e tributi. Pubblicani, gabellieri ed esattori erano malvisti e detestati dalla popolazione perchè quasi sempre aumentavano a proprio vantaggio l'entità del dovuto.
La legge giudaica li considerava "pubblici peccatori" e nella vita quotidiana in sostanza erano privati di tutti i diritti civili e politici. Guardati con diffidenza, la loro vita pativa una certa emarginazione anche morale. Erano considerati "impuri", persone dalle quali tenersi alla larga.
Dunque, questo "impuro" diventerà uno dei dodici ...
Le cattive compagnie
Ma proviamo ad immaginare la scena ... Ai giorni d'oggi avremmo scattato la fotografia di gruppo, ma l'immaginazione creativa, dopo i brevi cenni storici che ho suggerito, può fare meglio di un esperto fotografo.
Eccolo Gesù: è contornato da cattive compagnie, una combriccola poco raccomandabile. Tutta gente "impura", non conforme alle regole. Per giunta ha "contaminato e compromesso" anche i suoi discepoli. Diremmo che Gesù è nel suo ambiente: è questa la gente con cui si trova a suo agio. Si noti: se l'evangelista Matteo (da non confondersi con l'omonimo del brano biblico) dice che i pubblicani e i peccatori erano molti, Marco ripete per ben due volte questo "molti" (2, 15) e Luca parla addirittura di una "gran folla di pubblicani e di altri" (5, 28).
Che provocazione profetica! Gesù si mette a tavola con queste persone e non fa l'esame di ammissione per nessuno. La sua accoglienza desta scandalo perchè non seleziona.
Un invito non religioso
Ma sono i particolari del quadro che conferiscono significato. Gesù non invita queste persone a sentire un bel discorso, a celebrare un culto. Le invita a partecipare ad un pranzo, a fare festa, a stare insieme, a mettersi alla stessa tavola infrangendo le regole e le convenzioni. Semmai, come dice l'ultimo versetto, Gesù dà un severo insegnamento ed ammonimento ai suoi interlocutori puri, osservanti religiosi. Invita e si lascia invitare, secondo i diversi racconti degli evangelisti.
Pensate quale "distanza" esiste dai nostri banchetti dei grandi convegni. Tutta gente selezionata, "pura" ... capi di stato, ministri, cardinali, esponenti dell'alta società, titolari di cariche istituzionali ... Riti noiosi, personaggi spesso lestofanti, spese a non finire, coreografie, immagine .... Anche la nostra chiesa non sa più che cosa sia "sedersi a tavola" con gli impuri. Anche la celebrazione eucaristica vede un sacerdote separato dal popolo e registra la "rimozione" degli "impuri" (separati, divorziati, lesbiche, gay, dissenzienti ... ).
Su questo punto le parate civili e quelle religiose sono diventate simili: ormai lo spettacolo prevale sulla comunicazione, sulla "comunione tra persone". Per Gesù sedere a tavola significava abbattere barriere ed avvicinare i cuori, prendere sul serio ogni persona mettendo da parte le "classificazioni" razziali e religiose.
Come faccio a non pensare che in questi giorni a Milano, a Roma, a Biella, a Catania e a Bologna si svolgono alcuni Gay Pride per rompere la cultura del puro e dell'impuro?
Questi sono appuntamenti di convivialità delle differenze. Voglio invitarvi, cari amici e care amiche che leggete queste righe, a partecipare a questi momenti di condivisione, di festa, di lotta non violenta per i diritti dei gay, delle lesbiche, dei transessuali, di tutte le persone che si sentono emarginate perchè non entrano nel "modello unico" e classico dell'amore eterosessuale. Se non rompiamo le righe contro il pregiudizio, la lezione della "mensa aperta" di Gesù resterà per noi lettera morta.
Convivialità delle differenze
E in questi giorni, mentre il governo sta varando leggi razziste e discriminatorie, come non sentire che la nostra fede ci spinge a resistere a questa onda xenofoba in tutti i modi e in tutti i luoghi in cui possiamo dire una parola o fare qualcosa?
La "mensa aperta" alla quale siamo invitati ed invitate nella nostra vita laica di ogni giorno esige che noi la smettiamo di richiedere il certificato di buona condotta.
Mi spiego: se condivido le lotte femministe, le battaglie per i diritti degli stranieri, degli omosessuali e dei transessuali, non vuol dire che io ritenga sempre e comunque ineccepibile sul piano morale le donne, gli stranieri, gli omosessuali ...
So bene che siamo tutti e tutte creature fragili. La "mensa aperta", cioè la pratica della convivialità delle differenze, significa che mi preme che ogni uomo e ogni donna si sentano avvolti dall'amore di Dio e pietre vive di questa società che deve diventare la casa di tutti. Convivialità delle differenze significa che nessuno e nessuna debba sentirsi escluso/a perchè è portare di una sua originalità, di una sua differenza.
Quelli che si sentono giusti, quelli che sono soddisfatti di sè stessi e credono di essere in regola su tutta la linea, questi rappresentano il vero guaio dell'umanità e della chiesa. Gesù, sulla scia dei profeti, pone la parola fine alla "religione dei giusti" e allarga le porte alla fede delle creature fragili, "i peccatori".
Non è casuale la citazione del profeta Osea dell'ottavo secolo avanti Cristo. Il popolo credeva allora di "accontentare" Dio con qualche bella celebrazione, ma il profeta non lascia spazio all'illusione: "Io voglio amore solidale e non sacrifici. Preferisco che il mio popolo mi conosca, piuttosto che mi offra sacrifici" (6, 6).
Sulla bocca di Gesù, uomo di preghiera, credente che non aveva affatto scarsa considerazione del culto, questa citazione suona come rimprovero severo e mordace a noi "pii cristiani" perbene. Se non c'è solidarietà aperta, vissuta nei piccoli sentieri quotidiani, tutto è aria fritta, autoillusione, narcisismo, una vera e propria presa in giro di Dio stesso.
Spero che in settimana troveremo il tempo, voi ed io, di leggere e di riflettere il capitolo sette del libro di Geremia. In quelle parole tutto è ancora più chiaro e l'appello alla nostra conversione è ancora più esplicito.
Preghiera
O Dio di Gesù, profeta di convivialità,
insegnami a sedere a mensa nella casa di Matteo,
ad immergermi nei panni di Matteo,
ad ascoltare il cuore di Matteo ...
Finchè resterò prigioniero di me,
della mia cultura e della mia esperienza,
sarò sordo e cieco rispetto alla Tua voce.
Finchè penserò che Tu, o Dio, stia tutto
in una storia sola, in una religione sola ...,
sarò incapace di vedere che Tu sei ovunque.
Finchè penserò che Tu ti sia fatto cristiano
non capirò nulla di Te, Dio del mondo,
Dio che non conosci nè barriere nè confini.
Finchè non ci faremo problema
di banchettare con dittatori e mafiosi
la tavola sarà chiusa per i mille Matteo.
Allontanandosi di là, Gesù vide seduto al banco della dogana un uomo chiamato Matteo e gli dice: "Seguimi". E quello, alzatosi, lo seguì. E avvenne che, mentre Gesù era a mensa, molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con Gesù e i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perchè il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori". Ma egli, che aveva sentito, disse: "Non sono i validi che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate, dunque, a imparare che cosa significa: misericordia voglio e non sacrificio. Non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Matteo, 9, 9-13) .
Il vangelo di Matteo e i brani paralleli di Marco e di Luca ci offrono un racconto che ha dell'inverosimile. Come avrebbe potuto Matteo o Levi lì su due piedi chiudere l'esattoria e decidersi per la sequela di Gesù?
Qui letterariamente il racconto vuole giungere alla conclusione e lo fa un po' troppo velocemente usando il consueto schema di vocazione che è un quadro stilizzato: "Alzatosi, lo seguì". Ma, dietro questa narrazione ridotta all'osso, c'è un messaggio vero: Matteo, a causa dell'incontro con Gesù, ha cambiato vita.
Egli apparteneva a quegli intermediari dell'amministrazione romana, chiamati pubblicani, che erano incaricati della riscossione di tasse e tributi. Pubblicani, gabellieri ed esattori erano malvisti e detestati dalla popolazione perchè quasi sempre aumentavano a proprio vantaggio l'entità del dovuto.
La legge giudaica li considerava "pubblici peccatori" e nella vita quotidiana in sostanza erano privati di tutti i diritti civili e politici. Guardati con diffidenza, la loro vita pativa una certa emarginazione anche morale. Erano considerati "impuri", persone dalle quali tenersi alla larga.
Dunque, questo "impuro" diventerà uno dei dodici ...
Le cattive compagnie
Ma proviamo ad immaginare la scena ... Ai giorni d'oggi avremmo scattato la fotografia di gruppo, ma l'immaginazione creativa, dopo i brevi cenni storici che ho suggerito, può fare meglio di un esperto fotografo.
Eccolo Gesù: è contornato da cattive compagnie, una combriccola poco raccomandabile. Tutta gente "impura", non conforme alle regole. Per giunta ha "contaminato e compromesso" anche i suoi discepoli. Diremmo che Gesù è nel suo ambiente: è questa la gente con cui si trova a suo agio. Si noti: se l'evangelista Matteo (da non confondersi con l'omonimo del brano biblico) dice che i pubblicani e i peccatori erano molti, Marco ripete per ben due volte questo "molti" (2, 15) e Luca parla addirittura di una "gran folla di pubblicani e di altri" (5, 28).
Che provocazione profetica! Gesù si mette a tavola con queste persone e non fa l'esame di ammissione per nessuno. La sua accoglienza desta scandalo perchè non seleziona.
Un invito non religioso
Ma sono i particolari del quadro che conferiscono significato. Gesù non invita queste persone a sentire un bel discorso, a celebrare un culto. Le invita a partecipare ad un pranzo, a fare festa, a stare insieme, a mettersi alla stessa tavola infrangendo le regole e le convenzioni. Semmai, come dice l'ultimo versetto, Gesù dà un severo insegnamento ed ammonimento ai suoi interlocutori puri, osservanti religiosi. Invita e si lascia invitare, secondo i diversi racconti degli evangelisti.
Pensate quale "distanza" esiste dai nostri banchetti dei grandi convegni. Tutta gente selezionata, "pura" ... capi di stato, ministri, cardinali, esponenti dell'alta società, titolari di cariche istituzionali ... Riti noiosi, personaggi spesso lestofanti, spese a non finire, coreografie, immagine .... Anche la nostra chiesa non sa più che cosa sia "sedersi a tavola" con gli impuri. Anche la celebrazione eucaristica vede un sacerdote separato dal popolo e registra la "rimozione" degli "impuri" (separati, divorziati, lesbiche, gay, dissenzienti ... ).
Su questo punto le parate civili e quelle religiose sono diventate simili: ormai lo spettacolo prevale sulla comunicazione, sulla "comunione tra persone". Per Gesù sedere a tavola significava abbattere barriere ed avvicinare i cuori, prendere sul serio ogni persona mettendo da parte le "classificazioni" razziali e religiose.
Come faccio a non pensare che in questi giorni a Milano, a Roma, a Biella, a Catania e a Bologna si svolgono alcuni Gay Pride per rompere la cultura del puro e dell'impuro?
Questi sono appuntamenti di convivialità delle differenze. Voglio invitarvi, cari amici e care amiche che leggete queste righe, a partecipare a questi momenti di condivisione, di festa, di lotta non violenta per i diritti dei gay, delle lesbiche, dei transessuali, di tutte le persone che si sentono emarginate perchè non entrano nel "modello unico" e classico dell'amore eterosessuale. Se non rompiamo le righe contro il pregiudizio, la lezione della "mensa aperta" di Gesù resterà per noi lettera morta.
Convivialità delle differenze
E in questi giorni, mentre il governo sta varando leggi razziste e discriminatorie, come non sentire che la nostra fede ci spinge a resistere a questa onda xenofoba in tutti i modi e in tutti i luoghi in cui possiamo dire una parola o fare qualcosa?
La "mensa aperta" alla quale siamo invitati ed invitate nella nostra vita laica di ogni giorno esige che noi la smettiamo di richiedere il certificato di buona condotta.
Mi spiego: se condivido le lotte femministe, le battaglie per i diritti degli stranieri, degli omosessuali e dei transessuali, non vuol dire che io ritenga sempre e comunque ineccepibile sul piano morale le donne, gli stranieri, gli omosessuali ...
So bene che siamo tutti e tutte creature fragili. La "mensa aperta", cioè la pratica della convivialità delle differenze, significa che mi preme che ogni uomo e ogni donna si sentano avvolti dall'amore di Dio e pietre vive di questa società che deve diventare la casa di tutti. Convivialità delle differenze significa che nessuno e nessuna debba sentirsi escluso/a perchè è portare di una sua originalità, di una sua differenza.
Quelli che si sentono giusti, quelli che sono soddisfatti di sè stessi e credono di essere in regola su tutta la linea, questi rappresentano il vero guaio dell'umanità e della chiesa. Gesù, sulla scia dei profeti, pone la parola fine alla "religione dei giusti" e allarga le porte alla fede delle creature fragili, "i peccatori".
Non è casuale la citazione del profeta Osea dell'ottavo secolo avanti Cristo. Il popolo credeva allora di "accontentare" Dio con qualche bella celebrazione, ma il profeta non lascia spazio all'illusione: "Io voglio amore solidale e non sacrifici. Preferisco che il mio popolo mi conosca, piuttosto che mi offra sacrifici" (6, 6).
Sulla bocca di Gesù, uomo di preghiera, credente che non aveva affatto scarsa considerazione del culto, questa citazione suona come rimprovero severo e mordace a noi "pii cristiani" perbene. Se non c'è solidarietà aperta, vissuta nei piccoli sentieri quotidiani, tutto è aria fritta, autoillusione, narcisismo, una vera e propria presa in giro di Dio stesso.
Spero che in settimana troveremo il tempo, voi ed io, di leggere e di riflettere il capitolo sette del libro di Geremia. In quelle parole tutto è ancora più chiaro e l'appello alla nostra conversione è ancora più esplicito.
Preghiera
O Dio di Gesù, profeta di convivialità,
insegnami a sedere a mensa nella casa di Matteo,
ad immergermi nei panni di Matteo,
ad ascoltare il cuore di Matteo ...
Finchè resterò prigioniero di me,
della mia cultura e della mia esperienza,
sarò sordo e cieco rispetto alla Tua voce.
Finchè penserò che Tu, o Dio, stia tutto
in una storia sola, in una religione sola ...,
sarò incapace di vedere che Tu sei ovunque.
Finchè penserò che Tu ti sia fatto cristiano
non capirò nulla di Te, Dio del mondo,
Dio che non conosci nè barriere nè confini.
Finchè non ci faremo problema
di banchettare con dittatori e mafiosi
la tavola sarà chiusa per i mille Matteo.
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