lunedì 28 aprile 2014

CARCERE, L'ISOLAMENTO E I SUICIDI

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un documento sulla prevenzione dei suicidi nelle carceri in cui gli psichiatri dell'Università di Washington, Metzner e Hayes provano l'associazione tra suicidio dei detenuti e detenzione in isolamento. Per me, che ho vissuto quattro di sei mesi detentivi in isolamento, è solo una conferma di sensazioni vissute sulla pelle.

(Giulio Petrilli)

Il carcere così com'è organizzato oggi è un laboratorio che non serve alla riabilitazione del condannato ma alla produzione o alla moltiplicazione del disagio. Il suicidio ne è la conseguenza più conosciuta e più drammatica ma gli psichiatri e gli psicologi conoscono bene la regolarità con cui si aggravano, in carcere, i disturbi più gravi di personalità ed i comportamenti sintomatici che ad essi si collegano come la tossicodipendenza al modo in cui sanno bene, gli educatori, la frequenza con cui un reato commesso in modo più o meno fortuito può trasformarsi, nel carcere, in una tendenza criminale più stabile. Saperlo, tuttavia, non aiuta perché quello che non cambia, da noi, è proprio l'universo carcerario: senza prendere in considerazione il danno che il carcere produce in persone di cui si dovrebbe riconoscere e ristabilire il diritto alle cure ed alla riabilitazione. Ha ancora un senso ripeterlo qui con un lettore che da anni attende dalla Corte europea di Strasburgo il riconoscimento di un diritto al risarcimento per quello che in carcere ha ingiustamente vissuto? Gutta cavat lapidem, dice il detto latino ed è solo per questo, in

fondo, che bisogna ancora ripeterlo. Sperando che il nuovo che avanza nella politica possa occuparsi presto anche di questo.

(Luigi Cancrini, L'Unità 22 aprile)