giovedì 5 novembre 2009

RICEVO E PUBBLICO

Se la Gerarchia cattolica smarrisce la Chiesa

di don Paolo Farinella

 

 

 

Da tre settimane provo ad inserirmi nella corrispondenza tra il prof. Vittorio Coletti e il prof. Enrico Musso (la Repubblica dell’11 e 13-ottobre 2009) sul tema posto dal primo, riguardo alla candidatura del secondo e alle motivazioni etiche di supporto. Non ci sono riuscito a motivo di emergenze sempre in agguato. Mi riprometto di farlo: per le votazioni regionali c’è ancora tempo. Ora mi preme rispondere al prof. Coletti sul suo pezzo di domenica 25 ottobre dal titolo «Per chi lavora la Chiesa» e, nella pagina dei commenti, «Se la Chiesa ufficiale è lontana dalla gente». Dichiaro che mi sento perfettamente interpretato dal prof. Coletti che ha sintetizzato non solo il mio pensiero, ma anche i miei sentimenti e le motivazioni che li hanno sostenuti nelle mie esternazioni.

 

Il problema di fondo è proprio questo: da che parte sta la gerarchia cattolica in questo frangente storico in cui assistiamo alla deriva dell’etica politica o dell’etica «tout-court»? Come si giustifica la riluttanza di eminenti uomini di Chiesa ad intervenire nel lupanare che ha invaso la nostra società per merito di un presidente del consiglio che smania di avere rapporti intimi con il Vaticano e la «Chiesa che conta», professando la sua [spuria] cattolicità, salvo poi infognarsi in giochi di prostituzione, in relazioni con minorenni, in compravendita di giudici, di testimoni, di sentenze giudiziarie, di senatori e forse anche di droga e di mafia? Possibile che tutto abbia un prezzo secondo la logica berlusconiana che col denaro si compra tutto, anche la dignità morale  e il silenzio dei vescovi?

 

Il cardinale Bagnasco dice che il suo collega Bertone «ha compiuto semplicemente il suo dovere istituzionale». Desidererei conoscere dove è scritto che un prete abbia come missione «il dovere istituzionale». So per certo che il prete, e quindi a maggior ragione il cardinale, deve essere integro non solo nel suo intimo, ma anche nel suo apparire pubblico e non può usare una doppia morale. Se di fronte all’ignominia di un presidente di consiglio, corrotto, corruttore, spergiuro per la dottrina cattolica, falso e utilizzatore finale di prostitute, di giudici, di sentenze e di «lodi» su misura, uomo malato che usa la falsità e la bugia come metodo di sistema, che in cambio di favori sessuali promette posti di ministra e di deputata, può un cardinale soprassedere e inaugurare come se niente fosse una mostra che – guarda caso – si chiama «Il potere e la grazia»? Il dovere istituzionale vale la missione del prete?

 

Nessuno dei due cardinali mi ha fatto – né poteva farmi –  un solo appunto in materia di fede definita, di morale o di disciplina ecclesiastica. Lo sa bene il cardinale Bagnasco con il quale ho una frequentazione costante e al quale riconosco l’autorità di vescovo che può dimettermi o trasferirmi o sospendermi. Egli però sa anche, che, qualora lo facesse, deve farlo nella debita forma canonica e per motivi inerenti il mio esercizio ministeriale. Sulle materie opinabili la sua opinione o quella del Segretario di Stato ha lo stesso identico peso della mia o di chiunque altro. Hanno risposto stizziti, in coppia e in modo ufficiale sul bollettino della Curia di Genova perché si sono sentiti toccati sulla carne viva e sanno che il mondo cattolico è lontano mille miglia dalla «politica» di convenienza e di opportunità che in questi tempi sia il Vaticano che la Cei perseguono. Essi sanno che c’è in atto uno scisma nella Chiesa che mette in luce il dramma della crisi dell’autorità che ha perso ogni sua incidenza sul tessuto vivo della gente comune. Non si illudano con le folle delle processioni o degli eventi religiosi misti a folclore perché da tempo i cattolici praticanti hanno imparato a camminare da soli e hanno lasciato che i loro «pastori» andassero per la loro strada, se è vero che i loro documenti non lasciano impronte e ognuno ormai è «faber moralium suorum».

 

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