In ogni caso, se «quello che ci unisce è più forte di quello che ci separa» - come evidenzia Patricia Simone do Prado, della Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais, richiamandosi a una quadruplice forma di dialogo: a livello esistenziale, mistico, etico e teologico - la sfida non è, sottolinea Marcelo Barros nel suo intervento, quella di «dialogare a partire dalle somiglianze e dai punti di accordo», bensì quella di «entrare nella logica dell'altro». E ciò vuol dire che l'altro, il diverso, deve essere «accolto cosi com'è, nella sua differenza radicale», senza che ciò comporti il rischio di una «relativizzazione confusa della propria identità»: si tratta, cioè, di «allargare il nostro sguardo e arricchire il nostro modo di comprendere e vivere la fede, restando aperti alle questioni suscitate dall'incontro e dal dialogo». E neppure va dimenticata la lezione del Talmud a proposito delle interminabili discussioni tra Hillel e Shammai (importanti rabbini del I secolo a. C. che fondarono scuole antagoniste di pensiero ebraico): a un certo punto, ricorda nel suo intervento Michel Schlesinger, rabbino brasiliano della Congregação Israelita Paulista, «si udì una voce dal cielo che diceva: "sia queste che quelle sono parole del Dio vivente, tuttavia la legge sarà quella determinata dall'opinione di Hillel". Al che i saggi si domandarono: se entrambi hanno ragione, qual è il criterio per determinare la legge? La risposta è meravigliosa. Hillel ottenne che la legge fosse stabilita conformemente alla sua opinione perché sapeva dialogare con eleganza: citava l'opinione dell'avversario sempre con rispetto, anche prima di riportare il proprio pensiero». Come Hillel e Shammai, conclude Michel Schlesinger, «non saremo giudicati dalla verità del nostro discorso, perché ogni religione ha la sua verità, ma dall'eleganza con cui porteremo avanti le discussioni».
Così, le tre grandi tradizioni abramitiche, che «hanno in comune la parola dei profeti, dei saggi e della mistica» e anche «le molteplici possibilità di interpretazione», si trovano tutte di fronte a un grande bivio, lo stesso dilemma di Abramo dinanzi alla parola divina: la scelta tra sacrificio e misericordia, tra ostilità e ospitalità. Perché, «se le frontiere hanno ancora un senso, non è per innalzare muri, ma per identificare luoghi di ospitalità, di scambio di doni e di conversazioni senza fine».
Di seguito, in una nostra traduzione, ampi stralci dell'intervento di Susin, rimandando per la lettura integrale del "Dossier per il dialogo interreligioso" (in spagnolo, in portoghese e in inglese) al sito della rivista Voices (http://internationaltheologicalcommission_org/VOICES). (claudia fanti)
(Adista 28 marzo 2015)
Così, le tre grandi tradizioni abramitiche, che «hanno in comune la parola dei profeti, dei saggi e della mistica» e anche «le molteplici possibilità di interpretazione», si trovano tutte di fronte a un grande bivio, lo stesso dilemma di Abramo dinanzi alla parola divina: la scelta tra sacrificio e misericordia, tra ostilità e ospitalità. Perché, «se le frontiere hanno ancora un senso, non è per innalzare muri, ma per identificare luoghi di ospitalità, di scambio di doni e di conversazioni senza fine».
Di seguito, in una nostra traduzione, ampi stralci dell'intervento di Susin, rimandando per la lettura integrale del "Dossier per il dialogo interreligioso" (in spagnolo, in portoghese e in inglese) al sito della rivista Voices (http://internationaltheologicalcommission_org/VOICES). (claudia fanti)
(Adista 28 marzo 2015)