venerdì 2 luglio 2010

UNA LETTERA

Gentile Don Barbero, sono consapevole di sottrarle del tempo prezioso e spero perdonerà la mia sfrontatezza nel farlo ma i suoi interventi sul tema dell'emarginazione sociale ed in particolare su quello dell'omosessualità mi hanno molto favorevolemente colpita e ho ravvisato in lei quei valori di amore e accoglienza che ogni sacerdote dovrebbe avere verso i propri fedeli. Proprio in virtù della stima ed ammirazione che ho verso di Lei mi sono permessa di scriverle per esprimerle alcuni dubbi sulla questione su cui spero  possa consigliarmi. Premetto che il mio interesse per la questione non è dettato da pregiudizi religiosi, considerando che non sono propriamente credente, ma semplicemente per "amore di verità" e per considerare la questione con maggiore consapevolezza e umanità. Concordo pienamente nel dire che ogni essere umano ha il diritto di essere amato e rispettato per come è ma ho sempre avuto questa perplessità: se in molti casi l'omosessualità è determinata dal mancato superamento di alcuni complessi infantili e da equilibri affettivi sbilanciati all'interno della famiglia (mi pare di capire che in molti casi le teorie psicanalitiche trovino conferma) non è dovere e atto di amore proporre anche la possibilità di ripercorrere queste tappe e di conoscersi meglio come persona piuttosto che liquidare il problema con un "l'importante è amarsi, non importa in che modo"? Mi spiego meglio: se so che una persona omosessuale cerca nell'amore di una persona dello stesso sesso qualcosa che gli è mancato o qualcosa che non ha, può davvero dirsi una persona completa, matura negli affetti? Se questo amore proviene da una ferita e da una mancanza, non è giusto curare la ferita prima di potere parlare d'altro? Mi creda, con questo non voglio provocare o cercare di convincere nessuno; voglio solo capire e chiedo a lei perchè trovo in lei grande umanità e intelligenza. Faccio un esempio che forse potrà apparire offensivo ma spero possa capirmi. Se una persona è costretta sulla sedia a rotelle, nessuno si sognerebbe di giudicarla o criticarla e tutti concordiamo nel dire che può costruirsi una vita felice anche con questa difficoltà in più , ma se sapessimo che forse c'è un modo per farla camminare davvero non ci proveremmo? Non le daremmo un'opportunità che altri hanno e che non è giusto che lei non abbia? Così io penso che una persona debba avere la possibilità di vivere l'affettività e la sessualità in modo completo e questo può affermarsi tra uomo e donna e solo in questo, credo, possa trovare pieno appagamento. Questo dovrebbe costituire lo "zoccolo duro" del diritto naturale, che nessuna convenzione sociale può cambiare. Non credo esistano eterosessuali che vogliano essere omosessuali ma credo invece che esista il caso contrario e questo forse ha un significato importante che spesso ignoriamo. Mi viene in mente questa considerazione: se un essere umano si trova di fronte alla possibiltà di essere felice in modo immediato, istintivamente tende a prendersi questa felicità così una persona omosessuale come qualunque altra quando si innamora, si trova di fronte alla possibilità, soprattutto se ricambiato, di essere felice. Ma se questa immediata felicità nasconde comunque delle difficoltà dovute al fatto di essere persone dello stesso sesso e quindi non originariamente "progettati" (anche se il termine risulta orribile) per stare insieme, non hanno il diritto di sapere che potrebbero, scavando in loro stessi (ovviamente senza costringere nessuno) amare da persone complete e in modo completo. La nostra solidarietà di esseri umani e cittadini non dovrebbe esprimersi anche in questo? Posto che la libertà individuale è sacra e che se qualcuno è contento di essere come è, ha tutto il diritto di vivere serenamente. Ma credo che ci sia una differenza tra l'accettarsi e il rassegnarsi. Terrei molto a sapere il suo parere se avrà mai il tempo di rispondermi. Spero davvero di si. Nel rinnovarle la mia stima, la saluto caramente e le auguro ogni bene.
 
Marianna