giovedì 5 novembre 2009

DOVE VOLGERE LO SGUARDO?

Commento alla lettura biblica - domenica 8 novembre 2009

Diceva loro mentre insegnava: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave". E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sè i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poichè tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". (Marco 12, 38 - 44)


Due settimane fa meditammo sullo scriba che si trovò in perfetta sintonia con Gesù. Oggi siamo al rovesciamento della medaglia: là lo scriba fedele, qui mestieranti.
Gesù che era un maestro laico, credente in Dio come gli ebrei del suo tempo, inserito nella scia dei profeti, aveva imparato ad usare bene la sua libertà dentro la sua stessa comunità credente.

INFATTI...

Non dimentichiamo che Gesù non si è mai fatto cristiano. E' un profeta di Israele. Il cristianesimo nasce molto più tardi come religione separata dall'ebraismo.
Ebbene, dentro l'esperienza ebraica di quel tempo e dei secoli successivi esiste un fatto estremamente originale e positivo: la libertà di parlarsi direttamente, di correggersi, di resistersi a viso aperto.
Gesù, nato in questa tradizione e cresciuto alla scuola di un profeta come il Battista, che aveva la lingua più affilata di un coltello, usa con grande coraggio questo metodo della discussione perchè le eredità amate vanno tenute vive nel dibattito, anche nello scontro.
Gesù in tutto questo esprime il suo grande amore per la fede ebraica, il suo attaccamento profondo alla Torah che viene "sporcata" dalle nostre sozzure e dai nostri calcoli. Andatevi a leggere un momento in Isaia, in Geremia, in Ezechiele, in Malachia che cosa scrivono questi profeti contro i sacerdoti, i falsi profeti, i capi del popolo, i padri, i giudici, le autorità di ogni genere.
A leggere quei passi, spietatamente polemici e maledicenti, tremano le vene. Ma questa capacità autocritica che l'Ebraismo qualche volta esprime a tal punto che sembra uno sbranarsi più che un parlarsi, che spesso si riveste di "invettive" pungenti e feroci, costituisce anche una grande risorsa. Per preservare la fede nella sua genuinità a volte è necessario resistersi a viso aperto. A volte c'è molto più amore in un conflitto dichiarato, che mira a smascherare le nostre deviazioni e infedeltà, che non in certi linguaggi felpati.
Spesso ci può essere più amore nella denuncia coraggiosa, nel dibattito anche accaldato e "irriverente", che non nei silenzi della vergogna, nei silenzi della viltà.
Se veniamo alla nostra realtà ecclesiale dobbiamo purtroppo constatare che c'è troppa obbedienza.
La tragedia della nostra chiesa è che abbiamo spesso perso la libertà di pensiero e di parola e non siamo cresciuti nella capacità di esprimere i nostri dissensi.
Dentro le nostre storie comunitarie abbiamo forse un problema comune: come mantenere alta la volontà e la possibilità del dissenso forte e amoroso? come non vedere nel dissenso una lotta contro la nostra tradizione, ma il desiderio costruttivo di partecipare al suo costante rinnovamento, alla sua costante riconduzione all'essenziale?
Come lasciarci guidare dall'amore, dal desiderio alimentato alle sorgenti bibliche di partire sempre dalla conversione di noi stessi quando ci sentiamo in dovere di pronunciare parole dure dentro le nostre esperienze comunitarie?
Io vorrei imparare ogni giorno a tenere i cuori vicini anche quando i pensieri sono lontani.
Vorrei lasciarmi cambiare dall'azione di Dio quando, pronunciando parole severe che sento il dovere di dire, rischio di non farlo con sufficiente amore.
Ma so anche che, nella mia vita, qualche volta ho taciuto: non era amore, era la mia viltà, la mia poca disponibilità ad accettare alcuni conflitti, la mia paura delle "conseguenze".
Facciamo fatica a diventare persone responsabili.

DONNA POVERA VEDOVA

Dal versetto 41 lo scenario cambia. Nel luogo del culto ufficiale giudaico Gesù trova una "perla" che addita allo sguardo e al cuore dei discepoli intenti ad altri panorami: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni" (Marco 13,1).
La studiosa cattolica Clementina Mazzucco nella sua preziosa "Lettura del vangelo di Marco" annota: "Questa vedova si rivela pienamente in sintonia con il pensiero e la volontà di Gesù, come già era avvenuto con la suocera di Pietro....... Ma in lei c'è qualcosa di più grande, perchè si comporta così senza aver ricevuto alcun beneficio da Gesù, anzi senza neppure conoscerlo, semplicemente ispirandosi all'etica giudaica e alla sua coscienza. Nè avrà da Gesù, in quel momento, quel riconoscimento diretto. Questa vedova dimostra l'enorme potenzialità positiva della religione giudaica vissuta con semplicità dalle persone comuni, sopratutto dai poveri, ed è contemporaneamente figura di tutti coloro che fanno la volontà di Dio e dimostrano una fratellanza con Gesù, senza conoscere Cristo e il cristianesimo". (Ivi, pag. 140, Zamorani Editore).
Gesù richiama i discepoli a guardare nella giusta direzione. Giustamente le teologie femministe hanno "valorizzato" questa donna come testimone di una fede a tutta prova.
Tutti i particolari del racconto mettono in rilievo il cuore di questa donna, la sua "smisurata" fedeltà.
Io mi sento particolarmente sollecitato dal richiamo di Gesù. Per me, nel paesaggio politico ed ecclesiale, è sempre più determinante guardare al mondo dei più deboli. Non perchè i poveri e le persone emarginate siano dei santi, ma perchè esse spesso danno voce a Dio, costituiscono lo "spazio" in cui Dio si manifesta.
Negli anni anche all'interno della mia comunità i miei punti di attenzione e di riferimento evangelico non sono più gli animatori e le animatrici, ma le persone più semplici e marginali dell'esperienza stessa. Ho cambiato la direzione del mio sguardo.

TI PREGO

O Dio di Abramo, di Sara, di Rebecca, di Gesù: vorrei che mi accompagnassi a partire sempre da Te, dalla lampada ardente della Tua Parola e, come ha fatto Gesù, proprio sulle sue tracce, legare sempre di più la mia vita all'orfano, alla vedova, allo straniero.
E' ancora lì, dentro queste vite "comuni" fragili e minacciate, esposte al gelo della miseria e dell'abbandono, che Tu parli ai cuori e compi le Tue silenziose meraviglie.

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