L’effetto
domino della guerra in Vietnam
La
guerra del Vietnam (Netflix)
è un film documentario. Il racconto muove dal 1850, quando i
francesi trasformarono in colonia l’Indocina intera, cioè Vietnam,
Laos e Cambogia. Poi la guerra con la Francia (dal 1945 al 1954) e i
venti anni del conflitto con gli Usa, concluso nel 1975 con
l’ambasciatore che fugge in elicottero. I filmati provengono da
fonti diverse dalle solite e, come tratto specifico esibiscono i
volti e i racconti di protagonisti veri, d’ogni parte, fazione o
religione, compresi i vietcong e vari agenti Cia, ora a riposo. Il
tutto disteso in dieci puntate pagate dal Public Broadcasting
Service, che non è tv pubblica, ma aggregato di stazioni no profit
che campano grazie ai soldi di università, chiese, fondazioni. Una
tv “né né”: non generalista né di nicchia, diversa dalle altre
grazie alla pluralità “colta” della base finanziaria.
Il
film spiega l’intervento Usa entro la “teoria del domino” per
cui, preso il Vietnam, il “comunismo” avrebbe dominato senza
dubbio l’Asia. Oggi il Vietnam produce e consuma merci americane,
ed è chiaro che quello fu un equivoco, ma pagato caro con 50.000
morti e il tramonto della mitica “nazione missionaria”, forgiata
dall’etica e portatrice fatale di progresso.
Questo
il rovello proposto all’audience Usa, la cui nazione, non più
tormentata da valori e soltanto più forte di ogni altra, ha visto i
presidenti Bush padre e figlio combinarne di cotte e crude in Medio
Oriente, senza le crisi sociali e le canzoni innescate al tempo del
Vietnam.
Da
noi gli over 70 della “generazione Vietnam” compiranno un viaggio
nel passato, quando appena svegli era normale porre l’orecchio ai
bollettini del GR (ce n’era uno soltanto) pieno di nomi esotici, ma
divenuti familiari: Saigon, Da Nang, Khe San; l’escalation, il
Tonchino, il Tet (che spinse il ’68); Van Thieu, madame Nhu,
Westmoreland.
Ne
deriverà il dolce della reminiscenza. Ma anche, più aspro, il peso
del giudizio retrospettivo, su se stessi. ondasuonda@repubblica.it.
Stefano
Balassone – Repubblica 15/03