giovedì 5 agosto 2010

Analisi d'un appello singolare al Sinodo

di Giovanni Lombardo (membro del Consiglio della chiesa valdese di Trapani e Marsala)
da: www.chiesavaldesetrapani.com, 3 agosto 2010


Breve analisi del testo APPELLO AL SINODO PER LA FEDELTA’ ALLA NOSTRA CONFESSIONE DI FEDE”

Abbiamo già riportato il testo integrale dell’ “ Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di Fede” , pubblicato a p. 9 di RIFORMA del 30 luglio 2010, come “inserzione a pagamento”. Tale “Appello”:

1) attacca esplicitamente il pastore della chiesa valdese di Trapani e Marsala, l’intera chiesa valdese di Trapani e Marsala in quanto in piena condivisione con il suo pastore e, in particolare, il Consiglio di questa chiesa che ne guida in piena assunzione di responsabilità le scelte;

2) attacca la Moderatora della Tavola valdese, implicitamente accusandola di mentire sapendo di mentire a proposito della vicenda riguardante una unione omosessuale;

3) attacca il teologo Paolo Ricca per aver amministrato il battesimo ad un bambino, che si trova in una condizione familiare del tutto inusitata, condizione resa possibile dalle più recenti tecniche riproduttive.

Tale “Appello” invita i lettori a sottoscriverlo, per rendere più forte la richiesta dei cinque “primi firmatari”, i quali intendono evitare “ che il sinodo”aggiorni” le norme in modo da rendere LECITI (sottolineatura nostra), sia pure ex post, parte o tutti questi comportamenti” ( mi ricorda la ”Semiramìs” del V canto dell’Inferno dantesco – ‘che libito fe’ licito in sue leggi’). Ritengo necessario sottolineare una aporia, che forse è sfuggita nell’empito polemico che vivacizza il testo: i cinque sottoscrittori sembrano volersi sostituire al Sinodo, in quanto hanno già deciso che i comportamenti ricordati sono illeciti e “contraddicono” la Confessione di Fede e che il Sinodo non debba far altro che seguire le loro indicazioni.

Sono convinto che Maria Bonafede e Paolo Ricca possiedono strumenti straordinari di cultura e di esperienza ecclesiale per cui non intendo intervenire, almeno in questa occasione – che è un primo approccio al testo – sulle accuse loro rivolte: mi sentirei ridicolo, come una barchetta a remi che voglia trainare due navi da crociera.

Intendo invece intervenire sulle accuse al pastore Alessandro Esposito: in questo caso, questa barchetta a remi ha a che fare con altre barchette, i cui remi mi sembrano non sincronizzati, sbandano a destra e a manca, girano su se stesse.

Non intendo però soffermarmi sui comportamenti del pastore Alessandro Esposito e della sua chiesa locale, cioè la questione “trinitaria” e la “benedizione” ( l’ “Appello” non usa mai questo termine, mostrando di ignorare la questione di cui parla) di una coppia omosessuale. Il Direttore di Riforma, sullo stesso numero del 30 luglio, in una breve nota, offre ai lettori gli estremi per documentarsi in merito. Nel sito web di questa chiesa valdese, che state in questo momento frequentando, è disponibile abbondante documentazione.

Ritengo invece, importante, per comprendere veramente questo “Appello” esaminarne la struttura e il linguaggio, sia pure non in maniera analitica, ma per linee essenziali.

Non considerando le frasi di apertura (“Noi sottoscritti…) e di chiusura (“possa la Grazia di Dio…), e utilizzando la suddivisione in capoversi determinata dalla grafica di stampa, individuiamo 14 paragrafi.  Il testo è suddivisibile in tre parti.

Parte prima – par. 1 – 5 : preambolo


Presenta alcuni brevi, quasi telegrafici, richiami storici e dottrinali, prendendo come riferimento cronologico e teologico la Confessione di Fede del 1655. Eccettuato l’uso di un aggettivo qualificativo, sul quale tornerò tra poco, niente da obiettare. Ritengo che ogni valdese possa sottoscrivere tali richiami. Occorre soltanto annotare che vengono saltati i quattro secoli precedenti e non si considera che possa essere avvenuto qualcosa di nuovo, di inatteso, nei quattro secoli successivi, per esempio, fra i tanti possibili esempi, assumere i principii della civile convivenza delle democrazie occidentali, introdurre il pastorato femminile, diffondersi oltre le Valli storiche, fino alla Sicilia e all’America Latina.

Ho accennato ad un aggettivo: si trova nel par. 2 che, essendo breve, riporto integralmente: “certi che la Confessione di Fede del 1655, mai mutata da alcun Sinodo, sia il fondamento INCROLLABILE della chiesa valdese”. Che sia il “fondamento” è ovvio, direi che è quasi banale ricordarlo. Ma sull’ INCROLLABILE non ci sto. Ho la sensazione di essere preso per cretino e che si usi questo aggettivo al posto del suo sinonimo, molto più puntuale, meno architettonico e più teologico: IRREFORMABILE. La mia ipersensibilità di ex cattolico ( da sedici anni ho scelto la chiesa valdese ) individua una anomalia pericolosissima per una chiesa che ha spezzato le INCROLLABILI certezze della chiesa cattolica, che ha aderito alla Riforma ed al principio del “semper reformanda”. Incrollabile è il celibato dei preti, incrollabile è l’esclusione delle donne dal sacerdozio, incrollabili persino i principii di Paolo VI sulla contraccezione, per non parlare dell’incrollabile primato del papa e della sua infallibilità.

In questa chiesa evangelica e “riformata” che è la chiesa valdese mi mette molto a disagio che qualcuno sostenga che ci siano confessioni di fede, se non addirittura ordinamenti disciplinari “incrollabili”, cioè “ irreformabili”. Ciò esprime una sensibilità cattolica, in particolare di un certo tipo di cattolicesimo fondamentalista, che ha la sua migliore espressione nel Lefevbrismo. Definire una scelta ed una affermazione come incrollabile cioè irreformabile è voler parlare al posto di Dio. Noi valdesi, per Sua grazia, siamo liberati da tale tentazione, di fatto atea.

Parte seconda – par. 6 -9 : le contestazioni.

I cinque firmatari qui la prendono un po’ alla larga. Fanno capire di aver tante cose da contestare e da sottoporre alla discussione e valutazione del Sinodo, ma per due interi paragrafi ( 6, 7 ) non dicono niente, nessuna informazione specifica; riscontriamo generiche lamentazioni e buone intenzioni, accompagnate da citazioni dal Nuovo Testamento e dalla Confessione di Fede del 1655 (è strana questa equiparazione a livello stilistico della funzione di due testi - NT, . Conf. di Fede - totalmente incomparabili proprio sul piano della Fede).
In particolare, nel par.6, si esprime rammarico ( “rammaricandoci…”) perché la Chiesa Valdese “impegna il proprio nome in iniziative, a volte anche lodevoli, almeno nelle intenzioni, che per la loro fallacia creano divisioni…”.

Qui si sta sferrando da parte dei cinque “ primi firmatari” un attacco abbastanza netto “almeno nelle intenzioni” non tanto alla piccola chiesa valdese ( uso il minuscolo di proposito) di Trapani e Marsala ma all’intera Chiesa Valdese ( in maiuscolo).Sarebbe stato opportuno: a) tener presente che i dizionari ci dicono che “fallacia” è da intendersi come “falsità, slealtà, malafede”; quindi quel “lodevoli, almeno nelle intenzioni” è un non senso: se c’è “fallacia” c’è proprio l’intenzione ingannevole.

Ma come si fa a scrivere “a volte lodevoli” ma intrise di “fallacia”? L’impressione è che gli estensori di questo testo non abbiano chiaro di che cosa stiano parlando; b) scrivono “iniziative” al plurale, per cui ci si aspetta che arrivi magari un piccolo elenco di tali riprovevoli “ iniziative”; invece, dopo una lettura attenta di tutto il testo, le iniziative da condannare risultano soltanto due, una attribuibile alla chiesa di Trapani e Marsala, cioè la benedizione di una coppia omosessuale, l’altra a Paolo Ricca, per il battesimo gia ricordato all’inizio. Ah, si dirà, c’è la questione trinitaria sollevata dal pastore Esposito. Puntualizziamo: quella non è una “iniziativa” ma una discussione storico-teologica.

Il par. 7, dopo una generica ed ovvia affermazione sulla caducità delle umane dottrine contrapposte alle parole di Gesù che “non passeranno”, esprime la preoccupazione che le scelte concrete della Chiesa a proposito di concrete iniziative possano nuocere all’unica missione della Chiesa, che è “essere testimoni di Gesù Cristo fino alle estremità della terra”. Bene. Qui sono totalmente d’accordo, ma siamo nella vaghezza totale.

La questione è : in che maniera si esprime questa testimonianza dinanzi alle situazioni concrete, qui ed oggi, nel 2010 non nel 1655? I cinque firmatari non chiariscono alcunché ma operano un pesantissimo distinguo: la Chiesa deve proporsi di “non nuocere, con scelte imprudenti”; i “singoli membri di chiesa” si impegnino pure come vogliono. Traspare da ciò una concezione individualistica e non comunitaria della testimonianza di fede, perfettamente legittima, ma che diviene pura prepotenza quando pretende di essere l’unica scelta approvabile.

Per esempio, la chiesa valdese di Trapani e Marsala nelle cose che ha ritenuto importanti ha elaborato comunitariamente le proprie scelte, coinvolgendo in questa elaborazione comune lo stesso pastore, che non ha assunto, a proposito della “benedizione” della coppia omosessuale, una posizione individualistica o personale ma ha veicolato una scelta ecclesiale.
Il par. 8 è un capolavoro di reticenze e genericità. Come nel par. 6 si era parlato di “iniziative” senza poi indicarne almeno una, ora “constatiamo…interpretazioni sempre più personali di ciò che (la Chiesa) debba fare o credere”.

Bene, stavolta ci siamo, vien da pensare…fuori i nomi, dove sono queste interpretazioni, presentatecene alcune! “Constatiamo” è un bel verbo, deciso. Una “costatazione” implica aver toccato con mano, esperimentato direttamente. Ma quando mai! la frase è tutta lì, è già terminata. La “constatazione” rimane sospesa nel vuoto. Si torna al generico, con un verbo che più generico non si può: “Apprendiamo…” . Viene usato due volte: nella seconda parte del par. 8 e all’inizio del par.9, su cui proietta un’ombra di imprecisione e incertezza.

 “Apprendiamo” è una formula retorica di genericità, corrispondente a un “si dice che…”, ma che permette di dare un tono più personalizzato al discorso. Non prendiamoci in giro: quando dite “constatiamo”, lì non c’è nessuno da nominare, quando c’è, finalmente, da fare una accusa specifica, nascondete la mano che tira il sasso, scrivendo “apprendiamo”, ovvero “si dice che…” “un pastore nega pubblicamente la Trinità e divinità di Cristo”.

Fate un’accusa così pesante attaccati ad un generico “apprendiamo”? Non siete stati in grado di documentarvi, di constatare? Sembra che voi stessi non siate sicuri di tale accusa. Infatti è falsa in radice. Alessandro si è limitato, circa due anni fa, durante una serie di incontri di studio biblico, ad illustrarci le difficoltà di elaborazione del dogma trinitario e le varie discussioni sulla divinità di Cristo sviluppatesi nei primi secoli e come la definizione trinitaria che ritroviamo nel “credo niceno” non è detto che non possa essere riveduta.

Abbiamo pubblicato questi studi biblici nel nostro sito ed è scoppiata una “bagarre” animata da pseudo teologi pentecostali, che hanno accusato Alessandro con le stesse parole che usa questo “Appello”. Se i cinque firmatari si fossero adeguatamente documentati avrebbero verificato che l’accusa era fasulla. Ma loro lanciano sassi in base ai “si dice”, “apprendiamo…”. Dopodichè non parlano più della questione e passano all’altra accusa, nominando esplicitamente oltre al pastore anche il Consiglio di chiesa di Trapani e Marsala.

I cinque firmatari si avviano alla conclusione e non hanno ancora formulato una sola vera accusa: sanno benissimo che l’accusa di antitrinitarismo si sgonfierà da sé ( tanto che vi dedicano soltanto quattro righette della colonna tipografica) e decidono finalmente di lanciarsi sul tema che veramente li interessa: l’omosessualità.

Accusano la chiesa valdese di Trapani e Marsala e il pastore di aver celebrato “ciò che gran parte dei mezzi di informazione e LUI STESSO (sottolineatura nostra) hanno definito ‘matrimonio’ tra due donne”. In questa frase vi è un falso evidente ed una scemenza. Il “falso” consiste nel fatto che il pastore non ha mai parlato di “matrimonio” ma di “benedizione” di una coppia omosessuale che aveva celebrato la propria unione secondo le leggi vigenti, in Germania; la “scemenza” consiste nel formulare accuse pesantissime, davanti al Sinodo annuale, in base a titoli e resoconti giornalistici, per giunta di seconda mano, perché nessun giornalista era stato invitato alla celebrazione per esplicita volontà della coppia, che teneva moltissimo alla propria riservatezza.

Parte terza – par. 10 – 14 : richieste al Sinodo

Il par. 10 è semplicemente una frase di passaggio, “ci appelliamo….ecc.”
In questa terza parte i richiami al N.T. scompaiono e prevalgono “Confessione di fede” e “dottrina”. Tutte le “iniziative” e le “interpretazioni” che preoccupano i cinque “primi firmatari” e che mai sono state specificate si riducono ad una sola: l’omosessualità. Invitano a ricordare “i numerosi passi biblici che la condannano” e richiamano Levitico 18.

Omettono qualunque richiamo al Nuovo Testamento. Insomma, se l’unica cosa che vogliono dire al Sinodo è di porre all’ordine del giorno la questione della omosessualità, ciò è stato già richiesto, ben prima di questo “appello”, dal Consiglio della chiesa valdese di Trapani e Marsala alla Tavola. Naturalmente, al Sinodo potranno confrontarsi le varie riflessioni ed esperienze. I cinque “primi firmatari” sembrano esprimere la convinzione che le proprie riflessioni e le proprie scelte non possano che essere le migliori e che i dissenzienti dovrebbero essere ridotti al silenzio o addirittura estromessi dalla Chiesa: insomma dogmatismo e scomuniche. Per gente che si dichiara strenua sostenitrice della Confessione di fede del 1655 si tratta di un approdo sconcertante.

Questa analisi potrebbe concludersi qui. Mi sembra però indispensabile una breve appendice.
Per ben tre volte nel corso dell’ “Appello” i firmatari esprimono la preoccupazione che all’interno della Chiesa Valdese si creino della “divisioni”, citando per ben due volte il pastore Alessandro Esposito, “reo” di aver espresso la consapevolezza che le scelte a proposito della accoglienza degli omosessuali possano “provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese”.

Questo appello sembra voler sostenere che la salute della chiesa e la sua fedeltà alla propria tradizione ed alle proprie origini debba manifestarsi con l’omogeneità dei comportamenti e delle scelte, che ogni “divisione” sia un danno: è la concezione di una Chiesa statica, volta alla contemplazione e sacralizzazione di se stessa, indifferente ad una umanità in costante mutamento, in continua ricerca; perfino i nostri “ordinamenti”, le nostre “discipline” affrontano, anno dopo anno, il continuo sforzo di confrontarsi con il nuovo. Ecco, probabilmente è questo il vero tema sottoposto al Sinodo.