Malte
Kreutzfeldt, Die Tageszeitung, Germania
Per
gli attivisti il piano in difesa del clima annunciato dal governo
tedesco è solo un incentivo a continuare la lotta
Se
si paragonano le nuove misure proposte dal governo tedesco con quello
che un anno fa sembrava possibile ottenere nel campo delle politiche
sul clima, è chiaro che sono stati fatti dei passi avanti: allora
l’Unione cristianodemocratica (Cdu) non voleva saperne di stabilire
un prezzo per le emissioni di anidride carbonica, era impensabile
investire miliardi in infrastrutture ecosostenibili e non si trovava
una maggioranza neanche per approvare gli incentivi per l’isolamento
termico delle abitazioni.
Un
anno dopo il dibattito è completamente cambiato: la crisi climatica
è diventata la questione politica per eccellenza. Grazie alle
manifestazioni degli studenti e ai sondaggi secondo cui un’ampia
maggioranza dei tedeschi chiede una maggiore tutela del clima, per la
Cdu e per il Partito socialdemocratico è ormai impossibile ignorare
la questione. Il nuovo movimento per il clima, culminato nello
sciopero globale del 20 settembre, può almeno rivendicare questo
successo.
Ma
purtroppo le buone notizie finiscono qui, perché le proposte del
governo tedesco non devono essere valutate sulla base di quello che
sembrava possibile un anno fa, bensì sulla base di quello che
sarebbe necessario per rispettare gli obiettivi stabiliti dalla
conferenza sul clima di Parigi nel 2015. E in questo caso il bilancio
è più che negativo.
Le
misure annunciate dalla grande coalizione non sono neanche
lontanamente sufficienti per imprimere alla Germania una svolta
compatibile con l’obiettivo di limitare l’aumento della
temperatura media globale a 1,5 gradi rispetto all’epoca
preindustriale.
Alcune
idee sono ragionevoli, per esempio ridurre il prezzo dei biglietti
ferroviari e aumentare le sovvenzioni per le auto elettriche. Ma sui
punti chiave il fallimento è totale. Siccome la Cdu vuole evitare a
tutti i costi la parola “tasse”, per imporre un prezzo alle
emissioni sarà usato il sistema dello scambio di quote, che è molto
più complicato. Soprattutto, però, questa misura arriva così
tardi, il prezzo è così basso e le prospettive future sono così
poco chiare che l’efficacia sarà pari a zero. Che i
socialdemocratici spaccino questo disastro per un compromesso
riuscito lascia a bocca aperta.
Inoltre
manca una procedura chiara per verificare il rispetto degli obiettivi
e per procedere a eventuali correzioni. E’ proprio questo il
problema di fondo di ogni politica sul clima: si prendono grandi
impegni ma non si pensa a come mantenerli. Il fatto che la
commissione governativa per il clima voglia farsi carico di questo
compito non fa ben sperare: ha già rifiutato più volte di guardare
in faccia la realtà, come dimostra l’attuale piano per il clima.
Obiettivi
superati.
Con
questo pacchetto è praticamente impossibile rispettare l’obiettivo
di tagliare trecento milioni di tonnellate di anidride carbonica
all’anno da qui al 2030. E anche se per miracolo ci dovessimo
riuscire, non sarebbe comunque abbastanza, perché gli impegni presi
dalla Germania sono ormai superati. Per raggiungere l’obiettivo
fissato a Parigi, la riduzione delle emissioni dovrebbe essere circa
il 50 per cento più alta di quella fissata. Anche se il governo
tedesco continua a parlare della soglia degli 1,5 gradi, finora si è
rifiutato di adattare di conseguenza i suoi impegni sulle emissioni.
Per
il movimento per il clima, quindi, queste misure possono essere solo
un incentivo a continuare la lotta. Finora le proteste sono riuscite
almeno a cambiare le priorità e il linguaggio della politica. Se la
piazza continuerà a esercitare la stessa pressione anche l’anno
prossimo, forse otterremo una vera politica per il clima. Ne abbiamo
urgente bisogno.