Esiste un termine molto anglosassone, QUEER*, che in tutti questi dibattiti non si sente affatto utilizzare, anche perchè non credo esista un corrispettivo italiano, e perchè in Italia comunque si resta ancorati nei dibattiti pubblici alla mediterranea flaccidità di non tentare mai di andare oltre le consuetudini (come sono comode e rassicuranti le consuetudini!).
La mera contrapposizione utilizzata è sempre 'maschile-femminile' (vedasi anche i titoli recenti di film 'maschi contro femmine' per esempio, l'Italia patria dei luoghi comuni, insomma) rispetto al tipo di organo genitale che il fato ci ha concesso, ma forse le cose sono più complicate di così e forse l'identità personale è molto più complessa di un appartenenza di genere socialmente intesa. Questa complessità è anche rispetto alle divise da indossare, ai ruoli da esercitare, ai doveri da assolvere, ai desideri da avere, vivere o frustrare.
Si dovrebbe insegnare alle donne e accanto agli uomini (rispetto all'identità che ognuno decide e sente di possedere in maniera assolutamente individuale) ad esercitare con coraggio la propria unicità prima ancora che la propria identità sociale, ossia la propria visione del mondo e di sè, superando le contrapposizioni ideologiche e rigide.
Mi verrebbe da chiedere a me stessa innanzitutto di essere in ascolto delle diverse 'identità', senza fossilizzarmi sui titoli dei giornali e sulle facili etichette (donnina, donna, donnaccia, donnissima...uomo, macio, mocio, micio).
Ognuno di noi è molte cose assieme, è molti vissuti assieme, è responsabilmente e liberamente IL SOLO possessore di una storia individuale che ha duramente vissuto e maturato, nel tentativo di vivere degnamente il presente e sentirlo come spinta per il futuro.
La cosa che vorrei sentir dire come finalmente nuova alla stampa e ai vari commentatori tanto saggi è, per esempio quanto sia ridicolo parlare di divisioni così nette, dato che non siamo più nell'ottocento e tantomeno nel dopo guerra.
Perché nessuna super femminista pronta giustamente a scendere in piazza per le donne, non prova ad ampliare il discorso? Da cotanto pensatrici mi aspetterei di più.
Perchè non si scandalizza del 'modo' rigido e datato di commentare le identità di genere prima di tutto, cosa che svilisce la donna tanto quanto l'utilizzo del corpo come oggetto e gioco maschile?
E perché dall'altra parte nessun uomo non si indigna e dichiara di essere sopra questi schemi rigidi, poichè dotato di una dignità individuale ben diversa dal 'silvio-pisello-centrismo'?
E tutto questo spero un giorno potrà essere affrontato al di là di una contrapposizione ideologico-politica. L'Italia sarà veramente una democrazia moderna quando si potrà parlare dei fatti e degli uomini senza utilizzare sempre un cappello ideologico e un colore politico per farlo.
Ma questa è forse un'utopia.
(Federica Della Ressa, L’Invito n. 233, Trento 2011)