venerdì 22 agosto 2008

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI JOSE' M.CASTILLO

“Dio e la nostra felicità”

di p. ALBERTO MAGGI osm

“Peste, febbre, infiammazione, arsura, siccità, carbonchio, ruggine, scabbia, emorroidi, prurigine, delirio, cecità, pazzia, ulcera maligna…”, sono solo alcune delle decine di maledizioni minacciate dall’autore del Libro del Deuteronomio contro chi non obbedirà alla Legge del Signore (Dt 28). Preoccupato di non aver elencato tutti i mali possibili, lo scrupoloso autore include nella lista anche “ogni altra malattia e ogni flagello, che non sta scritto nel libro di questa Legge, il Signore manderà contro di te, finché tu non sia distrutto” (Dt 28,61).

Per il povero peccatore, trasgressore della Legge, non c’è alcuno scampo. L’elenco, infatti, si conclude con quello che sembra essere il massimo della iella: “Il Signore ti farà tornare in Egitto, per mezzo di navi, per una via della quale ti ho detto: Non dovete più rivederla! E là vi metterete in vendita ai vostri nemici come schiavi e schiave… ma nessuno vi acquisterà!” (Dt 28,68).

Certamente il Signore è buono con i buoni, coloro che meritano il suo amore, ma verso gli altri, i peccatori e i miscredenti, scatena tutto il suo sadismo, rivelandosi un Dio che “gioirà a vostro riguardo nel farvi perire e distruggervi” (Dt 28,63).

Se non c’è alcun dubbio che queste e altre pagine dell’Antico Testamento possano essere catalogate sotto la voce “terrorismo religioso”, c’è da chiedersi perché il Signore venga presentato in questo modo spaventoso, “un Dio grande e terribile” (Dt 7,21) di cui c’è da aver sempre paura.

È evidente che nei confronti di una divinità talmente crudele da vendicarsi non solo sul peccatore, ma sulla sua discendenza, “fino alla terza e quarta generazione” (Es 20,5), è difficile nutrire un sentimento d’amore, ma solo di paura e timore, e “il timore suppone il castigo” (1 Gv 4,18).

Per questo si leggono con crescente gratitudine queste pagine che José M. Castillo offre con il suo libro “Dio e la nostra felicità”. Teologo tra i più competenti e stimati nell’attuale panorama teologico internazionale, l’Autore unisce e fonde in questo scritto la ricchezza della sua cultura teologica alla sua profonda umanità, andando a scovare le radici della paura di Dio per estirparle e favorire la crescita della coscienza dell’amore gratuito e immotivato del Padre verso tutti i suoi figli.

Scrive Castillo che “nella coscienza di molta gente non è frequente associare l’idea di Dio all’idea di felicità e a tutto ciò che tale termine ci suggerisce. Piuttosto, si può affermare che in grandi settori della popolazione avvenga esattamente il contrario. Poiché, di fatto, sono molte le persone che, quando sentono parlare di Dio e, in generale, del fatto religioso, ciò non le porta a pensare alla felicità di vivere, bensì a qualcosa che va, invece, nella direzione opposta. Infatti, sono molte le persone (credenti e non credenti) che sono soliti associare Dio alla proibizione di molte cose che ci piacciono e ci rendono felici e all’obbligo di fare altre cose che ci risultano pesanti e sgradevoli. E, soprattutto, per molta gente Dio è una minaccia, un rimprovero costante, senz’altro un giudice implacabile che suole creare in noi sensi di colpa, d’insicurezza e di paura” (p. 3).

Ma Dio è proprio così?

Scrive Giovanni, al termine del prologo al suo vangelo, che “Dio nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), e che solo il Figlio, Gesù ne è la piena rivelazione. Per l’evangelista, Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9) è infatti la risposta di Gesù alla richiesta di Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8).

Tutto quel che si crede di sapere su Dio va esaminato e confrontato con quel che Gesù ha detto e fatto nella sua esistenza.

E il Dio che si manifesta in Gesù è un Dio pienamente umano, attento e sensibile ai bisogni e alle sofferenze degli individui, dei quali conosce anche i capelli che hanno sul capo (Mt 10,30).

Il Dio che si rivela in Gesù è ben diverso dalla terribile divinità che minacciava maledizioni contro i disobbedienti alle sue leggi. Il Padre di Gesù è un Dio-Amore (1 Gv 4,8), che intende comunicare a ogni uomo, qualunque sia la sua condizione, la sua stessa vita.

Il Padre di Gesù è un Signore che si mette a servizio dei suoi figli per renderli signori come lui (Gv 13), è un Dio che mai si sente offeso (1 Cor 13,5), ma a tutti, incondizionatamente, offre il suo amore gratuito. Un Dio che non ama gli uomini perché questi lo meritano, ma perché ne hanno bisogno.

Questo Dio non impone le sue Leggi, ma a tutti offre il suo amore. Non desidera sudditi timorosi o uomini obbedienti ai suoi comandi, ma figli che gli assomiglino nella pratica di un amore simile al suo, in grado, come lui, di voler bene, e farne, anche “agli ingrati e ai malvagi” (Lc 6,35). Questo Signore non obbliga, non può farlo, perché è amore, e l’amore non può essere imposto, ma solo offerto. Quando l’amore viene imposto non è più amore, ma violenza.

Il Padre di Gesù è il Signore che non diminuisce o umilia gli uomini, ma li potenzia. È un Dio la cui volontà coincide con la massima aspirazione degli uomini: la felicità. Scrive infatti Castillo che “la volontà di Dio è che l’uomo sia felice. Poiché l’aspirazione suprema di Dio coincide con l’aspirazione suprema dell’essere umano” (p. 32). Per Gesù, “la felicità d’un essere umano ha la priorità assoluta, anche al di sopra delle prescrizioni religiose, come l’osservanza del sabato”, e anche “la religione e i suoi precetti cessano di avere senso e obbligatorietà quando la religione si usa per causare sofferenza o per alzare le spalle davanti al dolore altrui” (p. 22).

In questo libro Castillo accompagna, pagina dopo pagina, il lettore alla scoperta di un Dio innamorato degli uomini, di un Padre che non solo desidera la felicità piena e traboccante dei suoi figli, ma che fa in modo che ogni situazione dell’esistenza concorra a costruirne la felicità (Rm 8,28-39).

Ma Castillo denuncia anche il perverso meccanismo che ha fatto sì che Dio venga associato più al dolore e alla sofferenza che alla gioia e al piacere, più alla paura che alla fiducia. La paura di Dio infatti, non proviene dal Signore, ma dai suoi sedicenti rappresentanti: “un re o un politico ha ai suoi ordini l’esercito e la polizia per farsi rispettare e obbedire. Un sacerdote non può ottenere l’obbedienza attraverso questi procedimenti. Quale strada gli rimane per ottenere un riconoscimento e un potere che stia al di sopra degli altri poteri, in quanto rappresentante del potere divino? La cosa è chiara: prendere parte al potere di Dio. E, sicuramente, intendendo questo potere come un potere minaccioso. Perciò, nelle diverse tradizioni religiose, la divinità premia e castiga. Premia coloro che si sottomettono di fronte alle esigenze dei leader religiosi. E castiga i disobbedienti. Naturalmente, le diverse religioni presentano tutto ciò come il risultato di rivelazioni soprannaturali in cui la divinità si fa presente nei suoi rappresentanti terreni” (p. 30).

Tutta la vita e l’insegnamento di Gesù sono invece orientati alla felicità degli uomini. “Beati!”, ovvero, pienamente felici, è il nucleo del suo annuncio (Mt 5,1-11). Gesù non solo libera da ogni paura, eliminando dal volto del Padre ogni aspetto di severità, ma assicura che è possibile raggiungere la pienezza della felicità ed essere nella gioia come lui lo è (Gv 15,11). Per entrare in una dimensione piena di felicità Gesù chiede una conversione, ovvero un diverso orientamento della propria esistenza, ponendo come valore assoluto il bene dell’altro. Altrimenti, scrive Castillo, “quando una persona antepone un «principio assoluto» (com’è il caso della “religione”) alla vita e alla felicità dell’essere umano, questa persona è capace di commettere le peggiori atrocità, non solo senza rimorso alcuno, ma anche con la convinzione che è questo ciò che deve fare” (p. 55).

Orientando la propria esistenza al bene dell’altro, l’individuo si fa attento e sensibile ai bisogni, alle sofferenze e esigenze di ogni creatura, nutrendo verso di lei sentimenti di benevolenza, di solidale compassione, di amore incondizionato come quello del Cristo (Ef 4,32). In una parola si rende pienamente e profondamente umano come lo è Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, e con lui e come lui va verso gli altri, perché “se Dio s’è umanizzato in Gesù, non c’è altro mezzo per incontrare Dio che farci profondamente umani” (p. 35).

Il tema dell’umanizzazione di Dio attraverso Gesù è quello attorno al quale si sviluppa il libro di Castillo, il quale afferma che “Dio lo si conosce, non elevandosi al di sopra dell’umano o fuggendo dall’umanità, bensì il contrario. Dio lo si conosce e lo s’incontra in ciò che è proprio dell’essere umano e, pertanto, attraverso l’umano. Tale è il senso profondo di ciò che, nella storia della tradizione cristiana, è stato chiamato «il mistero dell’incarnazione»” (p. 10).

Capitolo dopo capitolo, l’autore aiuta a riscoprire il messaggio di Gesù, che è stato definito evangelo, ovvero buona notizia, in quanto l’annuncio del Cristo era che il Padre voleva che tutti gli uomini fossero pienamente felici in questa vita per poi continuarlo a esserlo in quella definitiva. Fin dalle prime righe dei vangeli il Signore fa infatti conoscere che la sua volontà è “la pace in terra agli uomini da lui amati” (Lc 2,14). La pace nella cultura ebraica non significava solo assenza di conflitto, ma era tutto quel che contribuiva alla pienezza di vita dell’uomo: amore, salute, benessere, in una parola, la felicità.

Questo è il progetto di Dio sugli uomini e il Padre non solo lavora per far sì che ciò sia possibile, ma chiede di collaborare alla sua azione. Per questo Gesù proclama beati quelli che lavorano a costruire la pace (Mt 5,9), ovvero si impegnano per la felicità degli uomini. Questa felicità, poiché nasce da quel che si fa per gli altri, può essere immediata e piena, come assicura Gesù: “c’è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,35).

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