Commento alla lettura biblica - domenica 9 novembre 2008
«Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci ragazze le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell'olio; mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell'olio nei vasi. Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. Verso mezzanotte si levò un grido: "Ecco lo sposo, uscitegli incontro!" Allora tutte quelle ragazze si svegliarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle avvedute: "Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". Ma le avvedute risposero: "No, perché non basterebbe per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene!" Ma, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi vennero anche le altre ragazze, dicendo: "Signore, Signore, aprici!" Ma egli rispose: "Io vi dico in verità: Non vi conosco". Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora (Matteo 25, 1-13).
Intanto spero che la traduzione parli delle dieci ragazze, senza dirci se sono vergini o no. Sono giovani donne. Qui non si tratta di un requisito fisico, ma viene sottolineata la loro giovinezza. Se poi riusciamo a superare il disagio di quella porta ruvidamente chiusa allo scorrar della mezzanotte, il nostro intimo parteggiare per quelle escluse, tagliate fuori dalla festa e a superare lo "scandalo" di questo olio non condiviso, allora possiamo entrare nel cuore della provocatoria parabola che stiamo leggendo.
Il centro di questa pagina evangelica è un forte appello alla nostra personale responsabilità: "ciascuno è responsabile di sè stesso o, più chiaramente, nessuno può essere esonerato dalla responsabilità delle proprie scelte. Generazioni di religiosi e anche di bravi cristiani si sono sentiti dire che, obbedendo, non avrebbero mai sbagliato, anche se l'ordine del superiore non fosse stato oggettivamente giusto. Nulla di più turpe, di fronte non solo alla libertà di gestire sè stesso, che è una delle componenti che rende l'uomo immagine di Dio, ma anche di fronte alla responsabilità che ci viene affidata da Dio stesso con il dono dei talenti" (Maria Caterina Jacobelli).
Questa pseudo spiritualità ha provocato immensi danni alle persone, alla chiesa, alla società.
Guai se nella mia vita fossi caduto in questa trappola. Vero maestro è stato per me chi mi ha insegnato a disobbedire: strada difficile e liberatoria.
Attorno a questo "insegnamento" centrale si avvolgono altre preziose riflessioni. Ma non dobbiamo lasciar cadere questo richiamo alla responsabilità personale nel generico.
Il Vangelo vuole interpellarmi in prima persona: io, nel cammino della mia vita, imparo a diventare responsabile? Accetto la fatica di questo itinerario psicologico ed evangelico?
Solo in Matteo troviamo questa parabola che l'evangelista narra riflettendo sulla vita della sua comunità in cui, nell'attesa della venuta del regno di Dio, c'è già il rischio di addormentarsi e, per giunta, di restare "senza olio", senza il nutrimento necessario per affrontare il lungo cammino.
Questa pagina, in verità, è talmente riferita alla vita della comunità da essere scritta più come allegoria che come parabola. Il contrasto tra le ragazze sagge e quelle stolte è segnalato appositamente per descrivere quello che Matteo scopre nella sua comunità dove troppi ormai si sono rilassati. Quella "porta chiusa" del versetto 10 non ha il tenore di un castigo, ma il significato di un invito alla vigilanza, un'esortazione vibrata e "risvegliante".
Erano trascorsi appena 50 anni dalla morte-risurrezione di Gesù e, archiviata l'illusione della venuta imminente del regno di Dio, l'attesa diventava faticosa. Queste dieci ragazze sono l'immagine della comunità che, sulla parola di Gesù, attende che si realizzino le promesse di Dio, qui simboleggiato dallo sposo. Anche se Dio tarda a realizzare le promesse, bisogna vegliare: avere occhi (le lampade), amore (l'olio) e udito pronto a percepire nel cuore della notte i segni che annunciano la sua presenza.
I tempi lunghi
Quando un impegno, un lavoro, un cammino dura nel tempo è facile che subentrino elementi nuovi come la stanchezza, la delusione, la distrazione, la caduta della tensione iniziale, l'abbassamento del fervore. La parabola è molto realistica: "Siccome lo sposo tardava, tutte furono prese dal sonno e si addormentarono". Oggi questa constatazione è facile e ricorrente.
Chi crede in una chiesa "altra" a 45 anni dal Concilio e/o chi lavora per un mondo più giusto e solidale è esposto a tutte le "tentazioni", frustrazioni, delusioni, scoraggiamenti... che la parabola può simboleggiare attraverso il sonno di queste dieci ragazze.
L'attesa di cui ci parla la parabola è piena di aspettative e spesso lo sposo, cioè la novità, non arriva. C'è un ritardo che può precipitare tutti nella più tenebrosa notte. La parabola che con uno scenario piuttosto strano fa arrivare lo sposo a mezzanotte, ci dice che occorre avere tanto olio: l'olio della fede, della fiducia, della speranza, della solidarietà, della perseveranza.
Il "tutto e subito" è per lo più categoria dell'immaturità e del capriccio. Spesso la Bibbia ci pone di fronte al tema dell'attesa per educarci ai tempi lunghi, alla perseveranza.
Nella cultura dell'immediato
Ma oggi la cultura dell'immediato pone nuovi problemi alla crescita di una personalità capace di lunga attesa e di perseveranza. Prendo a prestito le parole di un grande studioso vivente: "A differenza delle "relazioni", "parentele", "partnership" e di nozioni simili che puntano l'accento sul reciproco impegno ed escludono o passano sotto silenzio il loro opposto, il disimpegno ed il distacco, il termine "rete" indica un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare o uscire: impossibile immaginare una rete che non consenta entrambe le attività.
In una rete, connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari rilevanza. Non ha senso chiedersi quale di queste due attività complementari costituisca l' "essenza" della rete. "Rete" suggerisce momenti in cui si è "in contatto" intervallati a periodo di libera navigazione. In una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte a proprio piacimento. Una relazione "indesiderata ma indissolubile" è esattamente ciò che rende il termine "relazione" così infido. Una "connessione indesiderata", per contro, è un ossimoro: le connessioni possono essere e sono interrotte ben prima che inizino a diventare invise.
Le connessioni sono "relazione virtuali". A differenza delle relazioni di un tempo (per non parlare delle relazioni "serie" e tanto meno degli impegni a lungo termine) sembrano fatte a misura di uno scenario di vita liquido-moderno in cui si presume e si spera che le "possibilità romantiche" (e non solo quelle) si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa, facendo a gara nel superarsi a vicenda e nel lanciare promesse di essere "più soddisfacenti e appaganti". A differenza delle "relazioni vere", le "relazioni virtuali" sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare.
Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all'inerzia e alla pesantezza di quelle "vere". Un ventottenne di Bath, intervistato in merito alla crescente popolarità dei siti per appuntamenti su Internet a discapito dei bar per single o delle rubriche per cuori solitari, così spiegò il pregio decisivo della relazione elettronica: "Puoi sempre premere il pulsante "cancella"". (Z. BAUMANN, Amore liquido, Laterza, pagg. XI – XII).
Lo stiamo imparando oggi. Di fronte alla potenza degli eserciti, alla manipolazione mediatica delle masse, di fronte allo strapotere delle multinazionali, non esiste nessuna chiave magica che possa cambiare il corso delle cose. Di fronte ad un cristianesimo ufficiale che si è intrecciato e ha stabilito solide alleanze con il capitale e le culture maschiliste e perbeniste, non è pensabile un veloce cambiamento di rotta. Occorre l'impegno assiduo, gioioso, fiducioso di chi getta semi nuovi senza pensare di raccogliere frutti a breve scadenza.
Del resto la costruzione di un percorso terapeutico, di una comunità cristiana, di una relazione d'amore hanno bisogno di attesa, di tempi e persone progettuali che guardino avanti oltre l'immediato. Si tratta sempre di un "camminare verso" che fa i conti con molti differimenti, molte tappe, molte soste, molte difficoltà. Il libro dell'Esodo è la metafora più espressiva che io conosca al riguardo. Usciti dalla "casa della schiavitù", gli israeliti provano ben presto il disincanto: la "terra della libertà" è un "altrove" verso la quale occorre pellegrinare... Non è affatto sull'altra riva del mare dei giunchi.
Una "doppia anima"
L'ammonizione alla vigilanza e alla perseveranza rimane centrale in questa parabola, e non ha perso nulla nella sua attualità. Ma c'è anche un'altra faccia di questa parabola. Non è onesto dividere la realtà con il coltello e, quando si tratta di persone, forse un po' tutti siamo la ragazza saggia e la ragazza stolta. In ciascuno di noi vive questa doppia "anima".
Anziché collocarsi un po' troppo velocemente nella schiera delle ragazze sagge, previdenti e attente, sarà bene che facciamo i conti con la nostra zona d'ombra, che la guardiamo con coraggio e lucidità. Occorre prendere coscienza anche dell'olio che ci manca e "correre a comprarlo". Questo è l'invito che la parabola, se non vogliamo ridurla ad un raccontino rassicurante, ci rivolge. Tutto questo non per trarre motivo di scoraggiamento, ma per risvegliarmi dai miei sonni pericolosi e farmi alzare lo sguardo, il cuore e la preghiera verso Colui che può dare olio alla mia piccola lampada.
Trovo davvero ricca di realismo e di suggestioni la preghiera biblica.
"O Eterno, sì ....Tu sei la mia lucerna...
Sei Tu che illumini le mie tenebre" (2 Samuele 22,29).
"Tu, o Signore, sei luce per la mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre" (Salmo 18,29).
A mezzanotte
Accendo un'altra visuale, un'altra prospettiva nella lettura di questa parabola. Proprio quando prevalgono le tenebre, viene la luce; proprio quando regna la morte arriva la vita.
Nella chiesa e nel mondo è notte, notte profonda. Ma è nel cuore della notte che arriva lo sposo! E' nel cuore della notte che stiamo vivendo, quando davvero tutti i poteri sembrano cancellare la speranza, quando parlano di pace per giustificare le guerre, quando parlano dei poveri e si danno man forte per mantenere i privilegi, che l'evangelo di Gesù ci sollecita, apre un orizzonte di luce: "Andategli incontro!". Anziché piangere sulle opere della notte, andiamo verso la luce del giorno praticando i sentieri della giustizia e della solidarietà.
Nelle notti buie sono successe tante meraviglie: "Il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire dall'Egitto durante la notte" (Deuteronomio 16, 1). Isaia insegna al popolo come trasformare la notte in giorno, le tenebre in luce. Se spezziamo il pane, se lavoriamo per la pace e la giustizia contro ogni oppressione, "allora la tua luce spunterà come l'aurora, la tua luce sorgerà tra le tenebre e la tua oscurità sarà come meriggio" (Isaia 58, 8 ss.).
Sì, tocca a me andare incontro allo sposo. Tocca a me accogliere con cuore disponibile le proposte del Vangelo. L'alba della risurrezione è sgorgata da una notte profonda. Se me ne sto come un gufo tra le macerie, come un cristiano senza olio nella lampada, come posso andare incontro allo sposo? Ma, ecco che cosa ci dice la Scrittura: "Lo sposo viene". Dio non ci lascia mancare né i messaggeri, né i segni. Nessuna notte, per quanto buia, spegne l'aurora del regno di Dio.
Difatti in Obama, nella sua elezione a presidente USA, ho visto un raggio di luce, un grido di gioia per l'Africa, per l'America, per noi. Dio ci fa dei regali inattesi.
«Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci ragazze le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell'olio; mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell'olio nei vasi. Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. Verso mezzanotte si levò un grido: "Ecco lo sposo, uscitegli incontro!" Allora tutte quelle ragazze si svegliarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle avvedute: "Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". Ma le avvedute risposero: "No, perché non basterebbe per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene!" Ma, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi vennero anche le altre ragazze, dicendo: "Signore, Signore, aprici!" Ma egli rispose: "Io vi dico in verità: Non vi conosco". Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora (Matteo 25, 1-13).
Intanto spero che la traduzione parli delle dieci ragazze, senza dirci se sono vergini o no. Sono giovani donne. Qui non si tratta di un requisito fisico, ma viene sottolineata la loro giovinezza. Se poi riusciamo a superare il disagio di quella porta ruvidamente chiusa allo scorrar della mezzanotte, il nostro intimo parteggiare per quelle escluse, tagliate fuori dalla festa e a superare lo "scandalo" di questo olio non condiviso, allora possiamo entrare nel cuore della provocatoria parabola che stiamo leggendo.
Il centro di questa pagina evangelica è un forte appello alla nostra personale responsabilità: "ciascuno è responsabile di sè stesso o, più chiaramente, nessuno può essere esonerato dalla responsabilità delle proprie scelte. Generazioni di religiosi e anche di bravi cristiani si sono sentiti dire che, obbedendo, non avrebbero mai sbagliato, anche se l'ordine del superiore non fosse stato oggettivamente giusto. Nulla di più turpe, di fronte non solo alla libertà di gestire sè stesso, che è una delle componenti che rende l'uomo immagine di Dio, ma anche di fronte alla responsabilità che ci viene affidata da Dio stesso con il dono dei talenti" (Maria Caterina Jacobelli).
Questa pseudo spiritualità ha provocato immensi danni alle persone, alla chiesa, alla società.
Guai se nella mia vita fossi caduto in questa trappola. Vero maestro è stato per me chi mi ha insegnato a disobbedire: strada difficile e liberatoria.
Attorno a questo "insegnamento" centrale si avvolgono altre preziose riflessioni. Ma non dobbiamo lasciar cadere questo richiamo alla responsabilità personale nel generico.
Il Vangelo vuole interpellarmi in prima persona: io, nel cammino della mia vita, imparo a diventare responsabile? Accetto la fatica di questo itinerario psicologico ed evangelico?
Solo in Matteo troviamo questa parabola che l'evangelista narra riflettendo sulla vita della sua comunità in cui, nell'attesa della venuta del regno di Dio, c'è già il rischio di addormentarsi e, per giunta, di restare "senza olio", senza il nutrimento necessario per affrontare il lungo cammino.
Questa pagina, in verità, è talmente riferita alla vita della comunità da essere scritta più come allegoria che come parabola. Il contrasto tra le ragazze sagge e quelle stolte è segnalato appositamente per descrivere quello che Matteo scopre nella sua comunità dove troppi ormai si sono rilassati. Quella "porta chiusa" del versetto 10 non ha il tenore di un castigo, ma il significato di un invito alla vigilanza, un'esortazione vibrata e "risvegliante".
Erano trascorsi appena 50 anni dalla morte-risurrezione di Gesù e, archiviata l'illusione della venuta imminente del regno di Dio, l'attesa diventava faticosa. Queste dieci ragazze sono l'immagine della comunità che, sulla parola di Gesù, attende che si realizzino le promesse di Dio, qui simboleggiato dallo sposo. Anche se Dio tarda a realizzare le promesse, bisogna vegliare: avere occhi (le lampade), amore (l'olio) e udito pronto a percepire nel cuore della notte i segni che annunciano la sua presenza.
I tempi lunghi
Quando un impegno, un lavoro, un cammino dura nel tempo è facile che subentrino elementi nuovi come la stanchezza, la delusione, la distrazione, la caduta della tensione iniziale, l'abbassamento del fervore. La parabola è molto realistica: "Siccome lo sposo tardava, tutte furono prese dal sonno e si addormentarono". Oggi questa constatazione è facile e ricorrente.
Chi crede in una chiesa "altra" a 45 anni dal Concilio e/o chi lavora per un mondo più giusto e solidale è esposto a tutte le "tentazioni", frustrazioni, delusioni, scoraggiamenti... che la parabola può simboleggiare attraverso il sonno di queste dieci ragazze.
L'attesa di cui ci parla la parabola è piena di aspettative e spesso lo sposo, cioè la novità, non arriva. C'è un ritardo che può precipitare tutti nella più tenebrosa notte. La parabola che con uno scenario piuttosto strano fa arrivare lo sposo a mezzanotte, ci dice che occorre avere tanto olio: l'olio della fede, della fiducia, della speranza, della solidarietà, della perseveranza.
Il "tutto e subito" è per lo più categoria dell'immaturità e del capriccio. Spesso la Bibbia ci pone di fronte al tema dell'attesa per educarci ai tempi lunghi, alla perseveranza.
Nella cultura dell'immediato
Ma oggi la cultura dell'immediato pone nuovi problemi alla crescita di una personalità capace di lunga attesa e di perseveranza. Prendo a prestito le parole di un grande studioso vivente: "A differenza delle "relazioni", "parentele", "partnership" e di nozioni simili che puntano l'accento sul reciproco impegno ed escludono o passano sotto silenzio il loro opposto, il disimpegno ed il distacco, il termine "rete" indica un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare o uscire: impossibile immaginare una rete che non consenta entrambe le attività.
In una rete, connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari rilevanza. Non ha senso chiedersi quale di queste due attività complementari costituisca l' "essenza" della rete. "Rete" suggerisce momenti in cui si è "in contatto" intervallati a periodo di libera navigazione. In una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte a proprio piacimento. Una relazione "indesiderata ma indissolubile" è esattamente ciò che rende il termine "relazione" così infido. Una "connessione indesiderata", per contro, è un ossimoro: le connessioni possono essere e sono interrotte ben prima che inizino a diventare invise.
Le connessioni sono "relazione virtuali". A differenza delle relazioni di un tempo (per non parlare delle relazioni "serie" e tanto meno degli impegni a lungo termine) sembrano fatte a misura di uno scenario di vita liquido-moderno in cui si presume e si spera che le "possibilità romantiche" (e non solo quelle) si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa, facendo a gara nel superarsi a vicenda e nel lanciare promesse di essere "più soddisfacenti e appaganti". A differenza delle "relazioni vere", le "relazioni virtuali" sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare.
Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all'inerzia e alla pesantezza di quelle "vere". Un ventottenne di Bath, intervistato in merito alla crescente popolarità dei siti per appuntamenti su Internet a discapito dei bar per single o delle rubriche per cuori solitari, così spiegò il pregio decisivo della relazione elettronica: "Puoi sempre premere il pulsante "cancella"". (Z. BAUMANN, Amore liquido, Laterza, pagg. XI – XII).
Lo stiamo imparando oggi. Di fronte alla potenza degli eserciti, alla manipolazione mediatica delle masse, di fronte allo strapotere delle multinazionali, non esiste nessuna chiave magica che possa cambiare il corso delle cose. Di fronte ad un cristianesimo ufficiale che si è intrecciato e ha stabilito solide alleanze con il capitale e le culture maschiliste e perbeniste, non è pensabile un veloce cambiamento di rotta. Occorre l'impegno assiduo, gioioso, fiducioso di chi getta semi nuovi senza pensare di raccogliere frutti a breve scadenza.
Del resto la costruzione di un percorso terapeutico, di una comunità cristiana, di una relazione d'amore hanno bisogno di attesa, di tempi e persone progettuali che guardino avanti oltre l'immediato. Si tratta sempre di un "camminare verso" che fa i conti con molti differimenti, molte tappe, molte soste, molte difficoltà. Il libro dell'Esodo è la metafora più espressiva che io conosca al riguardo. Usciti dalla "casa della schiavitù", gli israeliti provano ben presto il disincanto: la "terra della libertà" è un "altrove" verso la quale occorre pellegrinare... Non è affatto sull'altra riva del mare dei giunchi.
Una "doppia anima"
L'ammonizione alla vigilanza e alla perseveranza rimane centrale in questa parabola, e non ha perso nulla nella sua attualità. Ma c'è anche un'altra faccia di questa parabola. Non è onesto dividere la realtà con il coltello e, quando si tratta di persone, forse un po' tutti siamo la ragazza saggia e la ragazza stolta. In ciascuno di noi vive questa doppia "anima".
Anziché collocarsi un po' troppo velocemente nella schiera delle ragazze sagge, previdenti e attente, sarà bene che facciamo i conti con la nostra zona d'ombra, che la guardiamo con coraggio e lucidità. Occorre prendere coscienza anche dell'olio che ci manca e "correre a comprarlo". Questo è l'invito che la parabola, se non vogliamo ridurla ad un raccontino rassicurante, ci rivolge. Tutto questo non per trarre motivo di scoraggiamento, ma per risvegliarmi dai miei sonni pericolosi e farmi alzare lo sguardo, il cuore e la preghiera verso Colui che può dare olio alla mia piccola lampada.
Trovo davvero ricca di realismo e di suggestioni la preghiera biblica.
"O Eterno, sì ....Tu sei la mia lucerna...
Sei Tu che illumini le mie tenebre" (2 Samuele 22,29).
"Tu, o Signore, sei luce per la mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre" (Salmo 18,29).
A mezzanotte
Accendo un'altra visuale, un'altra prospettiva nella lettura di questa parabola. Proprio quando prevalgono le tenebre, viene la luce; proprio quando regna la morte arriva la vita.
Nella chiesa e nel mondo è notte, notte profonda. Ma è nel cuore della notte che arriva lo sposo! E' nel cuore della notte che stiamo vivendo, quando davvero tutti i poteri sembrano cancellare la speranza, quando parlano di pace per giustificare le guerre, quando parlano dei poveri e si danno man forte per mantenere i privilegi, che l'evangelo di Gesù ci sollecita, apre un orizzonte di luce: "Andategli incontro!". Anziché piangere sulle opere della notte, andiamo verso la luce del giorno praticando i sentieri della giustizia e della solidarietà.
Nelle notti buie sono successe tante meraviglie: "Il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire dall'Egitto durante la notte" (Deuteronomio 16, 1). Isaia insegna al popolo come trasformare la notte in giorno, le tenebre in luce. Se spezziamo il pane, se lavoriamo per la pace e la giustizia contro ogni oppressione, "allora la tua luce spunterà come l'aurora, la tua luce sorgerà tra le tenebre e la tua oscurità sarà come meriggio" (Isaia 58, 8 ss.).
Sì, tocca a me andare incontro allo sposo. Tocca a me accogliere con cuore disponibile le proposte del Vangelo. L'alba della risurrezione è sgorgata da una notte profonda. Se me ne sto come un gufo tra le macerie, come un cristiano senza olio nella lampada, come posso andare incontro allo sposo? Ma, ecco che cosa ci dice la Scrittura: "Lo sposo viene". Dio non ci lascia mancare né i messaggeri, né i segni. Nessuna notte, per quanto buia, spegne l'aurora del regno di Dio.
Difatti in Obama, nella sua elezione a presidente USA, ho visto un raggio di luce, un grido di gioia per l'Africa, per l'America, per noi. Dio ci fa dei regali inattesi.