La solitudine delle sindache calabresi diventa l’ennesimo emblema delle impari opportunità che pesano come un macigno sulla reputazione del nostro Paese. Maria Carmela Lanzetta, Annamaria Cardamone, Carolina Girasole e Elisabetta Tripodi hanno sfidato la criminalità e i pregiudizi, ricevendo in cambio minacce, insulti, attentati, isolamento. Sono state circondate da un muro di incomprensione, di diffidenza, di ostilità che ha costretto alcune di loro alle dimissioni.
A questo avvilente capitolo della nostra storia civile Concita De Gregorio aveva dedicato tempo fa un bellissimo servizio su Repubblica. E Goffredo Baccini lo ha raccontato in un interessantissimo libro intitolato L'Italia quaggiù. E nei giorni scorsi RadioTre ha ripreso la questione in una puntata di Tutta la città ne parla.
La vicenda sta suscitando un’indignazione sempre più forte nella parte più sensibile dell’opinione pubblica. Qualcuno è arrivato addirittura a proporre il boicottaggio dei prodotti calabresi. In realtà la guerra scatenata contro queste amministratrici oneste ed efficienti rivela con chiarezza che le speranze di miglioramento del nostro Paese oggi sono in buona parte nelle mani delle donne. Costrette a combattere una doppia battaglia. Contro la violenza e contro i pregiudizi. Che sono le due facce complementari di una società e di una politica arcaicamente misogine. Laddove è più forte l’ineguaglianza di genere, maggiori sono arretratezza e sottosviluppo. Su questo concordano tutti gli esperti di economia e società. Se vogliamo perdere ulteriore terreno rispetto ai Paesi civili, non ci resta che continuare a remare contro queste donne coraggio.
(Marino Niola, Venerdì 13 settembre)